La partita della Rai

La storia, non solo quella recente, insegna che la Rai è l’anticipatore (attenti, non l’incubatore, quel ruolo spetta ad altri) delle mosse della politica. Appena cambia un governo, nell’immediatezza del post elezioni, a Viale Mazzini parte subito il gioco dei riposizionamenti. Chi era all’opposizione diventa governativo, chi non l'aveva ancora fatto sale sul carro del vincitore e chi era in posizione dominante cerca di far valere la propria rendita di posizione.

Insomma, direttori, vice, dirigenti, responsabili, conduttori e  artisti vari mettono da parte palinsesti e programmi per dedicarsi alla ricerca del proprio referente politico. Esercizio, questo, tutt’altro che decodificato. Negli anni, in pratica, il cosiddetto partito Rai ha stilato una sorta di manuale del perfetto trasformista, grazie al quale le porte girevoli si muovono in sincrono con l’attività parlamentare. Stavolta però al cosiddetto manuale manca un capitolo. Il fatto che il Movimento 5 Stelle sia diventato il primo partito impone un ragionamento di fondo. I grillini, tecnicamente, in Rai non hanno veri referenti, tanto nelle redazioni quanto nelle strutture delle reti.

Se questo dà al Movimento la massima libertà di manovra, per contrasto crea il panico in Rai. A partire dal settimo piano di viale Mazzini, dove ci sono gli uffici del vertice aziendale. Perché anche il direttore generale, Mario Orfeo, e la presidente del Cda, Monica Maggioni, il cui mandato scade in primavera, hanno iniziato a fiutare l’aria per capire come muoversi. Nessuno dei due ha in tasca la riconferma e se la Maggioni potrebbe cercare la sponda fra i pentastellati grazie alla presenza nel board di Carlo Freccero, ex dirigente Rai e membro del Cda in quota grillina, Orfeo punterebbe tutto sulla soluzione esterna. Le voci romane dicono che l’approdo alla guida del quotidiano La Repubblica non sia una cosa troppo lontana dalla realtà. E comunque se dovesse lasciare la Rai quella di un eventuale ingresso nel gruppo De Benedetti potrebbe essere un'ipotesi plausibile.

Molto più complessa la partita dei telegiornali. E’ chiaro a tutti che i grillini vorranno poter dire la loro nella scelta dei direttori, che potrebbero essere cambiati, magari senza una indicazione diretta, ma con una soluzione condivisa. Nel giro dei pentastellati è entrato Gianluigi Paragone, giornalista con esperienze in Rai e a La7 dopo anni di carta stampata. L’ex conduttore de “La Gabbia” potrebbe indicare al Movimento quali nomi promuovere e quali bocciare, mettendo in moto una sorta di domino dal quale nessuno resterebbe fuori. Ecco perché in Rai antichi rancori e nuovi amori nascono e muoiono con una rapidità impressionante.

I renziani, per dire, sono già una categoria in via di estinzione mentre i berlusconiani, in sonno sino a ieri, si stanno riscoprendo aderenti al pensiero di Forza Italia. Se così fosse la Rai, più che a un servizio pubblico, somiglierebbe a una realtà privata nella quale a farla da padrone sarebbero soprattutto gli interessi politici.