#IoApro, l’ultimo appello dei ristoratori per non morire

Ristoratori #ioApro

Sulle pagine dei social media e di alcuni giornali ha trovato spazio la campagna, sull’onda di quello che sta avvenendo in Svizzera e in Germania, #IoApro. Si tratta di ristoratori e proprietari di bar che hanno deciso di riaprire le proprie attività, nel rispetto delle norme di sicurezza anti Covid-19, a partire dal 15 gennaio, indipendentemente da quanto previsto dai vari decreti del governo (DPCM o Decreti Legge che siano).

Si tratta di un’azione di disobbedienza civile, di cui bisognerà anche valutare la portata effettiva anche se si dice che si tratti di più di 50’000 esercizi, che fonda le sue ragioni nella profonda crisi in cui sia caduta la categoria a seguito delle restrizioni disposte per contrastare la pandemia in atto.

Al di là delle polemiche che possa suscitare in taluni un’iniziativa simile, che una certa vulgata farebbe ricadere nell’incoscienza che alcuni attribuiscono agli italiani e che sia alla base della diffusione della malattia, la questione va analizzata in maniera assai più approfondita.

Non è un mistero che la crisi pandemica abbia presentato un conto pesantissimo al Paese sia in termini di vite sia dal lato economico, spingendo il PIL a un calo burrascoso che potrebbe risultare a due cifre intere quando i calcoli relativi al 2020 saranno ultimati e a interi settori economici, come la ristorazione e il turismo, fortemente penalizzati se non quasi azzerati.

Un caso eclatante, in merito, è quello relativo alle economia di montagna che con la chiusura di marzo scorso e i continui rinvii sull’apertura degli impianti da sci oggi, unite alla chiusura totale voluta per il periodo natalizio, hanno, in pratica, perso una stagione intera e non basterebbero tutti i fondi, finora, stanziati per i ristori a compensare queste perdite. Il comparto della ristorazione è l’altro grande colpito dalle disposizioni finora messe in campo.

Il primo lockdown aveva già dato un colpo piuttosto forte a tutti i ristoranti e i bar diffusi in Italia, gli investimenti necessari alla “messa in sicurezza” e le limitazioni di accesso nei locali tra maggio e ottobre, unite alla diffusione del telelavoro per diverse categorie di lavoratori dipendenti, poi ha ridotto ulteriormente i margini nella gestione dei locali ma l’avvento delle chiusure autunnali e invernali, nascoste dietro alla pantomima delle zone multicolore, rischia di aver dato il colpo di grazia a tantissime aziende.

Di qui la ratio dell’iniziativa #IoApro che vuole essere, prima ancora di un tentativo di far riprendere il giro di affari, un grido disperato verso il legislatore e il governo perché cominci a ragionare a un vero piano di rilancio di tutta l’economia nazionale.

Il Decreto Liquidità, infatti, aveva dato un po’ di respiro, anche se le somme ottenute sono andate ad incrementare l’indebitamento delle aziende perché lo stato aveva messo una mera garanzia sui prestiti da parte degli istituti di credito, ma i seguenti “ristori” sono stati palesemente irrisori, nel loro complesso, per permettere la tenuta degli operatori nonostante la possibilità di cassa integrazione per tutti i dipendenti.

Questa situazione ha posto un vero e proprio punto interrogativo sulla tenuta nel breve termine di tutto il tessuto produttivo di interi settori economici mentre lo stato emergenziale si prorogava (e si proroga) oltre la sua logica durata. Mi spiego meglio.

Dopo un anno la pandemia non rappresenta più un’emergenza ma, purtroppo, un elemento strutturale che deve essere governato, questo comporta che non si possa più agire di rimbalzo, seguendo gli eventi ma occorra una pianificazione vera degli interventi da fare e la creazione di una “nuova normalità” fintanto che terapie e vaccinazioni non possano debellare definitivamente (o, per lo meno, rendere marginale) l’effetto del virus. In questo quadro deve essere previsto un percorso certo di riaperture per permettere sia la ripresa del lavoro sia la creazione di ricchezza.

Qualcuno dirà “è più importante la salute della vostra economia”. Certo, non fosse che la prima è una componente importantissima del quadro economico e che, comunque, la sanità vada pagata, per la produzione di mezzi e farmaci e per la remunerazione di medici e operatori sanitari.

Se si bloccasse tutto, prima o poi, anche questa si troverebbe senza risorse perché non è possibile vivere a debito per sempre, il conto qualcuno dovrà pagarlo.
I ristoratori, infatti, si sono trovati di fronte, probabilmente per primi, a questo dilemma: o riprendo a lavorare o chiudo definitivamente.

#IoApro, quindi, è l’urlo disperato di una categoria, ampiamente penalizzata, che non vede un futuro certo a fronte, magari, dei sacrifici di una vita e che, forse, avrebbe dovuto essere più tutelata.