L’invidia e la cattiveria: due mali della società

“Non sei sulla strada, allora non possiamo aiutarti”, le ha detto l’uomo che lavorava nel centro di aiuto per i poveri. Lei non era abbastanza povera per essere aiutata. Come si può ricevere una tale risposta?

Tornando a casa inghiottiva le lacrime. Sentiva di non appartenere a nessuna parte. Sì, è tanto facile per lui giudicare. Ha la sua posizione, il suo lavoro. Sì, aiuta i poveri, dall’alto della sua posizione è sicuro. Lei invece? È una colpa per lei, che resiste e non si sottomette alla cattiveria umana? È una cosa peggiore della povertà materiale – visibile, a volte spettacolare ma assai più facile da sistemare. Essere rifiutati, respinti degli altri – dai più vicini, da coloro che dovrebbero essere buoni – non è una cosa ancora peggiore? Non si vedono i colpi che consumano i nervi, l’equilibrio personale lasciando ferite profonde nella persona che li riceve.

Sentiva sempre forte la sua dignità e nello stesso tempo voleva essere onesta. Aveva tanti talenti e doti. E il cuore puro e aperto. Voleva dare tanto bene al mondo. Ma già alla scuola elementare ridevano di lei. Non piaceva la sua voce, i suoi capelli bellissimi, ricci suscitavano tanta ostilità, soprattutto da parte delle compagne. Non la accettavano, perché non veniva da una famiglia ricca come loro. Non si vestiva chic come loro. Per andare a scuola doveva fare un lungo percorso, abitava in un paese distante. Una volta hanno sputato la sua nuova giacca.

Alla scuola media e all’università, gli stessi problemi. Era troppo brillante e troppo brava. Di nuovo, coloro con le famiglie ricche, per la maggior parte gli stessi, la odiavano. Attorno a sé sentiva un muro di invidia e rabbia. E quando è stata assunta nell’azienda più prestigiosa della città – senza connessioni e contatti, semplicemente perché era la migliore – che furia e rabbia esplosero in tutto l’ambiente, incluse le minacce indirizzate ai suoi genitori. Come mai! Lei, la figlia di “quelli” è riuscita arrivare così in alto! Impossibile!

All’interno dell’azienda la situazione era ancora più allucinante. O eri come loro: disonesti, arroganti, senza regole morali – o ti trattavano come un povero disadattato. Per fortuna era brava e brillante, ma la pressione aumentava. Non doveva dire niente. La sua presenza bastava per trattarla male. Volendo aiutare gli altri, essendo semplicemente buona e sensibile suscitava tanto sdegno. Si sentiva a priori esclusa dall’ambiente, proprio buttata a terra.

Non poteva, o – piuttosto – non voleva rimanere lì. Ha cambiato città. Coi soldi risparmiati cercava di avvicinarsi agli ambienti che considerava sani e normali. Come sempre, con la sua bontà, apertura, sincerità e generosità. Purtroppo, anche qui – lo stesso. Ma forse anche peggio. Sentiva così. Le persone che confessavano i valori belli, in fondo erano non meno cattivi dei suoi colleghi dalle scuole e dall’azienda. Ma era ancora più doloroso, perché lavoravano nell’istituzione che serviva ai valori più alti nel mondo… Anche qui sentiva la stessa esclusione: non apparteneva a loro. Veniva da fuori. Autonoma. Brava. Con una bella storia. Notava tanta invidia e cattiveria. La indicavano con le dita e deridevano. Se provava ad essere positiva, aperta, si riempivano di sdegno. Si sentiva cacciata via. Proprio gettata in una pozzanghera di dolore. Il dolore aumentava con le infamie e calunnie, diffuse con tanta facilità. Non bastavano le parole brutte con cui la trattavano. Dovevano diffonderle anche fuori; a causa di questo cercava ma non riusciva a trovare lavoro. La sua reputazione era demolita.

Le lacrime non smettevano di scendere. Si, non era ancora sulla strada. Vero. Ma, per dire la verità, a volte si sentiva più malridotta di quelli che sulla strada ci stavano. Nei momenti più scuri aveva paura di finire sotto a un ponte. Ma con la sua formazione, gentilezza, bontà? Ha meritato un trattamento tale? Perché? Non è giusto volere semplicemente una vita dignitosa e serena? Essere onesta e trasparente? Erano i pensieri questi sempre più pesanti e opprimenti. Non trovava risposta a queste domande.

Le portava tutte direttamente al “Capo”, come chiamava intimamente il Signore. Se si metteva davanti a lui, sentiva spesso tanta pace. E che stava sulla strada giusta. E sentiva tanto la sua vicinanza, anche se in questa chiesa spesso venivano le persone che la stavano trattando malissimo. Ma, per fortuna, sempre sentiva, che lui era sopra di loro.

Anzi, sapeva come muoversi bene tra di loro. Tra queste loro cattiverie, arroganza e infamie. Lei sentiva, che – nonostante tutto – lui la potava per mano, come il pastore fa con una pecorella attraverso una valle oscura. Con lui sempre poteva passare in mezzo a loro e andare avanti.

Una chiamata. Ecco, una collega, che la feriva sempre nei momenti meno aspettati. Adesso racconta i suoi successi. Ha appeno difeso la licenza. Va a fare una conferenza in Messico. I suoi successi. Un altro dolore, se avesse avuto un lavoro, la tranquillità della casa degna, avrebbe potuto anche lei finire tanti esami. Che bella cosa poter studiare! Ma se non ci sono le condizioni.

Così prendendo spunto da questa storia vera che io conosco personalmente vorrei dire che tra i successi degli altri e i poveri che sono sulla strada ci sono tante persone che soffrono invisibilmente rifiutate, condannate, maltrattate dagli altri, più forti, più sicuri ma, allo stesso tempo invidiosi e cattivi. La strada media, spesso dimenticata ma tanto dolorosa.

Per fortuna ogni giorno, ogni momento la attraversa Gesù. Lui stesso rifiutato, condannato, maltrattato. Ma sempre riesce a passare in mezzo. In mezzo a tutto il bullismo, alla mediocrità e alla cattiveria. Un passaggio che alla fine risulta essere un passaggio pasquale.