L’insostituibilità degli abbracci

Quando si dona un abbraccio l’altra persona viene coperta con il nostro corpo. L’abbraccio è un gesto di protezione vera. Abbracciare significa tornare indietro nel tempo sino a rivivere mentalmente quelle sensazioni di tutela e di sicurezza che si provano in età infantile quando le figure genitoriali ci fanno sentire accolti.

Tra le tante ricerche scientifiche, significative sono quelle della famosa psicoterapeuta statunitense Satir la quale sostenne come ci servano “quattro   abbracci al giorno   per   sopravvivere. Otto abbracci per mantenerci in salute. Dodici abbracci per crescere”.

Andando nello specifico, in effetti, grazie all’abbraccio l’organismo produce le endorfine, sostanze capaci di ridurre la soglia del dolore e di aumentare la sensazione di piacere e benessere.

Con la situazione contingente legata al Covid-19, non è possibile abbracciarsi. Si tenta di compensare la mancanza di tale fonte unica di endorfina quale l’abbraccio, attraverso la dimensione telematica e virtuale (social network, videogiochi on li ne, ecc.).

La mancanza di contatto fisico e in particolare di abbracci, a causa del distanziamento anti contagio da Covid-19, aumenta ansia e stress. I primi studi scientifici americani in tal senso documentano, infatti, gli effetti della cosiddetta «fame di pelle» al tempo del coronavirus: il 60% degli intervistati associa alla carenza di contatto fisico affettuoso (in particolare, abbracci) un aumento dei disturbi d’ansia, del sonno e dell’umore.

Per l’uomo il contatto fisico è una necessità primaria; l’astinenza dal tocco altrui (skin hunger, (letteralmente “fame di pelle”) può avere importanti ricadute sull’umore, sulla qualità del sonno e sulla qualità di vita. Il bisogno di contatto fisico è una necessità biologica primaria: è il motivo per cui i bambini appena nati vengono appoggiati sul petto della mamma ed è una delle prime mancanze avvertite da chi trascorre lunghi periodi in isolamento. Questo bisogno accompagna attraverso l’età adulta tutti noi.

L’abbraccio consente di “respirarci”. Esiste veramente qualcosa che possa sostituire l’abbraccio? Assolutamente no! L’abbraccio trasmette affetto, calore e fiducia. L’abbraccio avvicina le persone aumentandone l’empatia e la sintonia. L’abbraccio comunica la condivisione di situazioni e stati d’animo ad ogni livello. L’abbraccio favorisce lo scambio di energie positive. L’abbraccio è un sistema di difesa psicologico contro le ostilità. L’abbraccio non è un “mero” incontro tra due corpi, ma un modo per aprire il nostro cuore. Come fare allora?

Massimo di Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti della Società Italiana di Psichiatria (SIP), spiegano che “il contatto fisico è rassicurante, perché è la modalità più arcaica per farci sentire al sicuro. Inoltre il senso di sicurezza e di appagamento che provoca, innesca modificazioni neurochimiche positive come l’aumento della produzione di ossitocina, l’ormone dell’attaccamento che ha un effetto ‘tranquillizzante’”. Sempre i due massimi esperti, pur confermando l’importanza del rispetto delle misure restrittive, suggeriscono di migliorare la capacità sensoriale attraverso, ad esempio, il contatto con l’acqua e con tessuti morbidi e confortevoli. Concordo in pieno ma non basta.

È il tempo in cui abbiamo il dovere di esplorare una dimensione nuova imparando a comunicare amore in un altro modo: abbracciando e accarezzando in modo verbale. Dobbiamo iniziare ad abbracciare con gli occhi. Saremo purtroppo costretti a vivere meno l’esperienza bella della nostra dimensione corporea e materiale ma potremo intensificare la profondità che si può raggiungere attraverso uno sguardo, tramite l’incontro di pupille che diventano simbolicamente braccia salde, che divengono l’occhio di un grande fratello che non spia ma incontra, che non tocca ma avvolge.

In questo tempo così particolare, ho vissuto l’esperienza di non poter neanche sfiorare mia figlia perché ha contratto il covid-19. Fortunatamente è stata quasi del tutto asintomatica e sta bene. È stato interessante sperimentarmi in giochi nuovi e straordinari quali il filo invisibile dell’abbraccio, la videochiamata all’interno della stessa casa con invenzioni di ogni tipo, il cuscino morbido “sostitutivo” (si fa per dire…) dell’abbraccio di mamma e papà…

In questo breve tempo, ho sperimentato frustrazione, senso di impotenza, perfino senso di colpa… Ma sono stati gli occhi della piccola ad insegnare a me ed alla sua cara mamma l’importanza della vita che continua reinventandosi, installando nuove e creative risorse. Buio e luce si sono date il cambio più volte ma tutti e tre, la piccola in primis sapevamo di voler arrivare presto al desiderio più intimo e ineludibile: la voglia di contatto, il desiderio profondo di un abbraccio.

Alla notizia della negatività di mia figlia, ho sentito un concentrato di endorfina difficile da spiegare, ho lasciato il lavoro e ho effettuato una corsa alla Forrest Gump… Negli istanti in cui correvo, sentivo il desiderio insito in ognuno di noi esseri umani: quello di ritornare a ciò che ci rende un tutt’uno…

Finalmente il filo invisibile dell’abbraccio era ancora più invisibile ed invece il corpo di mia figlia era sempre più vicino: nell’abbraccio che ci siam dati ho sentito scorrere gli istanti della felicità, attimi in cui il tempo si ferma e la vita accelera, secondi in cui siamo diventati un unicum che non ha pari.

Quell’abbraccio ha il volto di mia figlia ma anche di tutti coloro che possono goderne già oggi ma ha anche il volto di tutti coloro che non possono ancora farlo e che possono, tuttavia, reinventarsi nuove risorse per non perdere la speranza di riavere al più presto un contatto intimo, anzi il contatto intimo che nell’abbraccio ha il suo apice. È l’abbraccio dei cuscini, oppure quello del filo invisibile, gioco che attenua le frustrazioni dei bambini e rilancia la dimensione ludica come strumento maximum di “sublimazione” di un vuoto. O ancora l’abbraccio degli occhi, quello attraverso cui le pupille si incontrano e le anime improvvisamente sanno parlare quasi sino a “toccarsi” in una maniera che anticipa la speranza di un abbraccio futuro.

Quell’abbraccio ha anche il volto dei famigliari di coloro che non ce l’hanno fatta ma che devono ricordare che il legame con chi non c’è più continua nel tempo dentro di noi attraverso un’interazione intrapsichica sana, lucida e doverosa per “dare vita”, all’interno di noi stessi, a ciò che non è più e per insegnare e ricordare a noi stessi che proprio la memoria che stiamo celebrando deve farci gustare la bellezza di un presente che non torna.

In quel presente stiamo vivendo. In questo presente ricominciamo ad abbracciare, nel pieno rispetto delle norme. Abbracciamo chi possiamo e come possiamo, non dimenticando che lo sguardo a volte può “farsi carne” ed unire due persone come e anche più di un abbraccio. La “fame di pelle” si può così vincere se si impara che ci sono diversi modi per saziarsi di amore!