Il paradosso emiliano-romagnolo

Il governo somiglia sempre più all’equipaggio e ai passeggeri di una mongolfiera bucata: hanno l’impressione di andare più veloci, invece stanno precipitando. E’ per questo motivo che il volo accelera la sua corsa per schiantarsi al suolo. Fino ad ora la navigazione del governo, sia pure procedendo tra fulmini, tempeste e vuoti d’aria, è riuscita a proseguire. Aver varato la legge di bilancio in un quadro di rapporti rasserenati e civili con la Ue, è stata un’operazione non facile né scontata. Lo spread ha ripreso fiato, alleggerendo il peso degli interessi passivi. Nessuno lo dice perché i talk show sono ostili, ma la sterilizzazione dell’Iva consentirà un risparmio pari a 38,5 miliardi nel triennio (anche se le prossime leggi di bilancio saranno ancora condizionate dalle clausole di stabilità). Ma anche per il Conte 2 vale la massima del primum vivere. Il philosophari viene dopo. Sempre che riesca ad arrivare.

Il problema che si pone adesso – e che diventerà drammatico se nelle elezioni del 26 gennaio dovessero prevalere le coalizioni di centro destra a trazione salviniana – risiede tutto nella capacità di tenuta dei partiti della maggioranza. Il M5S si sta sfarinando; il Pd passa da un conclave ad un altro, lanciando ballon d’essai che sfioriscono presto come le rose. In questo momento il gruppo dirigente dem sembra intenzionato a tornare alla Bolognina per cambiare di nuovo nome, senza rendersi conto del fatto che quella storica sezione è chiusa da anni. I convegni, i congressi sono come gli alberghi spagnoli dove – dicono – il cliente trova solo quello che ci porta. Il premier Conte assicura che il risultato dell’Emilia-Romagna non influenzerà la durata del governo, tanto che ha annunciato un cronoprogramma molto ambizioso da attuare nel corso del 2020. Ma il voto della (ex?) regione ‘’rossa’’ è troppo importante per essere preso con indifferenza, anche perché è certa una débacle dei pentastellati, che inciderà nel dibattito interno a quel movimento. Se a questo risultato dovesse aggiungersi una sconfitta di Stefano Bonaccini, anche il Pd non starebbe tanto bene.

Non è per caso che ho parlato di Bonaccini e non del centrosinistra, perché il presidente uscente è solo, ed è impegnato in una battaglia la cui portata fuoriesce dai confini della regione. Seguendo da vicino la campagna elettorale emerge con chiarezza quello che potremmo chiamare il ‘’paradosso emiliano-romagnolo’’. E’ stato il leader della Lega a portare la sfida a livello nazionale. Vuole vincere in Emilia Romagna per avvicinarsi al momento di vincere in Italia. Nella compagna elettorale che conduce in prima persona, battendo a tappeto il territorio (portandosi appresso Lucia Borgonzoni) non ha interesse a criticare l’opera dell’amministrazione di Bonaccini; anzi, come si è scoperto, Salvini ha invitato gli attivisti a sorvolare sui problemi regionali (salvo ‘’usare la clava’’ su Bibbiano dove il leader della Lega terrà il comizio conclusivo, attaccandosi a una vicenda tuttora sub judice, perché non ha argomenti di critica più solidi). Ed è qui che si arriva al cuore del ‘’paradosso’’: Lucia Bergonzoni potrà essere (il che è ovvio) presidente della Regione, solo come effetto collaterale del successo di Salvini. Ma è meno ovvia la considerazione inversa: Bonaccini sarà riconfermato solo se Salvini sarà sconfitto. Non sarebbe Bonaccini a vincere, ma Salvini a perdere.