La garanzia del futuro della libertà

Il coraggio della verità è la principale difesa della libertà. Il rapporto stretto tra il mistero di Cristo e la verità dell’uomo è il grande tema della prima enciclica di Giovanni Paolo II. La lezione della “Redemptor hominis” deriva direttamente dal Concilio Vaticano II. Quando il Papa definì l’uomo “via della Chiesa” taluni ambienti teologici paventarono una deriva antropocentrista. In realtà l’umanesimo della Redemptor hominis è tutto fondato sul rapporto di amore tra il Creatore e la sua creatura che si personifica in Cristo. Di qui si diparte il grande disegno del nuovo umanesimo di Giovanni Paolo II relativo a quei cinque grandi temi della vita quotidiana di cui tratta la seconda parte della Gaudium et spes, alla cui preparazione molto aveva, a suo tempo, contribuito da padre conciliare, Karol Wojtyla.

Temi che rappresentano tutto un programma di magistero sociale: la vita e la famiglia; la giustizia e il lavoro; la cultura e la modernità; la libertà e la politica; la pace internazionale. La libertà possiede una “logica” interna che la qualifica e la nobilita: essa è ordinata alla verità e si realizza nella ricerca e nell’attuazione della verità. Staccata dalla verità della persona umana, essa scade, nella vita individuale, in licenza e, nella vita politica, nell’arbitrio dei più forti e in arroganza del potere. Perciò, lungi dall’essere una limitazione o una minaccia alla libertà, il riferimento alla verità sull’uomo – verità universalmente conoscibile attraverso la legge morale inscritta nel cuore di ciascuno – è, in realtà, la garanzia del futuro della libertà.

Giovanni Paolo II era convinto della necessità di riformare in profondità l’Onu e, in diversi Angelus, richiamò esplicitamente il personale diplomatico delle organizzazioni internazionali a cambiare strada sui temi bioetici. Nel Consiglio di sicurezza, per esempio, serve una migliore rappresentatività. La composizione a quindici membri è stata ritoccata negli anni ’60 e in mezzo secolo i membri delle Nazioni Unite sono arrivati a quasi duecento: la Santa Sede esorta a fare una riforma. E quella di Karol Wojtyla contro il mondialismo è stata una illuminante strategia per l’azione, presente e futura, della Chiesa nella società, a partire dall’attenzione ai diritti umani e dalla proposta di un umanesimo integrale, aperto al trascendente».

Quello di Giovanni Paolo II è stato un attivismo morale più vigoroso di quello dei sui predecessori, teso a far accettare la legittimità della questione morale in seno ai dibattiti secolari. E contro Karol Wojtyla hanno agito potenti lobbies culturali, economiche e politiche mosse prevalentemente dal pregiudizio verso tutto quello che è cristiano: nuove sante inquisizioni piene di soldi e di arroganza perché contro la Chiesa cattolica e i cristiani ogni metodo è lecito se serve a zittirne la voce; dall’intimidazione al disprezzo pubblico, dalla discriminazione culturale all’emarginazione». Ne è un esempio la disinvolta e allegra maniera con cui queste lobbies promuovono tenacemente la confusione dei ruoli nell’identità di genere, sbeffeggiano il matrimonio tra uomo e donna, sparando addosso alla vita, fatta oggetto delle più strampalate sperimentazioni.

Giovanni Paolo II è stato sicuramente un grande comunicatore, ma non solo nel senso che di solito si accosta al termine. Che il giovane Karol Wojtyla fosse stato attore è cosa nota; egli stesso poi, nel libro “Dono e mistero”, tiene a sottolineare l’importanza degli studi sul personalismo. Ma il suo modo di fare comunicazione si traduce soprattutto in passione per l’uomo. Si tratta di una dimensione non riducibile in schemi rigidi. Papa Wojtyla sapeva essere grande comunicatore da missionario in tutti i Paesi del mondo e, soprattutto con i giovani, perché il suo stile era esplicito e diretto. Non faceva sconti. Chiamava i giovani all’impegno e alla responsabilità con un trasporto e con parole che essi non erano più abituati a sentire a scuola, né in famiglia, e talvolta, neppure in chiesa.