La fede: un salto nella luce

Andiamo subito al sodo: la fede è una certezza, profonda, inesauribile, istintiva, sincera, ingovernabile; è uno stato d’animo, una condizione, una verità. Non va confusa con la fiducia, che presuppone un rapporto consolidato su cui poggia oppure una scelta fondata su elementi di valutazione di colui verso cui si nutre; né con la convinzione, che può nascere dall’esame obiettivo di elementi di giudizio da cui si trae il convincimento: quest’ultima si snoda nella ragione, la prima nel sentimento, entrambe attività umane. La fede si svolge e sviluppa su un piano trascendente e non ha attinenza né con la realtà né con l’esperienza ma si pone all’interno della coscienza, davanti alla consapevolezza, poiché si ha l’esatta percezione della sua esistenza ma non si conosce; se si conoscesse saremmo fuori dall’ambito della fede e ci troveremmo nella realtà sensibile.

La fede è quello spirito da cui si è pervasi inspiegabilmente ma allo stesso tempo con piena adesione: sembra conseguire alla dimostrazione dell’esistenza di un fatto ma ne fa volontariamente a meno, e non certo per ostinazione o per calcolo ma perché opera su un piano diverso da quello su cui si innestano le dimostrazioni, che alla fede non servono.

Sembrerebbe una petizione di principio od un assioma al limite dell’arroganza, come forse ambiscono i suoi detrattori, ma così non è poiché entrambi sono presupposti di un argomento logico consequenziale mentre la fede alimenta le sue forze all’interno di essa stessa e vive inesauribile: non è la pila che fa accendere la lampada che illumina; è essa stessa la luce che si irradia e che abbaglia, al punto da rendere impercettibili le cose: non è uno strumento di vita, è essa stessa la vita.

La vita senza fede viene relegata al livello biologico, conseguenza di fattori incontrollati, di fenomeni chimici e fisici, di regole scientifiche: viene assunta come vita vegetale, dubitando dell’intelligenza delle piante, distinguendola – non si sa su quali basi scientifiche – dalla vita animale. Ma qui ci stiamo occupando della vita umana, non della ragione contrapposta agli istinti, che si muove secondo parametri e percorsi non riconducibili in questa capacità logica, che si pone in cammino ed in ascolto, folgorata dalla rivelazione dell’Uomo che le ha dischiuso gli occhi mostrandole il volto di Dio.

La persona è stata posta di fronte a se stessa, non alla propria coscienza o alla propria rappresentazione, ma nuda e vera, sincera ed autentica, fragile, finita, per osservarsi e consegnarsi nelle mani misericordiose del suo Creatore che la guida sicura nei percorsi secolari e verso cui ci si deve porre privi di qualunque filtro della mente, come Parsifal, sapiente per pietà, il puro folle, che l’ultimo Wagner consegna alla vittoria sul male arrestando la lancia sul suo capo nel segno della croce, lui, ignaro delle sue azioni ma fermo nella sua missione redentrice: Tu sai dove trovarmi ancora canta a Kundry, stramazzata dopo il crollo degli incantesimi.

Eppure la fede si esprime nel dubbio, nella ricerca, nell’ascolto: come può conciliarsi con la certezza di cui sopra. Anche se so, io mi chiedo se, io cerco, io sento, non perché voglio conferma di ciò che so, che sarebbe un’attività della ragione che non invoco, ma perché mi immergo nel profondo di me, esploro, percorro, cammino, visito i luoghi sconosciuti dell’anima, riscendo e risalgo in una irrefrenabile attività spirituale, non emotiva, non inconsapevole, ma pura, libera, indomabile: Parsifal cade in estasi dopo il bacio peccaminoso di Kundry e sente la ferita che brucia nel suo cuore, chiusa solo dall’arma che l’ha aperta.

È l’animo che distingue la fede, è la predisposizione a vedere al buio, con gli occhi del cuore, è il sentiero sicuro lungo il quale ci avviamo verso una meta ambita ma impalpabile, è quel solido appoggio che troviamo ogni volta che stiamo per perdere l’equilibrio se solo la paura si dirada lasciando posto solo al timore: il giusto per fede vivrà (Rm, 1, 17).