Quell’emergenza da pandemia chiamata scuola

scuola

Esistono allo stato attuale almeno tre emergenze centrali, che in vario modo il Governo della Repubblica, nelle ultime due sue espressioni, ha cercato di affrontare: la prima è stata e rimane senza dubbio l’emergenza sanitaria, di primario e più evidente impatto, che ha assorbito quasi disperatamente, in una maniera spesso disordinata, talvolta poco comprensibile, quasi tutte le risorse politiche, intellettuali e materiali attualmente disponibili.

La seconda è stata, e più che mai è rappresentata, da quella sociale ed economica, inizialmente e perduratamente dapprima omessa, se non negletta, e adesso gradualmente e solo parzialmente affrontata con alcuni provvedimenti, ma pur sempre discriminatoria verso alcune categorie lavorative rese particolarmente impotenti.

La terza, solo recentemente e larvatamente emersa, e scarsamente affrontata, è lemergenza culturale e scolastica, risolta in maniera discussa e discutibile, con reiterati provvedimenti di chiusura di istituzioni culturali, sportive, e ricreative, oltre che scolastiche.

Ma esiste una quarta e forse più devastante emergenza, sconvolgente nelle sue conseguenze di medio e lungo periodo, che continua ad essere negletta: quella della formazione profonda dei nostri giovani. Non si tratta in questa sede di affrontare i pur vitali capitoli dei curricula e dei moduli scolastici, ovvero della mera erogazione di crediti formativi universitari; né è da credere che oggetto del contendere debba essere soltanto, come pure è doveroso fare, la didattica a distanza, la famigerata dad, con tutte le sue carenze e i suoi limiti, sia nell’ottemperare i risultati scolastici prefissi, sia nel concreto raggiungimento di tutti soggetti coinvolti, visti i limiti del sistema comunicativo e le conseguenti disparità e discriminazioni sociali che essa fatalmente determina.

Qui si vuole invece discutere della voragine culturale verso la quale stiamo avviando i nostri giovani, allontanandoli bruscamente dalla normalità del loro cammino intellettuale e formativo, fatto non solo di programmi e di crediti, ma di incontri, di parole, perfino di sguardi: quel cammino che li ha fatti fino a ieri incontrare, discutere, disputare nelle aule scolastiche e universitarie, non fosse altro per rispondere all’interrogativo di S. Agostino, “Tu chi sei?”, riproposto liricamente quanto drammaticamente da Jovine:

“Tu chi sei? L’espressione del mondo che vuoi vivere, l’emozione di un sogno nel mezzo viaggio”.

Quel cammino lungo nel quale sinora li hanno quotidianamente accompagnati maestri elementari, insegnanti di scuola media e superiore e professori universitari: tutti Maestri di futuro e di vita prima, ancora che tutori e promotori della loro costruzione scolastica. Qui è in gioco innanzitutto la formazione identitaria dei nostri giovani, il loro collocamento nel contesto umano, la loro proiezione nel futuro difficile che la vita sta loro riservando.

Riaprire, così come giustamente si prepara per le istituzioni culturali, musei, teatri, cinema, soprattutto le aule scolastiche e universitarie, con gli stessi criteri di sicurezza, vorrebbe dire arrestare questa prevedibile deriva di una gioventù alla quale sono stati già strappati con violenza troppi mesi, quasi un anno in molti casi, della loro formazione umana, riservando loro frammenti o pillole di percorsi formativi solamente telematici: anni spezzati o rubati, riecheggiando vecchi adagi, e forse anni fragili come la carta dei quaderni e dei libri che abbiamo fatto loro abbandonare.

Stefano Trinchese, Ordinario di Storia Contemporanea, Prorettore alle relazioni culturali

Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara