Le domande che i genitori con figli disabili si pongono ogni giorno

Un genitore di un ragazzo con disabilità vorrebbe vivere oltre suo figlio e questo è un pensiero terribile per persone con figli “normodotati”. Non è “normale”, ma è comprensibile se ci mettiamo nei suoi panni. Cosa ne sarà di mio figlio quando io non ci sarò più? Chi si prenderà cura di lui? Finirà in una casa di riposo? Le poche competenze acquisite che fine faranno? Ognuno di noi si fa giornalmente queste domande, soprattutto i genitori anziani di figli con disabilità ormai adulti.

Ecco che ci viene in aiuto questa legge, molto bella sulla carta, ma non ancora concretizzata purtroppo. Però forse qualcosa sta cambiando. Sono ormai trascorsi più di vent’anni dall’emanazione della “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, la cosiddetta 328 del 2000, che è finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscano un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Gli obiettivi della L.328/2000 sono: il sostegno della persona all’interno del nucleo familiare, la migliore qualità di vita, la prevenzione, la riduzione, l’eliminazione del disagio personale e familiare, il passaggio dalla concezione di utente quale portatore di un bisogno a quella di persona nella sua totalità e di promozione dell’inserimento della persona disabile nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità.

Il progetto di vita non è solo un documento che descrive ciò che si può fare oggi, ma è un atto di pianificazione che si articola nel tempo. Le istituzioni, la persona con disabilità e la stessa comunità devono cercare di fare in modo che quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere. Anche perché progetto di vita e “dopo di noi” sono strettamente legati. Nel giugno del 2016 è stata emanata la legge 112 che ha tra i suoi principi basilari il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. Sono passati altri sei anni da questa legge e finalmente si inizia a parlare concretamente di progetto di vita. È necessario che i genitori o il disabile stesso presentino domanda al Comune e questo deve essere fatto il più precocemente possibile. È una semplice lettera in cui si chiede la predisposizione del “Progetto individuale per la persona disabile”. Il progetto di vita non è statico, anche la disabilità si evolve nel tempo e si modifica. Ci si potrebbe chiedere cosa succede se non ci sono i fondi – questo è un problema annoso -. Stiamo però parlando di diritti fondamentali non comprimibili e non subordinabili a carenza di risorse e pertanto quello che prevede il progetto di vita deve essere sempre e pienamente garantito.

Quindi le fasi del progetto individuale di vita potrebbero essere così riassunte: l’identificazione dei desideri e delle aspettative della persona disabile – se possibile – e della sua famiglia, la valutazione multidimensionale integrata ossia il coinvolgendo pediatria, neuropsichiatria, psichiatria, assistenti sociali, operatori domiciliari, volontari, familiari e la persona stessa. Gli obiettivi a breve e medio termine (condizione e tappe per raggiungere l’obiettivo previsto) sono la salute della persona, l’autonomia, l’inclusione relazionale, integrazione lavorativa/formativa, la condizione abitativa, il budget di progetto (ripartizione dei costi fra i vari soggetti e/o finanziamenti pubblici e privati) ed il monitoraggio e coordinamento del progetto (ossia la figura del case manager).

Noi genitori di bimbi disabili ci auguriamo che ora sia veramente giunto il momento non certo di riposare, ma quantomeno di vedere un futuro un po’ meno angosciante per i nostri figli.