Il dibattito sulla definizione della disabilità, negli ultimi anni, è stato molto acceso e variegato. Negli ultimi quarant’anni, infatti, sono stati utilizzati molti termini che si riferiscono alle persone con disabilità, come ad esempio “diversamente abile”, “inabile”, “handicappato”, “portatore di handicap”, “invalido”. Ora, molti di questi termini sono considerati impropri o scarsamente corretti. L’azione dialettica per giungere ad un linguaggio più inclusivo è stata e sarà ancora lunga, ad esempio, uno sbaglio che, ancora oggi, alcuni commettono, è quello di sottolineare la disabilità invece che focalizzarsi sulla persona. Dobbiamo sempre ricordare che, una persona in sedia a rotelle, non è il suo ausilio. Di conseguenza, non bisogna categorizzare le persone dicendo “un disabile/un sordo/un cieco”. Le persone devono essere chiamate col proprio nome.
Tutti noi, partendo dagli enti e dalle associazioni, per raggiungere l’obiettivo dell’inclusione più autentica, dobbiamo parlare della disabilità in modo spontaneo e corretto, con la finalità di mettere la fragilità al centro della società e aiutare ognuno a raggiungere i propri sogni e ispirazioni, indipendentemente dalla propria condizione o patologia.