Cosa fa la differenza tra una persona ed un’altra? Ci sono persone sempre pronte ad aiutarti, a rispondere, altre troppo impegnate. A volte una sola parola può salvare una persona. Adoro il termine compassione che è molto sentito da alcune religioni orientali e “sembrerebbe” sentito meno dalla nostra. Ho ascoltato il Santo Padre in questo suo lungo viaggio che, credo, per l’età e per le malattie sarà l’ultimo. Mi ha commosso la Sua esortazione: “Quando fate l’elemosina non date solo il soldino ma fate anche una carezza all’indigente che vi tende la mano”. Un grande prete, mio amico, che spero diventerà presto Santo mi diceva spesso: “Italo, quando fai la carità fermati ad accarezzare il povero che ti tende la mano perché quel volto sofferente è il Volto del Cristo”.
Un mio caro amico che spesso era solito prendere il caffè con me, al mattino, e fare una breve passeggiata lungo il Corso mi diceva: “Ma, Italo, ogni volta che vedi un mendicante ti fermi per fargli la carità. Sei il Capo della Squadra Mobile e dovresti allontanare queste persone dal centro”. Io non ho mai allontanato nessun mendicante dal centro.
Purtroppo oggi sono molte le persone che chiedono l’elemosina e, a volte, a causa dello stato di necessità in cui si trovano, possono sembrare assillanti. Ma se ci pensiamo bene: quello che per noi rappresenta 1 euro, una bottiglietta d’acqua, per il mendicante può rappresentare il poter avere un pezzo di pane. Ho amato il Santo Padre, quando ha pronunciato quella esortazione.
E ho rivisto don Oreste con quel faccione da prete di campagna, prete buono, il prete della compassione. Un cristiano che non ha compassione dell’altro non è un buon cristiano. E ci sono passi stupendi nel Vangelo che ci spingono alla compassione, che è un sentimento non può essere confuso con la commiserazione, il compatimento, la pena o la pietà, come suggerisce il vocabolario, ma è la capacità di entrare nel dolore dell’altro.
E solo la carezza ad un volto talora sporco o segnato dalla ubriachezza, può far capire che quel dolore è pienamente condiviso. E allora preferisco questa di spiegazione dal vocabolario: “la compassione (dal latino cum patior – soffro con – e dal greco συμπἀθεια, sym patheia – “simpatia”, provare emozioni con…) sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla”. O meglio ancora: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
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