Cosa c’è realmente al fondo della “rivoluzione” di Francesco

A fermarsi alla disparità di giudizi e al battage dei contrapposti schieramenti, si rischia di non comprendere che cosa ci sia realmente al fondo della “rivoluzione” di Francesco. Di sicuro, non c’è uno smantellamento della Tradizione, del magistero precedente, bensì un cambiamento immateriale, che è un combinato di cuori, di mentalità, di clima spirituale. In altre parole, per Bergoglio, prima delle dottrine, delle norme canoniche, delle ritualità, viene l’esigenza che i fedeli tornino al Vangelo, nel senso di considerarlo l’unica vera ispirazione per il loro vivere da cristiani nel mondo.

Nella “Gaudete et exultate”, il Papa parla della santità della “porta accanto”, dei piccoli gesti. Parla della normalità di una fede vissuta coerentemente, ogni giorno, in famiglia, nel lavoro, e anche nel riposo, nel divertimento. Un Papa gesuita. Dunque, molto pragmatico. Sostenitore del “grigio”, ossia della via di mezzo, rispetto a quanti giurano solo sul bianco o sul nero. Infatti, come lui stesso dice, tende ad “accarezzare i conflitti”, ad “armonizzare le contraddizioni”. Apre sempre nuovi processi, ma aspettandone gli sviluppi, e cioé senza ricercare necessariamente soluzioni immediate. Tutto il contrario dell’insegnamento della neoscolastica, della precettistica, delle ferree leggi del Codice di diritto canonico. E appunto da qui, da questo modello di governo ignaziano che poi governo propriamente non è, sono venuti i più grossi contraccolpi per il pontificato: con il passaggio nella schiera dei critici anche di cardinali che in Conclave avevano dato il voto a Bergoglio. Mentre all’esterno, nel mondo laico, e persino tra gli agnostici, non mancano i sostenitori di questo capo della Chiesa cattolica per come, ricorrendo spesso a un linguaggio e ad argomentazioni decisamente controcorrente, prende le difese dei poveri, degli scartati, e di un pianeta sempre più in pericolo.

Prova ne sia che, da quando è stata pubblicata, l’enciclica “Laudato si’” è diventata un punto di riferimento essenziale per la comunità internazionale, nell’impegno per la salvaguardia della “casa comune” e per uno sviluppo integrale e sostenibile. Francesco perciò sembrerebbe il Papa giusto, e arrivato al momento giusto, per imprimere una svolta verso una nuova religiosità. Aiutandola finalmente ad uscire da una visione solo moralistica della fede, che fa sentire la gente appagata nel seguire le norme, i precetti, mentre in realtà la fa restare chiusa nelle proprie ragioni, nei propri sentimenti. “Gnosticismo”, lo definirebbero i teologi con una parolona che rievoca un male antico. E quindi, andrebbe sostenuta la crescita di una religiosità matura, immersa nella concretezza storica, e consapevole tanto dei limiti della propria fede quanto dei ritardi di certe pratiche pastorali che han finito per rendere ripetitivo, e di conseguenza sempre meno attraente, il messaggio di Cristo.

Una buona catechesi, ha detto una volta Bergoglio, deve saper esprimere “l’amore di Dio, prima di ogni obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche”. Parole sicuramente nuove, coraggiose, finanche spregiudicate, nel loro evidente intento di provocare, di smuovere le coscienze. Una donna argentina, divorziata e risposata, vorrebbe riavvicinarsi alla Chiesa, ma il parroco rifiuta, o almeno non la incoraggia a seguire un percorso di discernimento. A quel punto, la donna scrive a Francesco, e lui le consiglia di andare da un altro sacerdote. Un consiglio ispirato dalla misericordia, dal buon senso pastorale.