Come scoprire cosa significa pregare

Tra gli “esercizi” quaresimali c’è quello della preghiera. Ma quale preghiera? Su internet si possono leggere pensieri di giovani come questo: «Io non riesco a pregare: non so bene a chi rivolgermi, non riesco a sentire qualcuno “dall’altra parte” che veramente stia lì ad ascoltare le mie preghiere ed intervenga nel mondo per esaudirle».

Per sapere che cosa vuol dire pregare – scriveva il Card. Godfried Danneels – bisogna guardare delle persone in preghiera. Solo coloro che pregano sanno che cosa significa. Un breve testo di Teresa di Lisieux la dice lunga: “Per me, la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo rivolto verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore sia nella prova sia nella gioia”. È tutto. È come qualcosa di incontrollato che sfugge dal cuore. Ciò che Teresa chiama “pregare” è essere rapiti da qualche cosa di bello. Quand’è che il nostro cuore sobbalza, quand’è che innalziamo gli occhi e cantiamo? Vedendo ciò che è bello.

La preghiera si fa in maniera distesa e con spirito d’infanzia, infatti solo i bambini hanno dei moti incontrollati del cuore… Gli adulti ringraziano a voce bassa, i bambini lo fanno a voce alta. È qualcosa di difficile stare davanti come un bambino davanti a Dio? Questo grido e questo sguardo non sono affatto così difficili, ma voler essere fanciulli… Il problema non è di saper come devo pregare, con l’aiuto di quali libri, con quale metodo. Il solo problema è di essere umili come un fanciullo. Pregare infatti è assumere un atteggiamento di dipendenza, di umiltà, di disponibilità, è un lasciarsi fare – cosa che non amiamo perché siamo attivi e produttivi. Prendiamo l’iniziativa. Noi “facciamo” ma non ci lasciamo fare. Ecco il problema.

Dunque, gli scopi della preghiera possono essere molteplici: invocare, chiedere un aiuto, lodare, ringraziare, santificare, o esprimere devozione o abbandono. Tutto questo è a rischio malintesi come affermava ancora il Card. Godfried Danneels. Questa è spesso la nostra prima reazione, come se dovessimo fare tutto noi. Come arrivare fin lassù? In realtà è il contrario: è Dio che discende. Pregare è un lasciarsi fare, assumere un atteggiamento passivo, recettivo.

Quando dei giovani mi domandano come devono adorare o che cosa bisogna fare per adorare, in fondo rispondo che non bisogna fare niente. Durante l’estate quando andate alla spiaggia per abbronzarvi forse vi domandate: “Come fare?”. Niente affatto: vi mettete in costume da bagno e vi sdraiate al sole. Adorare, spiritualmente, è esporsi al sole. Un secondo malinteso è di domandarsi dove scoprire la preghiera in sé stessi. Quale esercizio fare? È necessario che legga qualcosa o che pensi a qualcosa? Bisogna risvegliare dei sentimenti, dei desideri?

No, perché la preghiera non si pone al livello dell’intelligenza, della volontà o della forza. La Bibbia ce lo dice mille volte: la preghiera si pone al livello del cuore. Ciò non vuol dire che si tratti soltanto di emozioni, o in primo luogo di affettività. Il cuore, è qui dove sono incollato a Dio, dove sono attaccato a lui. È qui dove Dio tocca coloro che gli appartengono. Niente di sentimentale! Non bisogna pertanto cercare dove attaccarmi a lui, poiché sono già “incollato”. Prima ancora che io pensi, egli prega già in me. Gesù diceva: “E’ lo Spirito che prega in voi, perché voi non sapete come dovete pregare”.

Infine, per coloro che sono ancora nella posizione del giovane citato all’inizio, ci viene in aiuto un pensiero dello scrittore Luis De Wohl, tratta dal romanzo “L’ultimo crociato”: Pregare per qualche cosa o per qualcuno è una cosa molto, molto pericolosa. Si è sempre ascoltati. E mai nessuno sa veramente quello che sta chiedendo. Non domanderei mai nulla senza aggiungere: “Se è la tua volontà”, “Se è per il mio bene” o qualcosa di simile. Naturalmente, talvolta Dio dice “no” alle nostre preghiere…È tutta apparenza. Quando lo fa, il Suo “no” in qualche modo si trasforma in un torrente di grazie per un altro, spesso per tanti altri.