Come ho capito che tipo di docente sarei voluto diventare

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Sono bravi gli studenti anni ‘90, mai un problema disciplinare, muti, attenti, non fanno una piega, puoi venirgli a dire qualsiasi cosa, se la bevono come niente, una meraviglia, mai un problema. (Paola Mastrocola)

Anch’io sono stato uno studente degli anni ’90, il periodo che ancora si chiamava delle “superiori”. Un giorno fuori dalla scuola uccisero in una sparatoria un uomo e noi sentimmo perfettamente gli spari nonostante fossimo alla ricreazione sempre rumorosa; tornati in aula per la quarta ora, il professore di Filosofia – come se nulla fosse – spiegò ed interrogò davanti ai nostri volti straniti, mentre la quinta ora il professore di Latino e Greco trovò – lui sì! – le parole giuste per quel gruppo di adolescenti che non avevano mai visto dal vivo un uomo assassinato a pochi metri da loro. Ci disse di chiudere i libri e i quaderni, che eravamo liberi di fare silenzio, di parlare di cosa provassimo, di farci una passeggiata nel corridoio per qualche minuto, di ascoltarlo, di piangere se qualcuno ne avesse avuta voglia. Fu quella volta che capii cosa c’entrasse veramente lo studio con la vita e su che tipo di docente avrei voluto essere da grande!