Essere o apparire? Body modification tra moda e conseguenze

La body modification può sembrare a molti una pratica estrema; piercing, impianti sottocutanei e scarification (deformazione cutanea con finalità protettive e/o decorative) sono solo alcuni degli esempi di body modification che vediamo più spesso nella volontà di modificare il proprio corpo. Un uomo francese di 32 anni ha raggiunto livelli probabilmente mai raggiunti, prima facendosi asportare naso e poi le orecchie per modificare il proprio corpo ad immagine e somiglianza di un (ipotetico) alieno. È la metamorfosi di Anthony Loffredo, francese, il quale su Instagram scrive: “Ora posso camminare a testa alta grazie a te, sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto insieme”, riferendosi al proprio chirurgo. “Ora sono felice, mi sono reso conto che non stavo vivendo la mia vita come volevo. Ho fermato tutto a 24 anni e sono partito per l’Australia. Ora sono felice. Mi piace mettermi nei panni di un personaggio spaventoso”.

Su Instagram alcuni criticano le sue scelte: “Tu devi avere dei reali problemi nella tua vita per aver un tale progetto – ha per esempio commentato un utente – Ci sono persone che lottano per avere giusto di cui mangiare, altri invece un tetto sulla testa”. Altri sostengono le decisioni estreme di Anthony: “Tu hai la mentalità di un guerriero, forza e ora attendiamo il progetto completo al 100%”.

Nel leggere questa notizia, ho riflettuto sui tanti video tutorial, sui siti web, sulle pagine e sui social network che spiegano come poter modificare il proprio corpo. Piercing all’orecchio, all’ombelico, tatuaggi, chirurgia estetica, modificazioni attraverso lo sport e le diete, modificazioni a vari livelli del proprio corpo, sono tutte forme che scorgiamo ormai quasi quotidianamente e sono divenute parte integrante della nostra cultura.

L’apparire è lo status quo di una psiche “ribaltata”, che vive quasi incastrata nel teatro quotidiano dei selfie e dei social network, laddove è Narciso a farla da padrone. Fino a qualche decennio fa queste pratiche erano giudicate in maniera negativa e/o patologiche, con indicazioni di chiaro disadattamento sociale (nella migliore delle ipotesi). Oggi, invece, le body modification sono talmente tanto diffuse in tutti i livelli sociali che coinvolgono anche ragazzi e adulti socialmente adattati e caratterizzati da un buon funzionamento personale e relazionale. È stato sin qui favorito un passaggio ad una normalizzazione che rischia di comportare la perdita della completa percezione di sé stessi e della propria vita.

Diversi sono gli studi (ad esempio, A. D’Ambrosio, V. Martini, N. Casillo, Dipartimento di Psichiatria, Seconda Università, Napoli) che dimostrano come esista una correlazione significativa tra quantità di body modifications e presenza di variabili legate al distress (aspetto fortemente negativo dello stress) psicologico, all’alessitimia (scarsa consapevolezza emotiva) e al comportamento auto-lesivo così come il legame con tratti borderline di personalità (instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore; marcata impulsività; difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri).

Spesso l’attenzione al corpo “da cambiare” rivela tutt’altro: non è il corpo che non va ma l’immagine di sé da parte dell’individuo. Nel caso del signor Loffredo, ad esempio, potrebbe essersi attivata in quest’ultimo una voglia inconscia di avere una sorta di “maschera protettiva” dietro la quale nascondersi. Lungi da me voler fare un’analisi del caso specifico (misconoscendo anamnesi e quant’altro contribuisca ad avere elementi scientifici validi). Avanzo ipotesi che possono essere allargate in una visione contemporanea bio-psico-sociale che può arricchire una riflessione che non ha risposte ma pone certamente diverse domande.

La ricerca di una nuova body modification potrebbe invece essere dettata, come già anticipato, dalla spinta ad apparire, ad essere il primo, in una visione narcisistica. Modificare il proprio corpo, infatti, può spesso collimare con il delirio di onnipotenza mal gestito. È l’illusione legata alla percezione di poter essere padroni di sé stessi, senza fare i conti con l’esame di realtà della vita che è fatta di finitudine. Non sarebbe meglio puntare ad un equilibrio mente-corpo proiettato ad identificare cosa davvero conti nell’esistenza? Nel caso di Loffredo il mito del proprio corpo e del proprio “ego” potrebbero essere divenuti una “religione”, propria, che è quel “quid” che dà “sicurezza”. Tale mito costituisce ciò in cui l’Io può davvero credere per avere quel potere importante.

Per altre persone (ulteriore possibile ipotesi per il signor Loffredo) è quasi una dipendenza, un bisogno insito di cambiamento per “stare bene” e provare una sensazione di “benessere”. A volte è semplicemente una sfida per sondare la soglia di resistenza del fisico ma anche la soglia di sopportazione del dolore arrecato al corpo.

Ciò che cambia la vita, però, a mio avviso non è l’idolatria di un corpo, non è la propria religione ma la fede. La fede in qualcosa che dia senso al nostro esistere è il senso stesso della vita. Nel pieno rispetto delle idee altrui, mi permetto di dire, neanche molto sottovoce, che prima di body modification dovremmo armarci per vivere nuovi change of meaning (modifiche legate al senso della vita). Solo una modifica o una ristrutturazione dei significati del nostro vivere spiana, infatti, la strada verso body modification consapevoli che contribuiscano al vero ben-essere quello in cui anima e corpo non sono enti disgiunti ma un unicum con il quale e nel quale l’Io stesso trova equilibrio, l’altro da sé trova arricchimento, a beneficio di una relazione umana che abbia alla base non già ciò che appare ma ciò che è: l’uomo, nella sua intima e autentica bellezza.