Mentre non cala la ridda di voci scomposte e la campagna di beceri attacchi alla decisione della Corte Costituzionale polacca per aver deciso di vietare l’aborto eugenetico, cioè la pratica abortiva in ragione di una condizione d’imperfezione o disabilità del bimbo (piede torto compreso!), di cui purtroppo la stessa Unione Europea si è fatta vergognoso megafono, giunge in questi giorni una buona notizia dal mondo anglosassone, notoriamente pro-choice, che sembra recuperare almeno un briciolo di buon senso.
La Governatrice del South Dakota (USA), Kristi Noem, ha fatto approvare una legge che vieta l’aborto sulla base di diagnosi prenatale di Sindrome di Down, utilizzando il “principio di non discriminazione”, tanto caro al mondo del politically correct.
Questa la ratio: se giustamente lavoriamo per inclusione e non-discriminazione di persone Down nella società e nella vita pubblica – asserendo con forza che devono essere trattate con tutta la dignità e rispetto di ogni altra persona – come è possibile che ne discriminiamo la nascita e il diritto ad essere tutelati in utero? Con qualche differenza, un trend analogo si sta compiendo in Inghilterra, ove viene messa sotto accusa la legge sull’aborto del 1967, che contempla una clausola di disabilità discriminatoria, in quanto prevede l’estensione del diritto d’aborto fino al non mese di gravidanza in caso di disabilità del bimbo, rispetto alla 24^ settimana per tutte le altre istanze. L’Associazione Persone Down, che da anni si sta battendo per l’uguaglianza rispetto ad ogni altro cittadino, sta raccogliendo i primi frutti del suo coscienzioso lavoro.
E in Italia? In Italia il programma della sovversione antropologica procede vergognosamente spedito: aborto chimico a domicilio “fai da te”, caccia alle streghe cioè ai medici obbiettori di coscienza, promozione dei trattamenti di transizione sessuale, indottrinamento gender nelle scuole e nella società (vedi ddl Zan), proposte legislative a favore di eutanasia e suicidio assistito. Non manca, però, un forte contrasto non solo da parte dell’associazionismo prolife, ma anche della società civile che ancora fa uso di quella merce che è diventata particolarmente rara che si chiama “buon senso”. Sempre più forte sta diventando la voce che chiede di aiutare e sostenere, anche con adeguati aiuti economici, le donne che stanno pensando (e magari sperando) di tenere il proprio bimbo; sono sempre più numerose le amministrazioni comunali che deliberano a favore della vita e dei nascituri; le “culle per la vita” danno segni di nuova ripresa; le dichiarazioni di contrasto all’ideologia gender si diffondono in modo trasversale, coinvolgendo anche il mondo agnostico e ateo.
Proprio appellandomi anche a quel mondo, lancio una proposta ed una provocazione. Il ddl Zan fra i suoi scopi dichiarati, si prefigge anche il contrasto all'”abilismo”, cioè lotta ad ogni discriminazione della persona sulla base delle sue caratteristiche psico-fisiche. Dunque, come si può accettare l’aborto motivato dal fatto che si tratta di un bimbo Down o comunque malato, discriminandolo per ciò stesso rispetto ad un bimbo sano? Se l’”abilismo” è un reato (come l’omotransfobia!) come si concilia con il “diritto” d’aborto motivato dalla disabilità?
Qual è la ratio per cui si chiede un aumento di pena, in nome della legge Mancino, per i reati di omotransfobia, mentre per la soppressione di un bimbo Down si dormono sonni tranquilli? Dove sta la coerenza per cui uno schiaffo dato ad una persona perché omosessuale va sanzionato in maniera “speciale” – invocando un aumento di pena sulla base della legge Mancino – mentre la soppressione di un bimbo perché imperfetto o Down è assolutamente legittima e legale? Quando non consigliata e auspicata!
Mi convinco ogni giorno di più che il problema non è “fides et ratio”, che vanno perfettamente d’accordo sostenendosi a vicenda, ma “ratio et civilitas”, ragione, buon senso e governo della polis: fino a che la dittatura della sovversione antropologica la fa da padrona e mette il bavaglio alla “ratio”, ci troveremo ogni giorno a contare il numero delle vittime.
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