A dieci anni dal primo accordo Fiat

Sono passati ben dieci anni dall’accordo di Pomigliano tra Fiat e i metalmeccanici di FIM CISL e Uilm. Fu il primo accordo sindacale di una serie di altri, che spinse Sergio Marchionne AD della casa automobilistica torinese, a programmare una lunga serie di investimenti per volume economico mai visti: ben 6 miliardi di euro, per ristrutturare gli impianti di tutti gli opifici della azienda automobilistica.

Quell’accordo che pur provoco una rottura profonda tra Cisl e Uil da una parte e Ggil dall’altra, fece storia per una ragione semplicissima: rese esplicito che gli accordi sindacali potevano essere garanzia per le grandi compagnie finanziarie ad investire nei grandi progetti industriali, ed ottenere sicure remunerazioni. Infatti si investe quando un piano industriale è sorretto da una buona organizzazione del lavoro voluta da impresa e lavoratori, capace di provocare una sufficiente e sicura remunerazione del capitale impegnato al fine della restituzione con interessi, di margini di guadagni della azienda, per una redistribuzione economica per i lavoratori. In particolare, il negoziato tra lavoratori e Fiat, riguardo un orario di lavoro fatto di tre turni in grado di usare gli impianti per 24 ore, ed un sistema di misurazione della maggiore produttività per incrementare i salari.

Ora, pur passati molti anni, non credo che ci sono stati molti accordi con identiche caratteristiche. Eppure quei contratti insegnano che i salari possono crescere, se cresce la produttività d’impresa che favorisce le produzioni nella loro collocazione nei mercati. Insomma se si riprendesse quella via, i lavoratori starebbero meglio, così le imprese, così l’Italia.