La dottrina sociale della Chiesa e quello sguardo ai fermenti del nostro tempo

Ho auspicato la valorizzazione politica e laica della dottrina sociale della Chiesa; gli addetti ai lavori ed i più attenti sanno di cosa parlo ma molti temono che si tratti di un fondamentalismo religioso da cui prendono immediatamente le distanze.

In realtà, la dottrina sociale della Chiesa non è nient’altro che il pensiero attuale della Chiesa, sviluppato nel secolo scorso a partire dalla fondamentale enciclica emanata da papa Leone XIII (Vincenzo Pecci) nel 1891 con la quale, per la prima volta, la Chiesa affrontò i problemi sociali, in un momento di particolare tensione conseguente alla fine del proprio potere temporale e durante il periodo di isolamento in cui Pio IX l’aveva collocata con il non expedit, cui lo Stato italiano rispose con la legge delle Guarentigie dopo la presa di Roma.

San Giovanni Paolo II in occasione del centenario dalla Rerum Novarum di Leone XIII, ne celebrò l’importanza e l’attualità con l’enciclica Centesimus annus in cui ne riprese gli spunti innovativi, ne valorizzò le intuizioni e ne rafforzò la rispondenza ai tempi moderni: tra le due, un evento epocale per la Chiesa ed il mondo intero, costituito dal Concilio Ecumenico Vaticano II, aperto da papa Giovanni XXIII nell’ottobre 1962 e concluso da Paolo VI nel dicembre 1965, tra le due encicliche Pacem in Terris del primo e Populorum Progressio del secondo. Altre encicliche dei pontefici vissuti fino ad ora annoverano contenuti di natura sociale, da ultimo Laudato sì di papa Francesco.

Ciò che qui rileva è la particolare attenzione che la Chiesa moderna, a partire dalla riduzione dei suoi poteri all’universo spirituale, ha prestato ai fermenti sociali del mondo lavorativo ed economico, pervasi dal socialismo marxista.

Ho letto con attenzione l’intervento di Matteo Gianola di mercoledì 8 su queste colonne, in cui – giustamente – l’autore puntualizza che il capitalismo non è la bestia nera dell’umanità e che rappresenta l’unica soluzione economica al sistema di sviluppo sociale: solo attraverso un sistema vero di libero scambio si è realizzata la crescita del benessere in ogni angolo del mondo e che, tendenzialmente, permetterà lo sviluppo anche di quei paesi, oggi, considerati del terzo mondo.

Considerazione giustissima e pienamente da condividere; ma l’autore riconosce che il sistema libero che riporta qualsiasi cosa alle decisioni e alle azioni personali – pur preferibile a qualunque forma di assistenzialismo e di accentramento delle decisioni sottratte alla libertà di azione e di impresa – è imperfetto non solo perché, tralasciando i problemi fin troppo evidenti della fame e della povertà e della insussistenza dei mezzi primari in diffuse aree del pianeta, sono ancora marcatissime le sperequazioni e le disuguaglianze sociali, con inaccettabile arricchimento di una sparuta cifra di monopolisti a danno di gran parte di lavoratori ed operatori, ma anche perché si sente forte l’esigenza di introdurre un’etica dell’economia che vada ad incidere sui freddi meccanismi di calcolo scientifico ed asettico dei flussi, con l’esplicito scopo di correggerne opportunamente la portata e l’impatto con le esigenze riconosciute dello sviluppo sociale: un esempio illuminante è il famoso secondo comma dell’art. 3 della Costituzione: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Queste considerazioni hanno contraddistinto il pensiero della Chiesa cui innanzi ho fatto cenno: anzitutto la tutela degli innegabili diritti dei lavoratori quale limite dello sfruttamento dei mezzi di produzione se l’obiettivo non sarà la massimizzazione del profitto ma la soddisfazione dei partecipanti al processo produttivo. Sull’altro verso, analogamente, ancora non è stato risolto il concetto del giusto prezzo, inteso quale correttivo del prezzo derivante dal mero rapporto tra la domanda e l’offerta nonostante la distinzione tra valore e prezzo fu resa evidente in epoca scolastica e posta alla base dell’etica francescana.

Se la risposta data dai falliti sistemi ad economia centralizzata ed imposta dall’alto è stata inaccettabile non solo per il tracollo finale cui sono pervenuti ma anche e principalmente per le riconosciute privazioni, morali e materiali, imposte ai popoli che hanno dovuto subirli allora la ricerca dei criteri di sviluppo va effettuata anzitutto in maniera condivisa ed all’interno del rispetto delle contrapposte libertà (e questo già rappresenta un correttivo etico alle leggi economiche) ma anche con la salvaguardia non solo dei più elementari criteri di rispetto della persona umana e delle conquiste individuali e collettive raggiunte proprio in conseguenza dell’attuale grado di sviluppo. Ancora tanta strada è da fare affinché l’Uomo abbia a godere del mondo in cui vive: occorre ripensare all’ordine gerarchico dei beni ed è necessario individuare una guida che tenga fermo il timone all’interno dell’ampia strada da percorrere nello sviluppo.