RITROVATO NEL FORO ROMANO IL LIMONE PIÙ ANTICO DEL MEDITERRANEO

“Il limone più antico del Mediterraneo”, con tanto di polpa fresca e semi, è stato ritrovato nell’ultima campagna di scavo a Roma, effettuata al Carcer Tullianum, noto anche come Carcere Mamertino, con annesso nuovo percorso museale. “E’ il più antico ritrovamento di un limone in un contesto archeologico del Mediterraneo – spiega il direttore archeologo per l’Area di Roma, Patrizia Fortini – Era parte delle offerte per un rito votivo e le analisi al radiocarbonio lo datano al 14 d.C., molto prima, cioè, di quando fino a oggi si pensava che il limone fosse arrivato dall’Asia”. I resti del limone, che porta con sé nuove considerazioni anche sul Carcer, saranno esposti all’interno del Museo del Tullianum.

Questa prigione dell’antica Roma ospitò nelle sue celle gli apostoli Pietro e Paolo prima che fossero martirizzati. “È stata fatta una lunga campagna di restauro e un lavoro di ricerca scientifica restituendo questo luogo di devozione a una dignità per i visitatori e per i pellegrini – spiega monsignor Ernesto Mandara, vescovo ausiliare per il settore Centro –. Speriamo che anche attraverso l’attenta gestione affidata dell’Opera romana pellegrinaggi questo bene possa diventare luogo di pellegrinaggio e luogo tramite cui conoscere come la storia cristiana si innesta nella storia romana”.

Frutto della sinergia tra la Sezione arte sacra e beni culturali del Vicariato, della Sopraintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e dell’Opera Romana Pellegrinaggi (Orp), i nuovi scavi permettono di rileggere il Carcere Mamertino. Mentre il nuovo percorso di visita, che dalla cella più bassa del carcere, il tullianom, sale fino alla cappella del Crocifisso, offre ai visitatori un’esperienza profonda e suggestiva di fede. “Il tulianum in origine era un luogo sacro pagano, legato al culto delle acque sotterranee – illustra Patrizia Fortini, che ha diretto gli scavi –. Un unicum dal punto di vista architettonico”.

L’edificio circolare di 7 metri di diametro è costruito in blocchi di peperino “con un piano pavimentale che – prosegue l’archeologa – è un muro composto da 2 filari di blocchi soprapposti alti 1,60 metri”. Qui un foro quadrato consente all’acqua di falda di risalire e stendersi sull’area. A testimoniare il culto dell’acqua sorgiva il ritrovamento di una stipe votiva, databile tra il V e la fine del III secolo a.C. “L’acqua è fonte di vita – continua – ma, attraverso il foro, mette in contatto con l’aldilà, quindi è anche un luogo pericoloso”. Tra il IV e il VI secolo fu inserito nelle mura di cinta del Campidoglio, divenendo il carcere della città per i nemici dello stato che attraverso una botola venivano gettati nel tullianum. “Non venivano uccisi – precisa Fortini –. Lo sparire sottoterra del nemico si collega alla simbologia originaria della sorgente che scaturisce dalla terra attraverso il foro che è il contatto con l’aldilà: è come un assegnare alle forze ultraterrene il nemico che scompare dal consesso umano. Ma stiamo studiando con il Dipartimento di Diritto romano della Sapienza queste nuove forme di pene”.

La tradizione cristiana lega il Mamertino alla prigionia di Pietro e Paolo che qui convertirono e battezzarono i loro carcerieri, Processio e Martiniano, assieme a 46 martiri con dell’acqua scaturita miracolosamente. Probabilmente il riferimento è al foro sul pavimento, da cui ancora oggi sgorga dell’acqua con cui i pellegrini si aspergono. “Il passaggio al culto di San Pietro – conclude l’archeologa –avvenne nel VII secolo d.C., perché è tra il VI e il VII secolo che il monumento subisce una crisi e dall’VIII-IX è divenuto la chiesa di San Pietro”. Lo testimoniano due affreschi finora coperti dalla calce risalenti all’VIII-XIII secolo. Una copia, ricostruita con il laser, di quello con Gesù che tiene la mano sulla spalla di Pietro che lo guarda intensamente e sorride, è stata donata al vescovo Mandara lunedì sera all’inaugurazione dei restauri.

Il nuovo percorso con l’ausilio di suoni, luci e video multimediali prende per mano il pellegrino alla scoperta del sito. “Questi luoghi hanno una storia – afferma padre Cesare Atuire, amministratore delegato dell’Orp – e sono testimonianza di una continuità di devozione e fede. Non si visitano solo le pietre, il pellegrino cristiano entra in un’esperienza umano-divina”. “Un assetto bellissimo – commenta dal canto suo monsignor Virgilio La Rosa, rettore della chiesa –. Vorrei però celebrare quotidianamente nella cappella del Crocifisso a cui i romani sono molto devoti, ma per ora è all’interno del percorso della visita”. “Presto arriveranno le traduzioni dei video in francese, inglese, spagnolo, tedesco e giapponese”, annuncia l’architetto Stefano Di Stefano. Intanto l’Orp offre un nuovo servizio per i pellegrini: un pulmino a metano da 28 posti che dalla basilica di San Pietro raggiunge il Mamertino.