Record di imprese a Roma

In valori assoluti sono Roma (+3.168) e Milano (+2.570) a segnare i saldi maggiori tra iscrizioni e cessazioni di impresa nel periodo compreso tra aprile e giugno scorsi, precedendo Napoli (+1.636) e Torino (+1.142). Lecce e Sassar, invece, i sono al vertice della classifica provinciale per tasso di crescita delle imprese nel secondo trimestre 2019. Secondo dati di Unioncamere e InfoCamere, le due province del Mezzogiorno registrano l'incremento relativo più elevato, rispettivamente +0,85% e +0,84%, precedendo di poco Bolzano (+0,83%), Aosta (+0,82%) e Prato (+0,79%). “Unioncamere sottolinea che nel secondo trimestre è il Mezzogiorno a trainare la crescita delle imprese: delle 29 mila unità in più che risultano al Registro delle Camere di commercio come saldo tra iscrizioni e cessazioni, quasi 11 mila, una su 3, si trovano nelle regioni del Sud- riferisce l’Ansa-.Il meridione mette a segno anche l'incremento relativo più elevato (+0,52%)”. Non a caso, nei primi 20 posti della graduatoria per tasso di crescita si incontrano 10 province meridionali: oltre a Lecce e Sassari, Vibo Valentia, Pescara, Brindisi, Caserta, Campobasso, Nuoro, Crotone e Palermo. In tutte le regioni, evidenzia l’Ansa, il trimestre si è chiuso con il segno positivo: dalla Lombardia (5.014 imprese in più), alla Valle d'Aosta (101).

Il primato della capitale

Se Roma guida la classifica italiana per numero di imprese è anche per le radici storiche del suo tessuto economico. E per la lungimiranza dei Pontefici. Nella penisola italiana, infatti, le Camere di Commercio arrivarono due secoli fa con il vento impetuoso della modernizzazione napoleonica. Oggi se ne contano 83 più 76 all’estero ma quella della Città eterna è l’unica ad avere un Papa come fondatore. L’8 luglio 1831 un editto di Gregorio XVI, celebre più come bersaglio delle invettive del poeta Giuseppe Gioachino Belli che per la pur solida formazione teologica, istituì la Camera di Commercio di Roma che nella storica sede di Via de’ Burrò ha recentemente restaurato il busto del Pontefice scolpito nel 1835 dallo scultore Pietro Tenerari.  Durante l’Anno Santo straordinario della misericordia, nel maggio 2016, il “Giubileo delle donne e degli uomini che fanno impresa” fu realizzato dall’Istituzione economica creata da Gregorio XVI e, in piazza San Pietro, al suo successore Francesco, davanti a 18mila imprenditori romani, fu donata la bisaccia del pellegrino, la stessa di chi aveva percorso le vie delle fede, come la Francigena, per ottenere l’indulgenza giubilare. “A Papa Francesco abbiamo consegnato anche un libro con i suoi testi che richiamano il ruolo delle imprese e degli imprenditori nella società – sottolinea Lorenzo Tagliavanti, presidente Cciaa Roma e  Unioncamere lazio – Le imprese sono le uniche strutture che creano ricchezza, poi lo Stato pensa a redistribuirle, a dare le regole, ma la prosperità di una nazione è fatta dalla capacità dei propri cittadini, attraverso la forma dell’impresa, di creare occupazione e capacità economica non solo per l’azienda stessa, ma anche per il territorio e per il Paese. Questo è il grande sforzo. Questo va fatto non pensando solo al profitto, anzi, soprattutto a quanto intorno a sé può costruire un’azienda, ovvero a una crescita che serve a qualcosa, soprattutto all’uomo. La vera missione dell’imprenditore è quella di riuscire a creare ricchezza per tutti”.

L’eredità pontificia

L'interesse per l’economia ha radici antiche in Vaticano. Con la Rerum Novarum, Leone XIII avviò nel 1891 la Dottrina sociale della Chiesa. Nel 1931, Pio XI, il Papa dei Patti Lateranensi, pubblicò un’enciclica sugli effetti della crisi del 1929, la Nova Impedent, che così esordiva: “Un nuovo flagello minaccia e in gran parte già colpisce il gregge a noi affidato, e, più, duramente la porzione più tenera e più affettuosamente amata, cioè l'infanzia, gli umili, i lavoratori meno abbienti e i proletari. Parliamo della grave angustia e della crisi finanziaria che incombe sui popoli e porta in tutti i paesi ad un continuo e pauroso incremento della disoccupazione”. Molte le successive encicliche a carattere economico, specie di Giovanni Paolo II, dalla Laborem Exercens (1981) alla Sollicitudo Rei Socialis (1987), alla Centesimus Annus (1991). Le correnti che hanno ispirato la “politica economica” della Chiesa sono sempre state in buona parte riconducibili alla dottrina sociale, ma già nello Stato Pontificio, prima che i Papi perdessero il potere temporale, dal Soglio di Pietro ci si interessava a come favorire il corretto svolgimento dei commerci e delle attività economiche. L’8 luglio 1831, a dimostrazione della ferma volontà di portare sostanziali miglioramenti nel suo Stato, alle prese con opposte dominazioni e influenze geopolitiche straniere, Gregorio XVI promulgò l’editto per l’istituzione a Roma di una Camera di Commercio. “A rileggerlo oggi emerge la modernità della sua formulazione”, spiega Tagliavanti alla guida anche di InfoCamere, la società delle Camere di Commercio italiane per l'innovazione. “È un ottimo documento di economia politica che affidava alla Camera l’incarico di vigliare sul buon andamento e la prosperità del commercio a Roma”. L’aspetto più originale, in particolare, era l’intenzione di fare della nuova istituzione un motore dello sviluppo, stabilendo una periodica verifica degli ostacoli che ne impedivano i progressi e degli interventi che ne favorivano la promozione. Inoltre, la Segreteria di Stato si faceva carico di selezionare tra personalità competenti i tecnici dei Tribunali per il commercio.

Il futuro ha un cuore antico

Per fronteggiare il malcontento dei laici, ancora esclusi nello Stato pontificio dalle principali cariche governative, Gregorio XVI prese le distanze dai proprietari terrieri e dai vecchi protagonisti della storia economica di Roma alleandosi con il ceto mercantile romano le cui nuove famiglie costituirono da subito l’anima della neo-istituita Camera di Commercio. A partire dal 1830 il bilancio statale si era man mano aggravato e, per correre ai ripari, il governo pontificio aveva fatto massicciamente ricorso alla pressione fiscale, contraendo i prestiti all’estero e aumentando lo scontento fra la popolazione. Nonostante le difficoltà e un quadro generale di turbolenza sociale, la Camera di commercio di Roma si insediò il 27 luglio del 1831 e si mise subito al lavoro affrontando, prima di tutto, i più urgenti problemi di organizzazione e cioè il proprio finanziamento e il regolamento. Tra le emergenze, la semplificazione delle procedure dei tribunali di commercio.  L’editto pontificio del 1831 risentiva dell’esperienza napoleonica e l’inquadramento giuridico definitivo arrivò solo nel 1835, insieme con la definizione legislativa delle borse commerciali e degli agenti di cambio. Il lascito della tradizione dello Stato pontificio è rappresentato anche dal Tempio di Adriano, in Piazza di Pietra, monumento che fu dedicato all’imperatore Adriano dopo la sua morte, nel 145 d. C. Nel 1695 l’Architetto Francesco Fontana fu incaricato da Innocenzo XII di costruire il palazzo della Dogana di Terra pontificia, ovvero per le merci che arrivavano a Roma via terra (la dogana per quelle che arrivavano via mare era situata invece a Ripa Grande) e lo realizzò, grazie al progetto di suo padre Carlo, proprio tra i resti del Tempio di Adriano. Le undici colonne costituirono il corpo centrale del palazzo, sviluppato su due piani, con dieci finestre, oltre il pianterreno, con quattro porte e otto finestre. Nel 1873, l'edificio fu acquistato dalla Camera di Commercio di Roma che vi pose la sua sede e quella della Borsa Valori, facendolo ristrutturare dall’architetto Virginio Vespignani.  Quella di Roma è anche l’unica Camera di Commercio a non avere nella sua fondazione l’impronta ideologica di quella borghesia che nell’Ottocento si riconosceva nella massoneria. Aver introdotto un’innovazione di ispirazione napoleonica nell’antiquato e immobile tessuto socio-economico papalino fu una mossa non priva di coraggio da parte del tutt’altro che rivoluzionario Gregorio XVI, soprattutto in una situazione di sommovimenti sociali e sotterranei conflitti di potere. Ma la creazione della Camera di Commercio si dimostrò una scelta pienamente azzeccata principalmente dal punto di vista della politica economica perché, aggiunge Tagliavanti, “favoriva l’autonomia economica dello Stato Pontificio, oltre ad introdurre un fattore di dinamicità rispetto all’immobilismo delle rendite dell’aristocrazia nell’agro pontino e alla tradizionale staticità della proprietà terriera degli ordini religiosi”.  Non a caso la prima sede della Camera di Commercio di Roma fu Civitavecchia, il porto di Roma, “il luogo dei traffici, dove si intrecciavano gli interessi di commercianti inglesi, francesi o piemontesi con quelli del nuovo ceto mercantile romano”, precisa Tagliavanti.

Il graffio di Pasquino

Altrettanto significativamente, quando poi la sede fu trasferita a Roma, la collocazione individuata fu quella della dogana, cioè un posto fisicamente e simbolicamente intrecciato ai commerci nella Città eterna. E il popolo romano comprese subito che la Camera di Commercio era un luogo rilevante per il benessere della comunità e anche una sorta di occasione per bilanciare, equilibrare e regolare tensioni interne a un corpo sociale in turbolenta evoluzione. Che il nuovo potere passasse anche di lì se ne accorse presto anche Pasquino, voce anonima dei romani, la statua “parlante” attraverso la quale la satira popolare esprimeva i propri umori nella Roma papalina. E così quando morì uno dei primi presidenti della Camera di Commercio, un ligio e devoto funzionario di nomina pontificia oggi effigiato in un busto nel piano nobile della sede a pochi passi da Palazzo Chigi, apparve un caustico ma riconoscente cartello sulla Statua di Pasquino a lato di piazza Navona: “È morto perché non mangiava”. Segno che il popolo aveva apprezzato la sua onestà evidentemente piuttosto rara negli incarichi pubblici dell’epoca.  Ad essere immortalato nella scultura commemorativa e ancor più nella “vox populi” fu l’imprenditore e politico Camillo Jacobini, di antica casata parmigiana trasferitasi a Genzano nel 1630, ministro del Commercio e dei Lavori pubblici durante il pontificato di Pio IX: a lui si deve, tra l’altro, la costruzione del ponte di Ariccia e altre rilevanti opere pubbliche. Dopo un secolo e mezzo la radice pontificia riemerge in una serie di iniziative messe in campo in collaborazione con associazioni cattoliche e enti ecclesiali come il Rapporto annuale della Caritas sull’immigrazione, nel quale il dossier statistico sulle nuove imprese create da stranieri (l’11% del totale) è realizzato dalla Camera di Commercio di Roma.