I giudici: “Da Buzzi e Carminati corruzione, non mafia”

Non c’è mafia, solo corruzione in quella vicenda che, per diversi anni, è stata indicata sotto il nome di Mafia Capitale. Dopo la sentenza del 20 luglio scorso, quando l’aggravante mafiosa venne fatta decadere dai giudici, il nome convenzionale utilizzato per la maxi-inchiesta sul giro di criminalità che ha attanagliato la città di Roma nel recentissimo passato è “mondo di mezzo”. Quel limbo che, più volte, è stato menzionato dal Ras delle cooperative, Salvatore Buzzi, il principale imputato del processo assieme all’ex Nar Massimo Carminati. Ai due, posti inizialmente dall’accusa a capo di un presunto sodalizio di stampo mafioso in grado di scalare i vertici dell’istituzione locale e organizzare una rete di proventi illeciti e corruzione, il Tribunale ha comminato le pene più severe (19 anni a Buzzi, 20 a Carminati) ma, a entrambi (come anche agli altri imputati sui quali gravava la stessa accusa), è stata disconosciuta l’associazione di stampo mafioso e, conseguentemente, decaduti i presupposti per il 416bis poiché, come spiegato nelle 3.200 pagine (circa 200 riservate per i chiarimenti sul perché questo non fosse mafia) di motivazioni presentate oggi, “non è sufficiente il ricorso sistematico alla corruzione ed è invece necessaria l’adozione del metodo mafioso”.

“Due gruppi criminali ma non mafia”

Come affermato dal collegio della X Sezione penale del Tribunale di Roma, il metodo mafioso “si sostanzia nella sussistenza di tre requisiti specifici”, ossia la forza d’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà: nessuna di queste, però, sarebbe stata riscontrabile nell’inchiesta su Mafia Capitale. Secondo il Tribunale, infatti, “estendere l’interpretazione della norma condurrebbe il tribunale a un’operazione di innovazione legislativa della fattispecie criminosa, innovazione che, per quanto auspicabile, si collocherebbe inevitabilmente fuori dell’ambito della giurisdizione”. In effetti, nemmeno per la Banda della Magliana venne contestata l’associazione mafiosa. I giudici hanno comunque confermato l’esistenza di due gruppi criminali,uno relativo all’usura, l’altro all’accaparramento degli appalti, rimasti a ogni modo separati poiché “nessuna risultanza istruttoria dimostra che Buzzi e i suoi sodali, nelle attività illecite riguardanti la pubblica amministrazione, conoscessero e intendessero avvalersi dei metodi e dei comportamenti utilizzati dal gruppo costituitosi presso il benzinaio di Corso Francia”. Quello di Carminati.

Mondo di mezzo, “fatti di estrema gravità”

Nessuno dei due gruppi, però, sarebbe inquadrabile sotto l’appellativo di “cosca” e, nonostante la presenza “dell’erede della Banda della Magliana” (come l’ex Nar è stato definito dai giudici), non esistono motivazioni sufficienti “a stabilire un rapporto di derivazione tra detta banda e successive organizzazioni in cui Carminati si trovi coinvolto. Peraltro, neppure per la Banda della Magliana si è potuti giungere ad affermare che si trattasse di un’associazione di tipo mafioso”. Non v’è dubbio, però, “che i fatti accertati siano di estrema gravità, intanto per il loro stesso numero, poi per essere stati i reati realizzati in forma associata e infine per la durata stessa della condotta antigiuridica, che è proseguita nel tempo e che, con l’affinamento dei metodi di azione, ha creato le premesse per una permanente operatività, interrotta soltanto dalle indagini prima e dal processo poi”.