#ColosseoRosso: l'omaggio ai cristiani perseguitati

Duemila anni fa il Colosseo si tingeva del sangue dei cristiani, dati in pasto alle belve sotto gli occhi divertiti di centinaia di persone. Uccisi nell'arena perché credenti in Gesù Cristo. Martiri, dunque, che grazie al loro sacrificio hanno posto le basi della Chiesa. Dopo due millenni, l'Anfiteatro Flavio torna a tingersi di rosso per vincere l'indifferenza dell'umanità nei confronti di tante persone che, ancora oggi, in diverse parti del mondo, vengono perseguitate perché credenti in una qualsiasi religione. Un evento, organizzato da Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) dal carattere internazionale: infatti, altri tre monumenti del mondo, in contemporanea, si sono illuminati di rosso: la Cattedrale di Sant'Elia ad Aleppo, in Siria, e la chiesa di San Paolo a Mosul, in Iraq. Luoghi simbolo della persecuzione religiosa. In tanti, nonostante la pioggia, sono accorsi alla terrazza di Colle Oppio per assistere alla serata, alla quale prendono parte i più alti rappresentanti della Chiesa cattolica, tra i quali il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il Segretario Generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, e  delle istituzioni europee, come il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani.

Il momento più toccante è la testimonianza, inedita, di Rebecca Bitrus, ragazza nigeriana sopravvissuta alla violenza di Boko Haram, e dei familiari di Asia Bibi. Le loro lacrime si mescolano alla pioggia che, incessante, bagna la Capitale. Gocce d'acqua che non spengono il ricordo dei martiri del XXI secolo. A conclusione dell'evento, infatti, dal palco allestito di fronte il Colosseo, dieci lanterne luminose vengono lanciate in cielo, una per volta; ognuna di esse simboleggia un martire cristiano. Vengono ricordati, tra gli altri: Padre Jacques Hamel, parroco francese, ucciso il 26 luglio 2016 mentre celebrava la Messa a Saint-Etienne-du-Rouvray; don Andrea Santoro, sacerdote italiano, ucciso il 5 febbraio 2006 a Trebisonda in Turchia; Adam Udai, 3 anni, iracheno, ucciso a Bagdad il 31 ottobre 2010; Mary Muchire Shee, 21 anni, studentessa keniota, uccisa il 2 aprile 2015 a Garissa. Uomini, donne e bambini, nostri fratelli, uccisi soltanto perché cristiani. 

Da quelle mura, un tempo teatro di morte, sale alto il grido dei perseguitati; si accende di rosso per dare una voce ai tanti colossei che, come ricorda Papa Francesco, ci sono nel mondo. 

Il collegamento con Aleppo e Mosul

“La guerra ad Aleppo è finita ma sono in corso battaglie in altre città della Siria, come la capitale, Damasco, bombardata da tanti missili. Quindi, continuano a essere decimante le vite di tanti civili e di tanti bimbi”. Padre Firas Lufti, in collegamento dalla cattedrale di Aleppo, racconta il clima che vivono i cristiani in Siria: “La società è preoccupata di rimettere in piedi non solo le pietre della nostra chiesa, ma anche i bambini che sono rimasti orfani di papà e mamma. Aleppo è una città che sta rinascendo malgrado tutte le fatiche di un cammino difficilissimo. Noi contiamo sulla speranza, che non è mai venuta meno in questi anni, e sulla preghiera dei bambini. Con questa iniziativa, la Chiesa è riunita come un corpo unico. Ci dà la forza di rimetterci in cammino in questa città martire”. Dalla cattedrale di Mosul, padre Jalal Yako parla dei cristiani perseguitati nella Piana di Ninive: “Ci sono anche musulmani qui con noi per testimoniarci la loro vicinanza. Quasi il 50 per cento delle persone è tornato nella Piana di Ninive. È ricominciata la loro vita nonostante le difficoltà che trovano”. Poi il ringraziamento alla Chiesa che, “da tante parti del mondo, Europa e America, ci è stata vicina”. “Abbiamo illuminato di rosso la cattedrale di San Paolo. È un’esperienza forte per tutte le nostre chiese che, a Mosul, sono un mosaico, tanto vicine nella prova ma anche nel momento di riprendere la vita nei villaggi”, conclude.

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Le testimonianze dei perseguitati

Sul palco, tra le lacrime, sale la figlia di Asia Bibi, Eisham, 18 anni. Ricorda i momenti in cui sua mamma è stata portata in prigione:  “L’unico ricordo forte che ho di mia madre in libertà è quando è stata portata con una cintura al collo, come un cane, per le strade del paese, sanguinava. Solo perché crede in Gesù Cristo. È un dolore che non riesco a dimenticare. Lei ha detto che non voleva abbandonare la sua fede né la sua famiglia ed è stata trattata così”. Allora la giovane aveva appena 9 anni: “Mi hanno preso e gettata contro un muro, hanno picchiato mia madre, le hanno strappato i vestiti e l’hanno portata dalla polizia, che le voleva dare da bere urina”. Nelle sue parole, anche il ricordo dell’ultimo incontro con Asia Bibi, avvenuto il 17 febbraio: “Le abbiamo detto che venivamo a Roma per incontrare il Papa e diversi amici che pregavano per lei. Mi ha chiesto di ringraziare tutti e di portare un bacio al Papa”. Suo padre, presente accanto a lei, racconta invece di “molti gruppi islamisti che hanno messo una taglia sulla sua testa e che hanno chiesto di ucciderla se dovesse essere liberata. Anche i giudici non si vogliono forse prendere la responsabilità di giudicare”. E prosegue: “Lei andava a raccogliere la frutta. Ed è stata accusata di blasfemia, ma l’unica colpa è quella di avere bevuto l’acqua dallo stesso bicchiere delle altre donne musulmane”. “Se avesse commesso blasfemia nei confronti del profeta avrebbe cercato la fuga. Invece è andata a lavoro altri cinque giorni. È solo l’accusa di impurità verso un cristiano che ha contaminato l’acqua e il bicchiere di un musulmano”, spiega. Prende la parola anche Rebecca Bitrus, 28enne nigeriana rapita dai terroristi di Boko Haram, che per due anni l'hanno violentata: “Mi hanno detto di rinunciare alla fede, ma ho detto di no. Hanno preso un’arma. Volevano uccidermi. Io pregavo col mio rosario. Hanno gettato nel fiume e annegato mio figlio Jonathan. Mi è rimasto solo l’altro, Zaccaria. Poi, mi hanno torturato e violentato”. Infine, il “grazie” ad Acs “per aver dato voce alle nostre storie”.

Parolin: “La libertà religiosa è continuamente minacciata”

Critico il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, che dalla terrazza di Colle Oppio afferma: “La libertà religiosa è continuamente minacciata sia per quanto riguarda i cristiani sia per gli appartenenti ad altre religioni”. Dal porporato arriva una ferma “condanna di tutte le persecuzioni nei confronti di qualsiasi persona credente”. E aggiunge: “Aleppo e Mosul sono luoghi simbolo dell’immane dolore provocato da ideologie fondamentaliste. Vengono stasera collegate con un altro luogo simbolo per i cristiani, il Colosseo”. Il suo pensiero va al Medioriente e a tutte quelle parti del mondo dove le persone vengono “provate” dalla violenza a causa della propria fede: “Questi nostri fratelli sono le prime vittime di una mentalità che non conosce lo spazio per l’altro, che preferisce sopprimere piuttosto che integrare, di ideologie che non conoscono il rispetto per la dignità umana”. “Solo tornando a Dio possiamo diventare artefici di pace”, conclude. 

Galantino: “Viviamo la fede con superficialità”

Mons. Galantino, Segretario Generale della Cei, invita a riflettere su come oggi l'Occidente viva la prorpia fede: “Il Colosseo illuminato di rosso ci evoca il sacrifico di amore in un mondo come il nostro sempre più a corto di testimoni coerenti e credibili di Cristo e del Vangelo. Siamo qui per dire grazie a tanti uomini, donne e bambini per la loro testimonianza coraggiosa. Il loro martirio ci dice che ha senso restare fedeli a Cristo e al suo Vangelo”. E aggiunge: “Il sangue dei nuovi martiri è condanna alla nostra superficialità e alla superficialità con cui viviamo la nostra fede, ridotta troppo spesso ad apparenza e a parole, semmai pie, ma irrilevanti. Cerimonie e parole su cui facciamo fatica a scommettere noi stessi”. Per Galantino, il Colosseo “crea e riannoda un legame virtuoso tra cristiani della prima ora e quelli uccisi ancora oggi in varie parti del mondo per aver accolto Gesù e il suo Vangelo”. Poi l'appello a “fare tutto il possibile per fermare la violenza cieca di chi assale chiese, bisogna fermare le leggi contro la blasfemia che hanno lo scopo di schiacciare la libertà di chi la pensa diversamente”. E, giudicando “insopportabile il silenzio di tante istituzioni davanti alle violenze sui cristiani”, il presule condanna la “commozione a intermittenza di agenzie umanitarie”.

Tajani: “L'Onu riconosca la persecuzione dei cristiani come genocidio”

Il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, rivolge un appello all'Onu: “Il Parlamento europeo è sempre stato molto fermo nel condannare le persecuzioni dei cristiani nel mondo, ha avuto il coraggio di definire la persecuzione dei cristiani come un genocidio. Mi piacerebbe che l’Organizzazione delle Nazioni Unite avesse lo stesso coraggio e determinazione”. Poi aggiunge: “Da qui deve partire un messaggio a sostegno della libertà. Ogni uomo e ogni donna deve potere manifestare la propria religione. Non è un fatto privato. Chi spara e violenta in nome di un Dio spara e usa violenza contro quel Dio. Questo è contro i valori fondanti dell’Europa ed è dovere dell’Europa combattere contro ciò”. Fatti che, sottolinea Tajani, accadono “in Nigeria, in Pakistan, ma anche nella Federazione russa e nelle chiese copte”. Ricordando l’impegno dell'europarlamento per la libertà di Asia Bibi, afferma: “È una questione di difesa di valori fondanti della nostra società, che la contraddistinguono. Non dobbiamo rinunciare alla denuncia e neppure all’azione, quando vediamo migliaia di persone fuggire dall’Africa a causa del terrorismo di Boko Haram, che deve essere fermato. La forza della giustizia e della libertà devono impedire che donne e uomini possano essere uccisi e violati”. Infine, Tajani sostiene che “non si può garantire la libertà in Europa e non averla da altre parte del mondo”. Quindi, “il Parlamento europeo continuerà a fare sentire forte la sua voce finché non otterremo la libertà di Asia Bibi e finché Boko Haram non smetterà le sue violenze”.