Zio Albino, un Papa senza paura

Sono passati esattamente quarant'anni dall''Habemus Papam' pronunciato da Pericle Felici, cardinale protodiacono, che annunciava al mondo l'elezione al soglio pontificio di Albino Luciani. L'ex patriarca di Venezia scelse di chiamarsi Giovanni Paolo I e conquistò subito la folla in piazza San Pietro per la genuinità con cui raccontò divertito gli attimi immediatamente successivi alla sua designazione. Troppo spesso la storiografia si è occupata della figura dell'ultimo pontefice italiano soltanto per soffermarsi sul capitolo della morte, cedendo frequentemente alla tentazione di alimentare sterili teorie del complotto. Ma la vicenda storica ed umana di Papa Luciani merita molta piu attenzione del fantomatico giallo sul suo decesso costruito da qualcuno per vendere copie. In Terris ha voluto approfondirla grazie ad un'intervista rilasciata da Pia Luciani, la prima nipote di Giovanni Paolo I, figlia del fratello Edoardo. Quel giorno di 40 anni fa, Pia era una giovane di Canale d'Agordo, in provincia di Belluno, che vide suo zio diventare il 263 successore di Pietro. 

Dottoressa Luciani, nonostante il pontificato di Giovanni Paolo I durò appena 33 giorni, ancora oggi la sua figura continua a essere una delle più amate nella storia contemporanea della Chiesa. 
“Non mi sorprende. Lui era una persona troppo speciale. Un uomo molto semplice nel comportamento ma di grande cultura. Amava il Signore ma amava moltissimo anche il prossimo. Era sempre pronto a consolare gli altri, anche mentre soffriva intensamente”.

C'è chi tende ad identificarlo soltanto come il “Papa del sorriso”. Non trova riduttiva questa definizione?
“Molto. Il suo sorriso non era qualcosa di sciocco, aveva un significato profondo, principalmente di incoraggiamento verso gli altri. Potremmo dire che il suo sorriso era una manifestazione di accoglienza verso gli altri. Era un segno della sua serenità interiore che conservava anche nei momenti di maggiore difficoltà perchè aveva sempre grande fiducia verso il Signore e verso la Provvidenza”.

Che ricordi ha del momento in cui suo zio Albino si è affacciato alla loggia centrale della Basilica di San Pietro?
“E' stata una grandissima emozione. Ma non è stato un evento del tutto inaspettato per noi familiari: mio padre lo diceva sempre che prima o poi 'ce lo avrebbero portato via' (dal Veneto, ndr) perché era una persona davvero eccezionale. Il peso da portare era enorme ma lui era tranquillo perché aveva grande fiducia nella Provvidenza e dopo l'elezione diceva: 'Devo fare tutto quello che posso fare perché sento di dover fare come se tutto dipendesse da me, ma poi devo abbandonarmi al Signore perché in realtà tutto dipende da Lui'”. 

Un altro luogo comune su Giovanni Paolo I è quello che lo vorrebbe presentare come un Papa debole, non pronto all'incarico a cui era stato chiamato.
“Tempo fa uno storico mi ha detto: 'Tuo zio è stato schiacciato dal peso del pontificato'. Ma non è affatto così: sotto questo aspetto, lui era già stato vaccinato nel periodo di Venezia. I 33 giorni di pontificato gli sono bastati a fare tantissime cose. Ricordo che una volta mi invitò a pranzo in Vaticano, all'epoca studiavo all'università a Roma. Ad un certo punto, mentre eravamo a tavola a parlare di questioni familiari, si è rivolto a uno dei suoi segretari e gli ha chiesto se avesse fatto quello che gli aveva chiesto. Quando il segretario rispose che non era stato possibile perché non era mai stato fatto prima, lo zio gli replicò: 'Riprova e dì che siccome è il Papa a volerla, bisogna assolutamente trovare il modo di farla'. Alle obiezioni del segretario, si girò verso di me e riprese il nostro discorso interrotto, ignorandolo. Questo episodio dimostra che era un uomo di grande carattere. Prima di prendere una decisione ci rifletteva molto, studiava, ascoltava il parere degli altri ma poi, se riteneva che una cosa andasse fatta, procedeva fino in fondo seppur con dolcezza e con buone maniere”.

Le parlava mai del Concilio Vaticano II?
“Moltissimo. Per lui il Concilio è stato qualcosa di positivo, nel quale ha trovato le risposte che cercava.Mi diceva: 'Mi sembra di essere tornato uno scolaretto delle elementari che deve imparare tutto'. Per zio Albino il Concilio ha rappresentato la sua terza formazione, dopo quella del seminario e della Gregoriana, la più consistente. Durante quegli anni diceva che in diocesi aveva a che fare con tre tipologie diverse di sacerdoti che chiamava 'quelli dei 3 concili': 'chi non vuole cambiare nulla e sta col Vaticano I, chi con la scusa del Concilio sta correndo troppo e sta facendo cose che esso non ha mai detto e poi c'è un piccolo gregge di preti che accetta il Vaticano II per com'è realmente'. Il Concilio aveva portato delle grandi novità che apprezzava ma riteneva che andasse in letto in segno di continuità perchè non era mica la rivoluzione che disfaceva quello che c'era prima. Si trattava di adattare la Chiesa a una realtà sociale che era cambiata, ma il Vangelo restava lo stesso così come i principi di fondo”.

Qual è l'eredità più grande lasciata da Papa Luciani alla Chiesa?
“L'esempio di applicazione del Vangelo che ha dato. E la sua fedeltà agli insegnamenti evangelici che ha applicato nel migliore dei modi, anche mostrando il volto di una Chiesa povera. Da piccolo aveva sofferto la fame quindi era molto sensibile verso la povertà. Ad esempio, nelle visite agli ospedali si faceva dire dal parroco se le famiglie dei malati erano anche povere. Se la risposta era affermativa, si piegava verso il letto ed allungava sotto il cuscino una busta coi soldi. Mentre lui viveva in un'umiltà vera, non falsa e alla suora sarta che gli diceva di comprare dei calzini nuovi perchè quelli vecchi erano bucati, rispondeva sempre: 'Lei che è così brava con l'ago, li rattoppi così i soldi dei calzini li diamo ad altri poveri'”.