“Wojtyla patrono d’Europa”

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Nel 2020 ricorrerà il centenario della nascita di San Giovanni Paolo II e il 15° anniversario della sua morte. L'arcivescovo Stanislaw Gadecki, presidente dell'episcopato polacco, a nome di tutta la Conferenza Episcopale Polacca, ha chiesto a Papa Francesco di proclamare San Giovanni Paolo II “dottore della Chiesa e patrono d'Europa”. Questa richiesta è sostenuta anche dal cardinale Stanislaw Dziwisz che per tanti anni è stato collaboratore di Karol Wojtyla. Giovanni Paolo II, nel corso della sua esistenza, “ha incessantemente indicato alla Chiesa e alla società l'esigenza di tutelare e promuovere la famiglia, costituita da un uomo e una donna, quale cellula vitale dell'umanità”, ha scritto papa Francesco in una lettera all'arcivescovo Agostino Marchetto, in occasione di un convegno intitolato “Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia” che si è svolto in Campidoglio. Il magistero di Karol Wojtyla sulle tematiche della famiglia “rappresenta un sicuro punto di riferimento per trovare soluzioni concrete alle tante difficoltà e alle innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare ai nostri giorni”. Jorge Mario Bargoglio auspica “proposte, progetti e politiche in favore delle famiglie, affinché non si sentano sole e scartate, ma sia dato loro di trovare sollievo e sostegno, specialmente quando le energie e le risorse vengono meno”.

Paladino della libertà religiosa

“Karol Wojtyla, uno degli ultimi vescovi nominati da Pio XII, ha vissuto in prima persona il Vaticano II. Giovanni Paolo II “suona” lo spartito che ha scritto Paolo VI, osserva lo storico della Chiesa Andrea Riccardi- spiega il vaticanista Andrea Tornielli nell’introduzione del saggio “Il Concilio di Papa Francesco-. È l’icona di una fede dall’identità forte, che intraprende nuove strade e che percorre tutte le strade nella piena attuazione del Concilio. Paladino della libertà religiosa nel mondo, continua e approfondisce il cammino ecumenico dei predecessori arrivando a dirsi disposto a rivedere le forme di esercizio del primato petrino, appello rimasto ancora oggi senza risposta”. Al Concilio Karol Wojtyla e Albino Luciani c’erano da padri conciliari, Joseph Ratzinger da giovane perito. Ma c’erano tutti e tre. Se sono celebri il ruolo e il contributo di Wojtyla e Ratzinger nell’elaborazione di documenti conciliari, meno conosciuta è la presenza del futuro Giovanni Paolo I. Eppure l’11 ottobre 1962, alla cerimonia di apertura c’era anche un giovane prelato, consacrato vescovo di Vittorio Veneto dallo stesso Giovanni XXIII quattro anni prima. Era Albino Luciani, e sarebbe stato il primo papa ad aver vissuto da vescovo il Concilio e ad averlo applicato nelle sue diocesi. Durante il Grande Giubileo del 2000, Karol Wojtyla disse: “Una nuova stagione si apre dinanzi ai nostri occhi: è il tempo dell’approfondimento degli insegnamenti conciliari, il tempo della raccolta di quanto i Padri conciliari seminarono e la generazione di questi anni ha accudito e atteso. Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato una vera profezia per la vita della Chiesa; continuerà ad esserlo per molti anni del terzo millennio appena iniziato”. Parole scandite da san Giovanni Paolo II il 27 febbraio 2000 nel discorso al convegno internazionale sull’attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II.

Il Concilio secondo Wojtyla

Karol Wojtyla partecipò al Concilio con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et Spes. La convinzione di Giovanni Paolo II era che la Chiesa attraverso il Concilio non ha voluto rinchiudersi in se stessa, riferirsi a sé sola, ma al contrario ha voluto aprirsi più ampiamente. Per il padre conciliare Karol Wojtyla, il Vaticano II, dopo aver approfondito il mistero della Chiesa, si è interessato del mondo moderno, dell’uomo fenomenico, quale si presenta oggi. Perciò la missione di evangelizzazione e di salvezza ha spinto il Concilio a superare le distinzioni e le fratture, a rivolgersi “all’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive”. Secondo Giovanni Paolo II si è trattato di un dialogo, per portare a tutta la famiglia umana la salvezza, per collaborare al suo vero bene ed alla soluzione dei gravi problemi, nella luce del Vangelo. La costituzione Gaudium et Spes espone la dottrina cattolica sui grandi temi: vocazione dell’uomo, dignità della persona umana, ateismo, attività umana, matrimonio, fame, cultura, vita economico-sociale, pace, guerra, comunità dei popoli.

Umanesimo cristiano

All’umanesimo laico, chiuso nell’ordine naturale, viene opposto l’umanesimo cristiano, aperto al trascendente, che presenta la concezione teocentrica dell’uomo, ricondotto a ritrovare se stesso nella luce e nello splendore di Dio. Nella visione conciliare di Giovanni Paolo II la ragione della dignità umana consiste nella vocazione dell’uomo alla comunione con Dio, quindi il Concilio rivolge a tutti gli uomini l’invito ad accogliere la luce del Vangelo. Il Vaticano II, ha affermato Giovanni Paolo II, “resta l’avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea; fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo; fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo in una prospettiva d’evangelizzazione e di dialogo ad ogni livello con tutti gli uomini di retta coscienza”.

Anelito ecumenico

Per Karol Wojtyla il Concilio ha posto le premesse del nuovo cammino della Chiesa nella società contemporanea. Pur essendo la stessa di ieri, la Chiesa vive e realizza in Cristo il suo “oggi”, che ha preso il via soprattutto dal Vaticano II. Il Concilio ha preparato la Chiesa al passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo. Anche Joseph Ratzinger, dal 1962 al 1965, ha garantito un rilevante apporto al Concilio Vaticano II come “esperto” e ha assistito come consigliere teologico il cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia. In realtà il lascito conciliare di Wojtyla e Ratzinger si riscontra in una pluralità di aspetti del pontificato di Francesco. L’anelito sinceramente ecumenico che lo spinge a considerare il primato petrino in termini di servizio alla cristianità e non di dominio, l’impostazione autenticamente universale della sua missione pastorale, il debito di riconoscenza che nell’ultimo mezzo secolo accomuna tutti i pontefici per la straordinaria intuizione di Giovanni XXIII. Un lascito da personalizzare.

Parte di una storia

I pontefici rappresentano tutti una parte di una storia organica e continua, secondo monsignor Giancarlo Vecerrica, fino a marzo 2016 vescovo di Fabriano-Matelica. Le accentuazioni proprie di ciascun pontefice non sono altro che puntualizzazioni e richiami per una attività apostolica più incisiva e rispondente alle esigenze del momento. Quindi definire il papa buono o misericordioso serve soltanto per evidenziare e attirare l’attenzione sull’operato specifico, ma non serve per limitare l’attività di un pontefice. Queste caratterizzazioni, a giudizio di monsignor Vecerrica, vanno usate con molta accuratezza perché sono limitate e qualche volta anche usate ad arte per non solo sottovalutare l’operato pontificio, ma prendono solo aspetti secondari, dimenticando l’essenziale che caratterizza l’attività di ogni pontefice. L’eredità conciliare di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger consiste nella continua ripresa dei testi e dello spirito conciliare, incarnandoli nella loro grande testimonianza. La lezione del Vaticano II nell’insegnamento di Francesco più presente e più richiamata è l’evangelizzazione, come dimostra anche l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Francesco offre la Chiesa al mondo moderno con una forte apertura.

Strade che si incrociano

Per capire quanto il Concilio abbia incrociato le strade dei due più diretti predecessori di Francesco, è fondamentale l’intervista di Wlodzimierz Redzioch a Benedetto XVI contenuta nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II”. Gli amici e i collaboratori raccontano, pubblicato dalle edizioni Ares. L’intervistatore chiede a Joseph Ratzinger: Santità, il suo nome e quello di Karol Wojtyla sono legati, a vario titolo, al Concilio Vaticano II. Vi siete conosciuti già durante il Concilio? La risposta è franca e limpida. Il primo incontro consapevole tra Ratzinger e il cardinale Wojtyla avvenne solamente nel Conclave in cui venne eletto Giovanni Paolo I. Durante il Concilio, avevano collaborato entrambi alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e tuttavia in sezioni diverse, cosicché non si erano incontrati. Nel settembre del 1978, in occasione della visita dei vescovi polacchi in Germania, Ratzinger era in Ecuador come rappresentante personale di Giovanni Paolo I. Naturalmente Ratzinger aveva sentito parlare dell’opera di filosofo e di pastore dell’arcivescovo di Cracovia, e da tempo desiderava conoscerlo. Wojtyla, dal canto suo, aveva letto l’Introduzione al cristianesimo di Ratzinger, che aveva anche citato agli esercizi spirituali da Wojtyla predicati per Paolo VI e la Curia nella Quaresima del 1976. Perciò è come se interiormente Wojtyla e Ratzinger desiderassero entrambi di incontrarsi. Ratzinger racconta di aver provato sin dall’inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il metropolita di Cracovia.

L’unione con Dio

Nel pre-Conclave del 1978, racconta Ratzinger, Wojtyla analizzò per i cardinali in modo illuminante la natura del marxismo, ma soprattutto Ratzinger racconta di essere rimasto subito colpito dal fascino umano che Wojtyla emanava e, da come pregava, avvertendo quanto Wojtyla fosse profondamente unito a Dio. Tante le sfide dottrinali affrontate insieme. La prima fu la teologia della liberazione che si stava diffondendo in America Latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma per Wojtyla e Ratzinger questo era un errore. La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. Le forme di aiuto immediato ai poveri e le riforme che ne miglioravano la condizione venivano condannate come riformismo che ha l’effetto di consolidare il sistema: attutivano, si affermava, la rabbia e l’indignazione che invece erano necessarie per la trasformazione rivoluzionaria del sistema. E uno dei principali problemi del lavoro di Ratzinger, negli anni da prefetto della Dottrina della fede, fu lo sforzo per giungere a una corretta comprensione dell’ecumenismo.

Gli ultimi papi europei

Wojtyla e Ratzinger sono stati gli ultimi papi europei, cioè immersi sino in fondo nella storia del loro continente. Il primo ha avuto il grande merito di assumere il tema della libertà e della liberazione dei popoli dalla schiavitù del comunismo, ma entrambi non hanno saputo-potuto arrestare la deriva individualista e liberista del modello di sviluppo. A giudizio di Pierluigi Castagnetti, Ratzinger più di Wojtyla ha capito la crisi del modello capitalista e, dunque, dell’occidente, e la necessità di separare i destini della Chiesa da quel modello di sviluppo, lasciando e, in un certo senso preparando, la missione del suo successore. Per questo Castagnetti considera parte di questa eredità anche la necessità di pensare un nuovo modello di rapporto della Chiesa con il potere. Non più un rapporto diretto (come accadde nella stagione di Ruini), né mediato da un partito politico di cattolici (Montini), ma una netta separazione dei ruoli.

Gigante della fede

Francesco ha celebrato Karol Wojtyla definendolo un “gigante della fede”, come lo definì Ratzinger al momento della beatificazione, annuendo sulla possibilità di usare l’appellativo di “magno” per il papa venuto dall’est europeo. Prima di percorrere le strade del mondo, secondo la celebre definizione di Bergoglio, Karol Wojtyla è cresciuto al servizio di Cristo e della Chiesa nella sua Patria, la Polonia. Lì si è formato il suo cuore, cuore che poi si è dilatato alla dimensione universale, prima partecipando al Concilio Vaticano II, e soprattutto dopo il 16 ottobre 1978, perché in esso trovassero posto tutte le nazioni, le lingue e le culture.

Pietra miliare

Il 17 ottobre del 1978, san Giovanni Paolo II, nel primo radiomessaggio Urbi et Orbi rese evidente e dettagliò le linee programmatiche del suo pontificato. Anzitutto, insiste sulla permanente importanza del Vaticano II con il formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione. Karol Wojtyla definisce il Concilio una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa e anche culturale del mondo. Ma nell’interpretazione di Giovanni Paolo II, il Vaticano II non è solo racchiuso nei documenti, così non è concluso nelle applicazioni, che si sono avute negli anni del post-Concilio. Wojtyla indica ai cattolici come compito primario quello di promuovere, con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del Concilio, favorendo l’acquisizione di un’adeguata mentalità. L’esigenza è quella di mettersi in sintonia col Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato. E per rendere esplicito ciò che in esso è implicito, anche alla luce delle successive sperimentazioni, in rapporto alle istanze emergenti e alle nuove circostanze. Per Wojtyla occorre, insomma, far maturare nel senso del movimento e della vita i semi fecondi che i Padri dell’assise ecumenica, nutriti della Parola di Dio, gettarono sul buon terreno, cioè i loro autorevoli insegnamenti e le loro scelte pastorali. Se Wojtyla da Padre conciliare aiutò la Chiesa ad acquisire una adeguata mentalità, don Fortunato Di Noto ritiene che non è un fatto legato alle assise e ai documenti, ma ad un cammino di conversione che ancora oggi fa fatica nella sua piena attuazione. Tentativi di tornare indietro, in un nostalgico modo di essere Chiesa che non è in uscita, ma arroccata su sistemi metafisici, dogmatici statici e freddi che pur avendo dato, e danno, linee orientative, sono lontane dal popolo di Dio.

Magistero dei gesti

Esiste un ampio “magistero dei gesti” di papa Wojtyla che, al di là delle sue encicliche, lascia trasparire una forte eredità conciliare. Anche la sua simpatia per l’umanità e per tutti i popoli della terra, così come il suo atteggiamento ecumenico verso tutte le religioni, con una particolare attenzione alle tradizioni della religiosità popolare, esprimono sempre spiccati tratti conciliari. “Ringraziamo il Signore per ogni bene compiuto nel mondo e nei cuori attraverso le parole, le opere e la santità di  Giovann iPaolo II. Ricordiamo sempre il suo appello: Aprite le porte a Cristo!”. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda Papa Karol Wojtyla, Francesco ha lanciato un tweet sul suo account riavvolgendo il nastro della storia. È il 22 ottobre del 1978, il giorno dell'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II. Una storica giornata preceduta, il 16 ottobre, dall'elezione al soglio di Pietro. Il giorno dell'elezione è scandito dal primo saluto e dalla prima benedizione: “Eminentissimi cardinali – afferma Giovanni Paolo II – hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l'ho fatto nello spirito dell'ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima”.

Senza paura

Pochi giorni dopo, nell'omelia per l'inizio del Pontificato, Giovanni Paolo II, ricorda Vatican News, pronuncia queste parole: “Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!”. In quel giorno, Giovanni Paolo II ha anche elevato una fervente, umile, fiduciosa preghiera: ”O Cristo! Fa' che io possa diventare ed essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà! Servitore della tua potestà che non conosce il tramonto! Fa' che io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi”.