Udienza Generale, Bergoglio: “Avere fede vuol dire anche ‘lottare’ con Dio”

La fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare. Avere fede è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza. Lui è un Padre, ti capisce! Avere questo coraggio, questa è la speranza. E speranza è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è accettandone le contraddizioni”. Con questa parole Papa Francesco si è rivolto alle centinaia di persone che gremivano l’Aula Paolo VI, in Vaticano, per l’Udienza Generale del mercoledì, l’ultima del 2016. Proseguendo le sue catechesi sul tema della speranza cristiana, Bergoglio pone al centro della sua riflessione la figura di Abramo.

San Paolo, nella Lettera ai Romani – afferma il Papa -, ci ricorda la grande figura di Abramo, per indicarci la via della fede e della speranza. Di lui l’apostolo scrive: ‘saldo nella speranza contro ogni speranza’. Non c’è speranza, ma io spero“. L’apostolo fa riferimento alla fede del patriarca: “credette alla parola di Dio che gli prometteva un figlio. Ma era davvero un fidarsi sperando ‘contro ogni speranza’, tanto era inverosimile quello che il Signore gli stava annunciando, perché era anziano e sua moglie era sterile. Ma lui credette” anche se non c’era speranza umana.

Confidando in questa promessa – aggiunge Bergoglio -, Abramo si mette in cammino, accetta di lasciare la sua terra e diventare straniero, sperando in questo ‘impossibile’ figlio che Dio avrebbe dovuto donargli nonostante il grembo di Sara fosse ormai come morto”. Nel credere, “la sua fede si apre a una speranza in apparenza irragionevole; essa è la capacità di andare al di là dei ragionamenti umani, della saggezza e della prudenza del mondo, al di là di ciò che è normalmente ritenuto buonsenso”. infatti, “la speranza – sottolinea il Pontefice – apre nuovi orizzonti, rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile. Fa entrare l’uomo nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce“. Quindi, a braccio, dice: “È bella la virtù della speranza, ci dà tanta forza per andare nella vita”.

Tuttavia, questo è un “cammino difficile“. Così anche per Abramo arriva il momento “di sconforto. Si è fidato, ha lasciato la sua casa, la sua terra, i suoi amici. E’ arrivato nel paese che Dio gli aveva indicato, ma il tempo è passato”. Il Pontefice ricorda che all’epoca, fare un viaggio, non era pratico e veloce come oggi, “che in 12, 15 ore si fa – scherza – ci volevano mesi, anni, eh!. Il tempo è passato, ma il figlio non arriva e il grembo di Sara rimane chiuso nella sua sterilità”. Allontanandosi dal testo, aggiunge: “Abramo, non dico che perde la pazienza, ma si lamenta con il Signore. Questo dobbiamo imparare da lui: lamentarsi con il Signore è un modo di pregare. Delle volte io sento, quando confesso: ‘Eh, mi sono lamentato con il Signore…’ ed io rispondo: ‘Ma no! Lamentati, Lui è Padre!’. Questo è un modo di pregare“.

Francesco, citando l’Antico Testamento (cfr. Gen 15,2-6), fa notare un collegamento tra l’ambiente in cui si svolge il dialogo tra Dio e il patriarca e le emozioni che vive Abramo: “La scena si svolge di notte, ma anche nel cuore di Abramo c’è il buio della delusione, dello scoraggiamento, della difficoltà nel continuare a sperare in qualcosa di impossibile. Ormai il patriarca è troppo avanti negli anni, sembra non ci sia più tempo per un figlio, e sarà un servo a subentrare ereditando tutto. Dio, anche se è lì presente e parla con lui, è come se ormai si fosse allontanato, come se non avesse tenuto fede alla sua parola. Abramo si sente solo, è vecchio e stanco, la morte incombe. Come continuare a fidarsi?”.

Eppure, prosegue Bergoglio, “questo suo lamentarsi è una forma di fede, è una preghiera. Nonostante tutto, infatti, “Abramo continua a credere in Dio e a sperare che qualcosa ancora potrebbe accadere. Altrimenti, perché interpellare il Signore, lagnarsi con Lui, richiamarlo alle sue promesse?”. “La fede – sottolinea il Papa – non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare. La speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Tante volte la speranza è buio; ma è lì che ti porta avanti. Avere Fede è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza, senza ‘pie’ finzioni. ‘Mi sono arrabbiato con Dio e gli ho detto questo, questo, questo’. Ma Lui è Padre – spiega il Papa -, Lui ti ha capito: vai in pace! Bisogna averlo questo coraggio, questa è la speranza. Speranza è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è, accettandone le contraddizioni”.

Dunque, Abramo si rivolge a Dio “nella fede”. Prega “perché lo aiuti a continuare a sperare. È curioso, non chiese un figlio. Chiese: ‘Aiutami a continuare a sperare’, la preghiera di avere speranza. E il Signore risponde insistendo con la sua inverosimile promessa: non sarà un servo l’erede, ma un figlio. Niente è cambiato, da parte di Dio. Egli continua a ribadire quello che già aveva detto, e non offre appigli ad Abramo, per sentirsi rassicurato. La sua unica sicurezza è fidarsi della parola del Signore e continuare a sperare“.

Quello che Dio “dona” al patriarca è la richiesta di continuare a credere e a sperare: “‘Guarda in cielo e conta le stelle. Tale sarà la tua discendenza’. È ancora una promessa, è ancora qualcosa da aspettare per il futuro. Dio porta fuori Abramo dalla tenda”, ovvero dalle sue visioni ristrette, “e gli mostra le stelle. Per credere, è necessario saper vedere con gli occhi della fede; non sono solo stelle, che tutti possono vedere, ma per Abramo devono diventare il segno della fedeltà di Dio”. “È questa la fede – conclude il Papa -, questo il cammino della speranza che ognuno di noi deve percorrere. Se anche a noi rimane come unica possibilità quella di guardare le stelle, allora è tempo di fidarci di Dio. Non c’è cosa più bella. La speranza non delude“.