Thailandia, modello di dialogo fra religioni

Quando Cristiani e Buddhisti abbiamo l'opportunità di riconoscerci e di apprezzarci, anche nelle nostre differenze, offriamo al mondo una parola di speranza capace di incoraggiare e sostenere quanti sono danneggiati dalla divisione”. Sono le parole che Papa Francesco ha rilasciato a commento della visita al Patriarca Supremo dei Buddhisti al Wat Ratchabophit Sathit Maha Simaram Temple. Come fece 35 anni fa, Giovanni Paolo II, anche stavolta il Pontefice ha portato i suoi saluti al leader religioso di un Paese quasi totalmente Buddhista – i Cristiani sono quasi l'1%, i Musulmani il 9%. Ma non solo, perché tutta la giornata è stata sancita dagli incontri con le autorità: alle 9:15 (ora locale), Papa Francesco ha incontrato il Primo Ministro nella “Inner Ivory Room” della Government House, per concludere infine con la visita privata a Sua Maestà il Re Maha Vajiralongkorn “Rama X” all'Amphorn Royal Palace. Allargando la prospettiva sul Paese, molti in Thailandia non conoscono il Pontefice. Eppure, l'accoglienza riservatagli è sintomatica di un rispetto verso la Chiesa che in questo Paese dell'Asia orientale è presente al fianco degli ultimi e nell'educazione, tant'è che capita sovente che le stesse scuole cattoliche siano frequentate da non cristiani. 

La Thailandia vista dal Nunzio Bressan

Per comprendere appieno la Thailandia vista da Papa Francesco, In Terris ha intervistato l'arcivescovo emerito di Trento, mons. Luigi Bressan, che, dal '93 al '99, è stato Nunzio Apostolico per la Santa Sede nel Paese.

Eccellenza, lei è stato Nunzio Apostolico dieci anni dopo la visita di Papa Giovanni Paolo II in Thailandia. Ne ha percepito l'eredità?
“L'eco di quella visita era ancora presente, perché fu un grande evento. La Chiesa Cattolica in Thailandia rappresenta circa 400.000 Cattolici, ma la Chiesa nel Paese è molto presente: circa 400.000 sono gli alunni nelle scuole cattoliche, molti sono i centri di assistenza sanitaria e due le università cattoliche. I Cattolici, inoltre, partecipano alla vita sociale, assistendo i lebbrosi e facendosi prossimi agli emarginati, soprattutto quelli provenienti dalla montagna e quelli che hanno avuto meno possibilità di formazione”.

Che considerazione si ha della Chiesa cattolica nel Paese?
“La mentalità comune è che la Thailandia è buddhista. In realtà, ho visto un cambiamento in quegli anni: una volta, per esempio, è apparsa una foto abbastanza significativa con il Patriarca Buddhista al centro, alla sua destra un cardinale cattolico e alla sua sinistra il muftir responsabile dei Musulmani, che sono il 9% dei Thailandesi”.

Al momento del suo arrivo nel '93, quale Thailandia ha trovato?
“Mi ha accolto un Paese che, soprattutto nei giovani, vuole tenersi la democrazia, una Thailandia protesa allo sviluppo e all'educazione. Il tenore di vita è discreto, con un'ampia libertà religiosa. Pensi che avemmo a disposizione un canale via satellite con la possibilità di trasmettere format cattolici. Il Paese è popoloso, solo Bangokok ha oltre 12 milioni: non è che molti conoscano il Papa né la stampa vi ci dedica molta attenzione. Eppure, sebbene non si vedano manifesti, l'accoglienza è di gran lunga superiore se si considera che i Cattolici non rasentano nemmeno l'1%”.

Mutuando le parole di Papa Francesco, che parla di “periferie”, secondo lei la Thailandia si può considerare una “periferia”?
“Nella Thailandia ci sono grandi periferie in tal senso, soprattutto le zone della montagna e quelle del nord, dove vivono grandi gruppi etnici non tradizionalmente thailandesi, ma che vengono soprattutto dal Myanmar, dal Laos, dalla Cina. Parlando una lingua diversa, fanno fatica anche loro ad inserirsi. Colà, la Chiesa è presente in mezzo ai poveri e questo ruolo è riconosciuto da tutti”.

La Thailandia è anche riconosciuta come lo Stato del turismo sessuale.
“Devo dire che c'è una Thailandia sana, che s'impegna, che lavora ed è generosa fra i poveri. Questo lo contempla anche la religione buddhista, nella quale la carità si chiama karuna. C'è, poi, un'altra parte fatta di sfruttamento sessuale e spesso sotto gli occhi della stampa occidentale, soprattutto. In questa parte l'unico dio è il denaro, ma bisogna evitare di dipingere la Thailandia con queste tinte. Il Paese è fatto di brava gente, il turismo sessuale è diffuso anche in altre metropoli disseminate nel mondo”.

C'è una differenza tra la Thailandia visitata da Giovanni Paolo II e quella che sta accogliendo Papa Francesco?
“Negli anni Ottanta, il Paese era sicuramente più povero ed anche più 'silente'. Oggi, invece, sente il movimento dei vari popoli, delle incertezze circa il futuro alle relazioni. La Cina era molto meno presente rispetto ad oggi. Da allora, la Chiesa si è estesa e consolidata ed oggi possiamo dire che la Thailandia non è solo di una religione come all'epoca, ma anche dell'Islam e del Cristianesimo. Il mondo Cattolico, poi, è in prima linea sul fronte religioso”.

Cosa ne pensa della volontà di cominciare a pensare a una teologia panasiatica, che scenda anche a patto con dei sincretismi?
“Sa, il modo di accogliere il messaggio di Cristo è stato sempre diverso attraverso i secoli e lo è ancora oggi. L'Asia è il 65% del mondo e non è una cultura unica, ma all'interno è ricca di varietà. Il dialogo interreligioso in Asia è un punto fondamentale della vita cristiana quotidiana, perché s'interseca con valori del rispetto sociale contemplati da queste società. Su principi fondamentali, una è la Chiesa e uno è il Vangelo, ma l'approccio verso le culture altre si arricchisce inevitabilmente. Ricordo un vescovo asiatico che mi disse: 'Io sono Cattolico, ma anche Confuciano'. Aspetti come il rispetto dei defunti e degli antenati sono peculiari a quelle culture”.

Cosa la colpì all'epoca della sua missione?
“La serenità che i Thailandesi mostrano, il coraggio davanti alle difficoltà e lo sguardo che volgono in avanti senza lasciarsi deprimere. L'accoglienza che hanno verso l'altro e la considerazione della dignità della persona umana. Non ho avuto mai difficoltà a collaborare con loro e questo mi ha fatto avvicinare alla loro cultura”.

Lei, tra le altre cose, ha scritto una trilogia sulla storia dei rapporti fra Thailandia e Santa Sede…
“Sì, una storia che risale al 1600, quando il Papa scrisse quattro lettere al re e il re, a sua volta, ne scrisse due. Nel 1800 c'è stato uno scambio di lettere, nel 1860 poi una delegazione è stata inviata a Roma dalla Thailandia. In seguito, la visita del Re Chulalongkorn a Papa Leone XIII, nel 1936 una visita del re thailandese, poi nel 1984 la visita di Papa Giovanni Paolo II e, infine, quella di Papa Francesco. I rapporti tra i due Stati sono consolidati: la Thailandia ha un ruolo importante nel suo significato di passaggio verso il Giappone, l'Australia e l'Europa”.

Qual è il suo auspicio per il futuro?
“Che possa proseguire la collaborazione con il mondo buddhista, anche molto frastagliato, e il Crisitanesimo possa portare quell'afflato di grande spiritualità e vitalità proprio del Vangelo e che ci possiamo trovare insieme nel cammino verso la pienezza della Vita”.