Se Pietro guarda a sud

Nella mendace vulgata mediatica la scoperta delle periferie geografiche è un'acquisizione recente. In realtà Francesco, ora nuovamente in missione nel sud del mondo, sta coerentemente e coraggiosamente seguendo le orme dei suoi predecessori Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger.

L'attenzione di Ratzinger per il Terzo Mondo

Già Benedetto XVI aveva spostato il centro della missione di Pietro nelle “Chiese giovani” africane e asiatiche. Nel Ratzinger vescovo c'era già il Ratzinger Papa che mise l'Africa e l’Asia al centro della geopolitica vaticana. Le Chiese “giovani”, secondo l’arcivescovo e cardinale di Monaco “hanno impresso nel cuore della Chiesa l'esistenza della povertà, della fame, dell'ingiustizia, in un modo così profondo da non lasciarci più tranquilli, da farci desiderare che nuovamente a tutti siano presenti le parole del Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. In altre parole “hanno ridestato in noi l'urgenza di una conversione all'amore, alla lotta per la giustizia, e ci hanno fatto comprendere la necessità che nelle nostre comunità viva molto di più il senso dell'universalità, della cattolicità della Chiesa”. E per il futuro Pontefice che dedicò all’Africa un Sinodo dei vescovi e due dei suoi più significativi viaggi apostolici all’estero (Benin e Camerun-Angola) “le Chiese del terzo mondo hanno richiamato alla nostra attenzione quegli elementi profetici e familiari, che arrischiavano di venir meno nella loro vivezza”.  Il governo episcopale a Monaco fu, quindi, in tutto, preludio alla missione sul Soglio di Pietro. Nella storia del bimillenario magistero pontificio rimarranno di Benedetto XVI anche i profondi insegnamenti sulla crisi del continente africano e la puntuale denuncia delle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa.

Wojtyla missionario nelle periferie

Anche Giovanni Paolo II, visitando le giovani Chiese in Asia e Africa, aveva il coraggio di porre dei gesti che rischiavano di venire mal interpretati, ma erano profetici rispetto a quella Chiesa. “Era il Wojtyla profetico, il Wojtyla del “Non abbiate paura!” e che esplodeva nella sua ira contro la crudeltà degli uomini – spiega il decano dei vaticanisti Gian Franco Svidercoschi, biografo, amico e collaboratore di Giovanni Paolo II -. Come quella volta in Canada, quando accusò i Paesi ricchi di strangolare i Paesi poveri. O quella volta in Africa, in quello che è oggi il Burkina Faso, quando si trovò dinanzi alle devastazioni provocate dalla siccità; e, con l’aiuto di alcuni vescovi africani, si mise a scrivere quel drammatico appello in favore del sud del mondo”.  Nel 1992, durante l’ottavo dei suoi quattrodici viaggi africani, Karol Wojtyla si recò a Gorée, sull’isolotto senegalese dove si trova la Casa degli schiavi e, di fronte all’Oceano, disse: “Quest’isola rimane nella memoria e nel cuore di tutta la diaspora nera, occorre che si confessi in tutta verità e umiltà questo peccato dell’uomo contro l’uomo, questo peccato dell’uomo contro Dio e da questo santuario africano del dolore nero imploriamo il perdono del cielo”. Un luogo carico di secolari sofferenze e spietati retaggi coloniali, delimitato da forti militari ed enormi baobab, dove per gli scenari suggestivi fu girato il film “I cannoni di Navarone”. Stanze buie e rocce per ammassare uomini, donne e bambini, portati qui dai mercanti schiavisti da ogni terra e da ogni foresta africana, in attesa di essere caricati sulle navi per attraversare l’oceano. “Al primo piano si aprono ancora le sale dove i padroni negrieri vivevano nel lusso e nei piaceri, senza curarsi di ciò che accadeva sotto di loro – raccontò il vaticanista e scrittore Domenico Del Rio –. C’è una porta, che dà sull’oceano, a livello dell’acqua, sulla cui soglia di basalto ora batte lentamente l’onda, ma che allora immetteva su un ponte di legno che portava alle stive delle navi ferme al largo. Il grido dei secoli. Da quella porta e su quel ponte venivano incamminati gli schiavi. Era l’addio all’Africa. Quanti milioni di africani in catene siano passati da quel varco nero senza ritorno, nessuno lo sa con precisione”. 

Il grido dei secoli

Dall'isolotto-simbolo in cui gli africani in catene venivano caricati sulle navi per un viaggio senza ritorno verso il nuovo mondo, Giovanni Paolo II fece “mea culpa” davanti a Dio e agli uomini per i cristiani che, nei secoli passati, si sono macchiati del “crimine enorme” della tratta dei neri. E a compiere tale ignominia furono i cristiani, cioè uomini che dicevano di avere fede in Cristo. “Sono venuto qui per rendere omaggio a tutte queste vittime, vittime senza nome“, affermò Karol Wojtyla, in piedi, nella polvere del cortiletto della Casa degli schiavi.
“È l’ingiustizia, è il dramma di una società che si diceva e che si dice cristiana”. È la stessa ingiustizia che nel Novecento “ha ricreato la medesima situazione di schiavi anonimi nei campi di concentramento: la nostra è una civiltà piena di debolezze, piena di peccati”. Anche nel ventesimo secolo “si depreda il mondo dei poveri“. Ci sono “nuove forme di schiavitù”, come “la prostituzione organizzata, che sfrutta vergognosamente la povertà delle popolazioni del Terzo Mondo”. Il Papa si fermò a guardare l’oceano, in silenzio, per sette minuti. Racconterà poi di aver sentito “il grido dei secoli, il grido di generazioni di neri fatti schiavi“. Con la sua sensibilità di antropologo-filosofo avvertì “il simbolo dell’orribile aberrazione di coloro che hanno ridotto in schiavitù i fratelli e le sorelle”, “teatro di una eterna lotta tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male, tra la grazia e il peccato“. E commentò: “Uomini, donne e bambini sono stati condotti in questo piccolo luogo, strappati dalla loro terra, separati dai loro congiunti, per esservi venduti come mercanzia. Essi venivano da tutti i paesi e, in catene, partivano verso altri cieli, conservando come ultima immagine dell’Africa natia la massa della roccia basaltica di Gorée. Si può dire che quest’isola rimane nella memoria e nel cuore di tutta la diaspora nera”. E aggiunse: “Quegli uomini, quelle donne, quei bambini sono stati vittime di un vergognoso commercio, cui hanno preso parte persone battezzate, ma che non hanno vissuto la loro fede. Occorre che si confessi in tutta verità e umiltà questo peccato dell’uomo contro l’uomo, questo peccato dell’uomo contro Dio. Da questo santuario africano del dolore nero, imploriamo il perdono del Cielo”.