Ratzinger e l'emarginazione di Dio

fede

Benedetto XVI mette in guardia dalla emarginazione della parola Dio. “Il Papa emerito Benedetto XVI risponde alle critiche sui suoi appunti in merito alla crisi degli abusi sessuali nella Chiesa e il legame con la supposta caduta morale del Sessantotto – riferisce l'Ansa -. Lo fa in un breve contributo per Herder Korrespondenz di settembre, anticipato da alcuni siti di informazione in lingua tedesca”. Scrive Joseph Ratzinger: “Per quanto posso vedere, nella maggior parte delle reazioni al mio contributo, Dio non appare affatto, e ciò non discute esattamente ciò che volevo enfatizzare come il nocciolo della domanda”.

Deficit nella ricezione

Quattro mesi fa era stato pubblicato il suo articolo sulla Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali. “Ora arriva la puntualizzazione del Papa emerito dopo che il suo articolo aveva avuto risalto in tutto il mondo per la sua aspra critica all'allontanamento dalla morale sessuale cattolica della fine degli anni Sessanta”, puntualizza l'Ansa. Il Papa emerito parla di “deficit generale nella ricezione del mio testo”. In particolare, rivolgendosi alla storica Birgit Aschmann definisce il suo contributo “insufficiente e tipico del deficit generale nella ricezione del mio testo”. Aggiunge Il Pontefice emerito: “Nelle quattro pagine dell'articolo della signora Aschmann non compare la parola Dio, che ho posto al centro della questione”, quindi “la maggior parte delle reazioni che mi sono note mi mostra la gravità di una situazione in cui la parola Dio in teologia sembra addirittura essere spesso emarginata“. 

Incomprensioni e fraintendimenti

Non è la prima volta che un testo di Joseph Ratzinger non viene inquadrato nella giusta prospettiva. E qui è necessario un inciso per contestualizzare le due correnti che polarizzano il cattolicesimo dal Concilio in poi: chi vorrebbe una Chiesa tutta carità, quasi una Ong della solidarietà globale e chi invece delimita la missione ecclesiastica al recinto sacro di dogmi, sacramenti, liturgia e riti. Anche da questa contrapposizione di visioni deriva l'errata interpretazione della figura di Joseph Ratzinger in termini di esclusiva attenzione al piano spirituale senza e di scarsa sollecitudine per le questioni sociali. In realtà Benedetto XVI scelse una “terza via” per incidere con la fede nel mondo senza piegarsi ad esso né scendere a compromessi con le utilitaristiche logiche mondane della contemporaneità secolarizzata. Ratzinger si occupò di “politica” in senso alto del termine, nella convinzione che toccasse ai cattolici non far diventare lettera morta il Vangelo, testimoniandolo nella quotidianità della vita privata e di quella pubblica. Secondo Joseph Ratzinger si tratta di compiere un'opera di apertura e di discernimento. L'umanità deve ormai uscire da ottiche troppo anguste per gettare le basi di una nuova sintesi umanistica. Collocarsi in una simile prospettiva significa per Benedetto XVI non escludere nessuno a priori e invocare la necessità di un dialogo senza frontiere.

Un'epoca di pluralismo

Nel discorso tenuto al Parlamento tedesco il 22 settembre 2011, Benedetto XVI invitò i parlamentari a riflettere sulle finalità dell'agire politico e sulle forme di legittimità necessarie per elaborare leggi in un’epoca di pluralismo. Parlò anche di quella legge naturale che è nel fondo del cuore di ogni uomo, impronta negli esseri umani della legge eterna di Dio. Attingendo alle risorse della filosofia e della teologia, Benedetto XVI riuscì ad approfondire rischi e prospettive dell'universo globalizzato. “Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori, talora nemmeno i significati, con cui giudicarla e orientarla – spiegò Benedetto XVI -.Al di là delle scienze e delle tecniche, una vita morale autentica e una spiritualità incarnata hanno più che mai bisogno di un'alleanza duratura tra fede e ragione. La ragione senza la fede si smarrisce, come la fede senza la ragione si atrofizza”. Se è totalmente falsa l'immagine di un Papa reazionario, poco attento alla giustizia sociale e più preoccupato della povertà spirituale del mondo che di quella materiale, altrettanto mendace sarebbe classificare il pontificato di Joseph Ratzinger come il trionfo del tradizionalismo. Anzi, alcune tra le più aspre critiche al professore bavarese arrivarono dal filone più identitario del cattolicesimo. Ne fu esempio eclatante un libro pubblicato nel gennaio 2018 da Enrico Maria Radaelli intitolato Al cuore di Ratzinger al cuore del mondo (Edizioni Pro-manuscripto Aurea Domus) che criticava duramente il pensiero teologico di Joseph Ratzinger e la sua opera fondamentale Introduzione al cristianesimo con l'avallo del teologo Antonio Livi, già docente della Pontificia Università Lateranense. Di questo densissimo saggio Vatican Insider realizzò un'approfondita lettura critica evidenziandone i principali nuclei problematici . E le incomprensioni rispetto all'autentico pensiero del grande teologo bavarese divenuto Pontefice.  

L'opposizione da destra

Alcuni degli oppositori “da destra” di Benedetto XVI erano lefebvriani. Erano contro il Concilio, contro Paolo VI, contro Giovanni Paolo II, contro Benedetto XVI, così come, successivamente, contro Francesco. Qualcuno di questi critici affermava pubblicamente che la deviazione della Chiesa fosse iniziata con Leone XIII e l'enciclica Au milieu des sollicitudes con cui Leone XIII avrebbe tradito l'alleanza tra trono e altare rinunciando al principio del diritto divino dei re. In pratica, si cercò di isolare tutti i Papi post-Concilio opponendoli ai loro predecessori. Insomma gli avversari di Benedetto XVI furono anche gli avversari dei suoi predecessori e in seguito del suo successore. Il libro-denuncia di Radaelli si proponeva di controbattere uno per uno gli insegnamenti di Benedetto XVI a partire dal suo metodo storicistico. Insegnamenti ritenuti “profondamente erronei, pericolosi per la fede come solo una sintesi delle dottrine moderniste può essere”. Il volume di Radaelli voleva “convincere l’antico professore, poi Papa, a ripudiare pubblicamente, al più presto e in toto” tutti i concetti impropri della sua Introduzione al cristianesimo che “ne infettano le pagine, prima che, per lui s’intende, sia troppo tardi”. E intendeva “dimostrare al più largo numero di lettori raggiungibili, essere false e fuorvianti una per una e tutt’insieme le dottrine insegnate, così da contribuire a far ritornare la Chiesa alla solidità della sua fede di sempre”. In pratica “da sinistra” Ratzinger fu bollato come reazionario, retrogrado, formalista e da destra come eretico e modernista.  Ad avallare con una recensione positiva il libro di Radaelli fu monsignor Antonio Livi, già docente alla Pontificia Università Lateranense, che scrisse: “Ritengo che sia indispensabile, nell’attuale congiuntura teologico-pastorale, tener conto di quanto ha esaurientemente dimostrato Enrico Maria Radaelli nel suo ultimo lavoro, ossia che l'egemonia (prima di fatto e poi di diritto) della teologia progressista nelle strutture di magistero e di governo della Chiesa cattolica si deve anche e forse soprattutto agli insegnamenti di Joseph Ratzinger professore, che mai sono stati negati e nemmeno superati da Joseph Ratzinger vescovo, cardinale e papa”. 

Schemi concettuali e dogma cattolico

Radaelli, in accordo con Livi, sosteneva che “la teologia che Ratzinger ha sempre professato e che si ritrova in tutti i suoi scritti, anche in quelli firmati come Benedetto XVI (i tre libri su “Gesù di Nazaret” e sedici volumi di “Insegnamenti”) è una teologia di stampo immanentistico, nella quale tutti i termini tradizionali del dogma cattolico restano linguisticamente inalterati ma la loro comprensione è cambiata: messi da parte, perché ritenuti oggi incomprensibili, gli schemi concettuali propri della Scrittura, dei Padri e del Magistero, i dogmi della fede sono re-interpretati con gli schemi concettuali propri del soggettivismo moderno (dal trascendentale di Kant all'idealismo dialettico di Hegel)”. A farne le spese, secondo Livi, è soprattutto la nozione di base del cristianesimo, quella di fede nella rivelazione dei misteri soprannaturali da parte di Dio, ossia la “fides qua creditur”. Questa nozione risultava, a giudizio di Livi, “irrimediabilmente deformata, nella teologia di Ratzinger, dall’adozione dello schema kantiano dell’impossibilità di una conoscenza metafisica di Dio, con il conseguente ricorso ai postulati della ragione pratica, il che comporta la negazione delle premesse razionali della fede e la sostituzione delle ragioni per credere, con la sola volontà di credere, che fu teorizzata dalla filosofia della religione di stampo pragmatistico”. Inoltre, prosegue Livi nel suo J'accuse, Ratzinger “ha sempre sostenuto, anche nei discorsi da Papa, che l'atto di fede del cristiano ha come suo specifico oggetto, non i misteri rivelati da Cristo ma la persona stessa di Cristo, conosciuto nella Scrittura e nella liturgia della Chiesa: ma è una conoscenza incerta e contraddittoria, troppo debole per resistere alla critica del pensiero contemporaneo. Sicché, la teologia di oggi, secondo Ratzinger, “non riesce a parlare della fede se non in termini ambigui e contraddittori”. Secondo Livi, “la realtà è che la teologia neomodernista, con la sua evidente deriva ereticale, ha assunto gradualmente un ruolo egemonico nella Chiesa (nei seminari, negli atenei pontifici, nelle commissioni dottrinali delle conferenze episcopali, nei dicasteri della Santa Sede, e da queste posizioni di potere ha influito sulle tematiche e sul linguaggio nelle diverse espressioni del magistero ecclesiastico”. E di questo influsso, attaccò Livi, “hanno risentito (in grado diverso, naturalmente) tutti i documenti del Vaticano II e molti insegnamenti dei Papi del post-concilio. I Papi di questo periodo sono stati tutti condizionati, chi per un verso chi per un altro, da questa egemonia”.  Il libro di Radaelli mette insieme, in un unico filo rosso, Joseph Ratzinger, il cardinale Carlo Maria Martini e Papa Francesco (il paragrafo 33 del libro s’intitola: “Se l'ereticale palindromo congetturato nel 1967 dal Professore di Tubinga (Ratzinger), confermato e perfezionato nel 1988 da un cardinale di Milano (Martini), sintetizzato infine nel 2015 da Francesco, annienti tutta la Chiesa”). Mentre il paragrafo 46 dello stesso punta al Vaticano II e significativamente afferma che “La società liquida nasce da una Chiesa liquida, cioè pastorale, cioè ipodogmatica, nata da un Concilio liquido, cioè pastorale, cioè ipodogmatico”. Confermando così che queste correnti di pensiero legate a certo tradizionalismo ritenevano la secolarizzazione una diretta conseguenza del Concilio e di quella “teologia progressista” che aveva come esponenti Karl Rahner (encomiato da Giovanni Paolo II per i suoi ottant’anni), Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar (entrambi nominati cardinali dallo stesso Karol Wojtyla, come Livi fece notare nella prefazione).

L'attacco da sinistra alle forme esteriori

“Da sinistra”, invece, le critiche furono talvolta più legate alle forme esteriori dell'esercizio della potestà petrina che agli effettivi contenuti del pensiero teologico e dell'azione pastorale di Benedetto XVI. Molti rilievi furono mossi al Papa emerito da ambienti progressisti del cattolicesimo e derivavano dal fatto che Benedetto XVI utilizzava i paramenti indossati dal suo lontano predecessore Pio IX, l'ultimo Papa re dello Stato Pontificio e, più in generale, dal suo abbigliamento. Basti citare un accessorio in particolare: le famosissime scarpe rosse che inizialmente furono scambiate per un prodotto di Prada ma che poi si venne a sapere che erano state fatte a mano da Adriano Stefanelli, l’artigiano di fiducia del Papa che realizzò per lui cinque paia di scarpe, tra cui le pantofole da casa e le scarpe da montagna. “Rivedere il Papa è sempre una grande emozione. Ho notato che le sue scarpe erano consumate, segno che sono comode, che vanno bene e questa per me è la soddisfazione più grande”, ricordò Stefanelli.