“Per sperimentare l’amore bisogna lasciarsi perdonare”

Come può il cristiano “assaporare” l'amore e “la misericordia di Gesù?”. Bisogna “passare” per la confessione, anche se ci risulta difficile, perchè di fronte a Dio “siamo tentati di barricarci”, di “aprirci e dire i peccati”. Proviamo “vergogna”, ma questa è una “cosa buona”: “la vergogna è un invito segreto dell’anima che ha bisogno del Signore per vincere il male. Il dramma è quando non ci si vergogna più di niente. Non abbiamo paura di provare vergogna! E passiamo dalla vergogna al perdono!“. Così Papa Francesco si rivolge alle migliaia di pellegrini che affollano piazza San Pietro, dove il Pontefice presiede la Messa della Divina Misericordia. Una celebrazione alla quale sono presenti anche i 550 Missionari della Misericordia, tra cui anche il direttore di In Terris, don Aldo Buonaiuto, e ai quali Francesco rivolge un “grazie” particolare al termine della celebrazione. Nella sua omelia, il Santo Padre ripercorre la vicenda di Tommaso, che credette alla risurrezione di Gesù solo dopo aver toccato le sue piaghe. Si sofferma sulle parole dell'apostolo “incredulo”, definendolo nostro “gemello”, poiché anche i cristiani di oggi hanno bisogno di “vedere Dio”, “di toccare con mano che è risorto per noi”. E ribadisce: “Per toccare l'amore di Dio” è necessario “confessarsi”. Infine, invita tutti i credenti a chiedere la grazia “di riconoscere il nostro Dio: di trovare nel suo perdono la nostra gioia, nella sua misericordia la nostra speranza”.

Bisognosi di vedere il Risorto

Francesco inizia la sua riflessione “ringraziando” Tommaso, “perché non si è accontentato di sentir dire dagli altri che Gesù era vivo, e nemmeno di vederlo in carne e ossa, ma ha voluto toccare con mano i segni del suo amore”. Passa poi a spiegare il motivo per cui il Vangelo chiama questo apostolo “Didimo“, cioè gemello: “Anche a noi non basta sapere che Dio c’è: non ci riempie la vita un Dio risorto ma lontano; non ci attrae un Dio distante, per quanto giusto e santo. No, abbiamo anche noi bisogno di toccare con mano che è risorto per noi“. Come? “Attraverso le sue piaghe”, è la risposta del Pontefice. E spiega: “Entrare nelle sue piaghe è capire che il suo cuore batte per ciascuno di noi”. E ammonisce: “Possiamo ritenerci e dirci cristiani, ma, come i discepoli, abbiamo bisogno di vedere Gesù toccando il suo amore. Solo così andiamo al cuore della fede”.

Un Dio “geloso” d'amore

Si sofferma poi sulla frase che Tommaso pronuncia dopo aver visto il Risorto: “Mio Signore e mio Dio!”. Francesco pone l'accento sulla parola “mio”. E spiega: “È un aggettivo possessivo e potrebbe sembrare fuori luogo riferirlo a Dio. In realtà, dicendo mio non profaniamo Dio, ma onoriamo la sua misericordia, perché è Lui che ha voluto 'farsi nostro'”. “Dio non si offende a essere 'nostro', perché l’amore chiede confidenza, la misericordia domanda fiducia. Ecco la proposta di Dio, amante geloso che si presenta come tuo Dio”, aggiunge. Poi precisa: “Entrando nel mistero di Dio capiamo che la misericordia non è una sua qualità tra le altre, ma il palpito del suo stesso cuore. E allora non viviamo più da discepoli incerti, devoti ma titubanti; diventiamo anche noi veri innamorati del Signore!“. 

Superare la vergogna

Il Papa nuovamente si domanda “come assaporare questo amore”. La risposta la indica il Vangelo: “Gesù risorto, per prima cosa, dona lo Spirito per perdonare i peccati. Per sperimentare l’amore bisogna passare da lì: lasciarsi perdonare”. Rivolgendosi poi ai fedeli che affollano l'abbraccio del colonnato del Bernini domanda: “Io mi lascio perdonare?”. Confessarsi, dice il Papa, “sembra difficile”, perché abbiamo “vergogna di aprirci e dire i peccati”. In realtà, Dio ci dona “la grazia di comprendere la vergogna, di vederla non come una porta chiusa, ma come il primo passo dell’incontro”. Per il Santo Padre la vergogna è una cosa buona poiché “vuol dire che non accettiamo il male. Il dramma è quando non ci si vergogna più di niente”.

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Oltre le porte chiuse del peccato

Tornando al Vangelo proclamato durante la liturgia, il Papa paragona le porte chiuse del cenacolo alla nostra “rassegnazione” e al “peccato”. La rassegnazione, dice Francesco, la sperimentarono anche i discepoli, “sfiduciati” perché il “capitolo Gesù sembrava finito e dopo tanto tempo con Lui nulla era cambiato”. La stessa cosa, spesso, capita anche a noi: “Sono cristiano da tanto, eppure non cambia niente – prosegue il Pontefice -, faccio sempre i soliti peccati”. Ma così facendo “rinunciamo alla misericordia”. Ma è proprio in questi momenti che “il Signore ci interpella: 'Non credi che la mia misericordia è più grande della tua miseria? Sei recidivo nel peccare? Sii recidivo nel chiedere misericordia, e vedremo chi avrà la meglio!'”. Quindi una precisazione: “Non è vero che tutto rimane come prima, e chi conosce il Sacramento del perdono lo sa. Ad ogni perdono siamo rinfrancati, incoraggiati, perché ci sentiamo ogni volta più amati”, scoprendo “che la forza della vita è ricevere il perdono di Dio, e andare avanti, di perdono in perdono”. L'altra porta, quella del peccato, il Papa la definisce “blindata”, ma “solo da una parte, la nostra; per Dio non è mai invalicabile. Egli ama entrare proprio 'a porte chiuse', quando ogni varco sembra sbarrato”. “Egli non decide mai di separarsi da noi, siamo noi che lo lasciamo fuori – prosegue -. Ma quando ci confessiamo accade l’inaudito: scopriamo che proprio quel peccato, che ci teneva distanti dal Signore, diventa il luogo dell’incontro con Lui”. E conclude: “Come Tommaso, chiediamo oggi la grazia di riconoscere il nostro Dio: di trovare nel suo perdono la nostra gioia, nella sua misericordia la nostra speranza”.

Gli auguri alle Chiese Orientali

A conclusione della celebrazione, il Papa porge un ringraziamento speciale ai Missionari della Misericordia: “Grazie per il vostro servizio!”. Poi il saluto alle Chiese Orientali, che oggi celebrano la Pasqua (secondo il calendario giuliano: “Ai nostri fratelli e sorelle porgo gli auguri più cordiali. Il Signore risorto li ricolmi di luce e di pace, e conforti le comunità che vivono in situazioni particolarmente difficili”. Il pensiero del Pontefice va anche ai Rom e ai Sinti qui presenti, in occasione della loro Giornata Internazionale, il “Romanò Dives”: “Auguro pace e fratellanza ai membri di questi antichi popoli, e auspico che la giornata odierna favorisca la cultura dell’incontro, con la buona volontà di conoscersi e rispettarsi reciprocamente. E’ questa la strada che porta a una vera integrazione. Cari Rom e Sinti, pregate per me e preghiamo insieme per i vostri fratelli rifugiati siriani“.