Papa: “No alla cultura usa e getta dei consumi”

Un sistema economico privo di preoccupazioni etiche non conduce a un ordine sociale più giusto, ma porta invece a una cultura 'usa e getta' dei consumi e dei rifiuti“, avverte il Papa. Oggi al Palazzo Apostolico Vaticano, papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri del Consiglio per un capitalismo inclusivo . “Un capitalismo inclusivo, che non lascia indietro nessuno, che non scarta nessuno dei nostri fratelli e sorelle, è una nobile aspirazione, degna dei vostri migliori sforzi”, spiega Jorge Mario Bergoglio.

Eliminazione della povertà globale

“Incontrando, tre anni fa, i partecipanti al Fortune -Time Global Forum, ho sottolineato la necessità di modelli economici più inclusivi ed equi che consentano ad ogni persona di aver parte delle risorse di questo mondo e di poter realizzare le proprie potenzialità – afferma il Pontefice -. Il Forum 2016 consentì uno scambio di idee e informazioni volte a creare un’economia più umana e contribuire all’eliminazione della povertà a livello globale”. Il Consiglio per un capitalismo inclusivo è uno dei risultati del Forum 2016. “Avete raccolto la sfida di realizzare la visione del Forum cercando modi per rendere il capitalismo uno strumento più inclusivo per il benessere umano integrale – riconosce il Papa. Ciò comporta il superamento di un'economia di esclusione e la riduzione del divario che separa la maggior parte delle persone dalla prosperità di cui godono pochi. L'aumento dei livelli di povertà su scala globale testimonia che la disuguaglianza prevale su un’integrazione armoniosa di persone e nazioni”.

Sfide radicali

Secondo Francesco è “necessario e urgente un sistema economico giusto, affidabile e in grado di rispondere alle sfide più radicali che l’umanità e il pianeta si trovano ad affrontare”. Quindi “vi incoraggio a perseverare lungo il cammino della generosa solidarietà e a lavorare per il ritorno dell’economia e della finanza a un approccio etico che favorisca gli esseri umani”. Uno sguardo alla storia recente, in particolare alla crisi finanziaria del 2008, “ci mostra che un sistema economico sano non può essere basato su profitti a breve termine a spese di uno sviluppo e di investimenti produttivi, sostenibili e socialmente responsabili a lungo termine”. È vero che l’attività imprenditoriale è “una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti», e «può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”. Tuttavia, come ha ricordato San Paolo VI, “il vero sviluppo non può limitarsi alla sola crescita economica, ma deve favorire la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”.

Purificazione e rinnovamento

Ciò significa “molto di più che far quadrare i bilanci, migliorare le infrastrutture o offrire una più ampia varietà di beni di consumo”. Comporta piuttosto “un rinnovamento, una purificazione e un rafforzamento di validi modelli economici basati sulla nostra personale conversione e generosità nei confronti dei bisognosi”. Infatti, evidenzia il Pontefice, “quando riconosciamo la dimensione morale della vita economica, che è uno dei tanti aspetti della dottrina sociale cattolica che dev’essere pienamente rispettata, siamo in grado di agire con carità fraterna, desiderando, ricercando e proteggendo il bene degli altri e il loro sviluppo integrale”.  Quindi “vi siete posti l’obiettivo di estendere a tutti le opportunità e i benefici del nostro sistema economico: i vostri sforzi ci ricordano che coloro che si impegnano nella vita economica e commerciale sono chiamati servire il bene comune cercando di aumentare i beni di questo mondo e renderli più accessibili a tutti”.

Essere di più

In definitiva, secondo Francesco, non si tratta semplicemente di “avere di più”, ma di “essere di più”. Ciò che occorre è un profondo rinnovamento dei cuori e delle menti così che “la persona umana possa essere sempre posta al centro della vita sociale, culturale ed economica”. perciò “la vostra presenza qui è quindi un segno di speranza, perché avete riconosciuto le questioni che il nostro mondo è chiamato ad affrontare e l’imperativo di agire con decisione per costruire un futuro migliore”. E “vi esprimo la mia gratitudine per il vostro impegno nel promuovere un'economia più giusta e umana, in linea con i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa e tenendo conto dell’intera persona, nonché della generazione presente e delle future”.

Una Chiesa povera per i poveri

A tre giorni dalla sua elezione, papa Francesco, dinanzi ai rappresentanti dei media riuniti in udienza, pronunciò la frase rimasta famosa: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Ai più suonò ad effetto e non fece fatica ad affermarsi nelle divulgazioni mediatiche riguardanti il profilo di papa Francesco. Pochi, forse, compresero l’origine di quella esclamazione e cioè il Patto delle catacombe. Si tratta di un documento che, alla vigilia della chiusura del Concilio, il 16 novembre 1965, 42 vescovi (in seguito diventati 500) firmarono nelle Catacombe di Santa Domitilla, a Roma. In quel documento i contraenti si impegnavano a realizzare in prima persona, con scelte coraggiose di rinuncia e di condivisione, una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate, ai diseredati, agli indigenti e a chi subisce soprusi e ingiustizie. A quell’appuntamento si giunse attraverso un significativo cammino. Durante il Concilio, già dalla prima sessione, un gruppo di vescovi e teologi si riuniva periodicamente per riflettere su Gesù, la Chiesa, i poveri e fare delle proposte all’assemblea. L’iniziativa prese il nome di Chiesa dei poveri. Molti vescovi si associavano a questa ricerca e proponevano di assumere il tema del mistero di Cristo nei poveri come centro dell’insegnamento dottrinale e dell’opera di rinnovamento di tutto il Concilio. Questa riflessione attraversò come un fiume sotterraneo il Vaticano II, diluendosi nei testi conciliari.

Il tentativo di Paolo VI

Difficili, anche se immaginabili, le cause di una certa riluttanza a recepire quelle proposte in maniera più radicale. Paolo VI ci provò: di sua iniziativa, durante i lavori di una sessione compì il significativo gesto di deporre la sua tiara sull’altare di san Pietro, come dono ai poveri. Davanti all’impossibilità di vedere le loro intuizioni incarnarsi nei documenti conciliari, i sostenitori dell’iniziativa Chiesa dei poveri decisero di scrivere un testo, conosciuto appunto come Patto delle catacombe, firmato alla fine di una celebrazione eucaristica nelle catacombe di Roma. Il tema antico e straordinariamente attuale è tornato alla ribalta proprio con il pontificato di papa Francesco, segno eloquente di quanto lui, oltre che dai documenti, attinga anche dallo spirito dinamico e, a volte sotto traccia, che ha animato tutto il Concilio, e la richiesta di una Chiesa povera per i poveri è quanto mai incisiva per accompagnare la Chiesa nel suo farsi prossimo, per uscire e andare incontro alle periferie esistenziali da abitare e abbracciare. Denunciando i meccanismi perversi che le rendono possibili. Più che per temi, come abbiamo avuto modo di constatare, in papa Francesco c’è il tentativo di attuare il Vaticano II per dinamismi. Anche la misericordia non è proposta solo come tema teologico, scrutabile nelle scritture e ben visibile nelle parabole della misericordia del capitolo 15 di Luca, “il nucleo del Vangelo della nostra fede”. Essa è un agire costante, instancabile di Dio che, a sua volta, muove all’azione: per Saracino c’è un modo di argomentare di Francesco, derivante dalla sua spiritualità ignaziana, che è quello di partire da ciò che nella fede è in movimento. Inoltre, non c’è condizione migliore del movimento per situare la persona umana.

La misericordia come programma del pontificato

Jorge Mario Bergoglio, nelle attenzioni riposte sulla misericordia, ci consegna l’esperienza che ha guidato e guida la sua vita e le conseguenze della sua vita. Non è un caso, secondo il missionario scalabriniano don Gaetano Saracino, che il motto del suo stemma episcopale sia proprio “Miserando atque eligendo” del Vangelo di Matteo. È l’incontro di Gesù con l’esattore delle tasse che, subito dopo, lascia tutto e lo segue. È la misericordia che può muovere la Chiesa, quella, forse, solo studiata nella Lumen Gentium e nella Gaudium et Spes. Tuttavia, nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Francesco non fa mistero del nesso con il Concilio, sia nella forma, (l’anniversario della chiusura del Concilio), sia nella sostanza (mantenere viva la memoria conciliare). In tutti questi anni, per Saracino, non sono mancate iniziative suscitate dalla missione della Chiesa nel mondo, sottolineata proprio dal Concilio.

Doppio passo

Un doppio passo ha portato la Chiesa ad ascoltare più attentamente il mondo. In questa direzione sono andate, e stanno andando, le iniziative del Cortile dei gentili o la Cattedra dei non credenti promosse dal Pontificio Consiglio per la Cultura. È Concilio pieno anche questo, secondo Saracino. Ed è opera di misericordia anche consigliare i dubbiosi, insegnare. Francesco, tuttavia, spinge l’ascolto in loco, nei luoghi più disparati. Là, la misericordia si fa prossimità e ansia paterna, quella del padre della parabola del figliol prodigo, e non solo confronto intellettuale. Una cattedra in questo senso, con il Giubileo straordinario della Misericordia, Francesco l’ha conferita ai poveri. Questo papa venuto dalla fine del mondo “demonizza il capitalismo”. Sono bastate poche frasi del pontefice “contro l'economia che uccide” per bollarlo come “papa marxista”. Che a fare certi commenti siano editorialisti di quotidiani finanziari, o esponenti di movimenti come il “Tea Party” americano, non deve probabilmente sorprendere. Molto più sorprendente, invece, è che siano stati condivisi anche da alcuni settori del mondo cattolico, dal momento che, alla base dei ragionamenti di Bergoglio non c'è che la radicalità evangelica dei Padri della Chiesa. Delle disuguaglianze sociali e dei poveri è ammesso parlare, a patto che lo si faccia di rado. Un po' di carità e un pizzico di filantropia, conditi da buoni sentimenti, vanno bene, mettono a posto la coscienza. Basta non esagerare. Basta, soprattutto, non azzardarsi a mettere in discussione il “sistema”. Un sistema che, anche in molti ambienti cattolici, rappresenterebbe il migliore dei mondi possibili, perché – come ripetono senza sosta le cosiddette “teorie giuste” – più i ricchi si arricchiscono meglio va la vita dei poveri. Ma il fatto è che il sistema non funziona, e oggi viene messo in discussione da un Papa propone una riflessione di profondissima fede e umano pragmatismo sul rapporto fra economia e Vangelo.