Papa: appello a non cedere al “fascino dell'idolatria”

Ne abbiamo parlato la settimana scorsa, ora riprendiamo il tema perché è molto importante conoscere questo”. Così Papa Francesco ha introdotto oggi, parlando a braccio in Aula Paolo VI per la seconda udienza generale dopo la pausa di luglio, la catechesi sull'idolatria, in linea di continuità con quella della scorsa settimana. La riflessione del Santo Padre è partita dall'idolo per eccellenza, il vitello d'oro, di cui si parla nel Libro dell'Esodo.

La religione fai-da-te

Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili”, ha proseguito Francesco: “Questa insicurezza genera nell’uomo ansie primarie, che Gesù menziona nel Vangelo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?'”. E in quel deserto – ha proseguito – “accade qualcosa che innesca l’idolatria, perché Mosè, che era salito sul monte tardava a scendere dal monte”. “È rimasto lì 40 giorni e la gente si è spazientita”. Papa Bergoglio spiega che mancando Mosè, cioè “il capo, la guida rassicurante”, “il punto di riferimento”, la condizione del popolo “diventa insostenibile”. Ne consegue la richiesta ad Aronne: “'Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa!’. Facci un capo, facci un leader”. Così nasce una religione “fai-da-te”, in quanto – ha ammonito il Papa – “se Dio non si fa vedere, ci facciamo un dio su misura”.

“Dio toglie l'Egitto che portiamo dentro”

La deriva verso l'idolatria riguarda anche noi. Essa – ha spiegato il Pontefice – “nasce dall’incapacità di confidare soprattutto in Dio, di riporre in Lui le nostre sicurezze, di lasciare che sia Lui a dare vera profondità ai desideri del nostro cuore. Questo permette di sostenere anche la debolezza, l’incertezza e la precarietà”. Perché “senza primato di Dio si cade facilmente nell’idolatria e ci si accontenta di misere rassicurazioni”. Segni di “amore e potenza” sono serviti a Dio per liberare il popolo dall'Egitto, dunque – la riflessione di Francesco – “non è costato tanto lavoro”, ma – ha aggiunto – “il grande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto dal cuore del popolo, cioè togliere l’idolatria dal cuore del popolo. E ancora Dio continua a togliere l’idolatria dal cuore del popolo. È il grande lavoro di Dio: togliere l’Egitto che portiamo dentro, è il fascino dell’idolatria”.

Gli idoli di oggi

Ma quali sono i grandi idoli di oggi? Quelli di sempre: “Successo, potere e denaro”, ha ripetuto il Papa. Il suo appello, invece, è ad “accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore”. Del resto – ha detto ancora – “quando si accoglie il Dio di Gesù Cristo, che da ricco si è fatto povero per noi, si scopre che riconoscere la propria debolezza non è la disgrazia della vita umana, ma è la condizione per aprirsi a colui che è veramente forte”. Allora – ha sottolineato – “per la porta della debolezza entra la salvezza di Dio; è in forza della propria insufficienza che l’uomo si apre alla paternità di Dio. La libertà dell’uomo nasce dal lasciare che il vero Dio sia l’unico Signore. E questo permette di accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore”. Francesco ha portato l'esempio di Cristo crocifisso, verso cui volgiamo lo sguardo, “che è debole, disprezzato e spogliato di ogni possesso”. Tuttavia, “in lui si rivela il volto del Dio vero, la gloria dell’amore e non quella dell’inganno luccicante”. “Lui viene a rivelarci la paternità di Dio; in Cristo la nostra fragilità non è più una maledizione, ma luogo di incontro con il Padre e sorgente di una nuova forza dall’alto”, ha concluso il Santo Padre.