Padre Massimiliano Kolbe, una vita spesa a servizio dell’Amore

Maria

“Vorrei essere come polvere per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo e predicare la Buona Novella.” Questa è una delle frasi di un uomo di Dio, padre Massimiliano Kolbe, ucciso dai nazisti il 14 agosto del 1941, alla vigilia della solennità dell’Assunzione della Vergine, con una iniezione di acido fenico. I suoi resti furono cremati. Anni prima i confratelli, comprendendone già la santità, conservarono i suoi capelli, oggi unica reliquia per i cristiani.

Perseguitato

La persecuzione aveva già seminato morte presso la sua famiglia, il padre Giulio, vittima dei russi perché aveva lottato per l’Indipendenza, mentre il fratello Francesco, internato nel lager di Dachau. Massimiliano, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz, ha condiviso con i milioni di fratelli ebrei i dolori dell’Olocausto, tanto da essere marchiato pure lui con il numero 16670. Ha portato un sollievo quasi celestiale, solo un cuore innamorato di Dio poteva continuare ad amare nonostante tutto, una luce in mezzo alle tenebre, come testimoniano alcuni sopravvissuti alla Shoah, basta leggere alcuni loro commenti per capire che padre Kolbe è stato un gigante della fede, suo grande merito è aver fatto trionfare l’amore sul quel male che è stato il nazionalsocialismo. “Egli irruppe nel cerchio infernale della dialettica dell’odio con un cuore bruciante d’amore e, di colpo, quel sortilegio infernale fu esorcizzato, l’amore fu più forte della morte. Troppi sono oggi coloro la cui carità fraterna è condizionata dalla razza, dalla nazione, dall’ideologia!” diceva Wojtyla.

Un gesto d’amore

Egli è ricordato da molti come il sacerdote che si è offerto ai nazisti per salvare un giovane padre di famiglia, un atto d’amore, volentieri avrebbe se solo avesse potuto, sostituirsi a tutti i sequestrati. “Fu uno shock per tutto il campo. Uno sconosciuto, uno come tutti, torturato e privato del nome e della condizione sociale, era morto per salvare qualcuno che non era neanche suo parente. Perciò non è vero gridavamo che l’umanità è gettata nel fango, schiacciata senza speranza. La sua morte fu la salvezza di migliaia di vite umane”, ha raccontato Giorgio Bieleki, testimone di quell’evento.

La Milizia dell’Immacolata

Nel 1917 in Russia vigeva il Comunismo, la Chiesa era perseguitata e i religiosi venivano rinchiusi nei gulag. in questo contesto padre Kolbe, che all’epoca aveva 23 anni, costituì la Milizia dell’Immacolata. Non era ancora sacerdote, ma aveva già una bella maturità apostolica, ed esortava ad amare tutti, sia i fedeli di altre religioni che i nemici. Mosso da un grande zelo si fece missionario in Oriente; il Vescovo Hajasaka in Giappone gli affidò il servizio di stampa, che svolgeva a Niepokalanow, la Cittadella dell’Immacolata, ma per il francescano era importante che tale compito fosse svolto sempre in spirito di preghiera. In un certo senso è stato un precursore del dialogo ecumenico.

L’arresto

Il 19 settembre del ’39 i nazisti arrestarono padre Kolbe essendo ritenuto pericoloso non solo perché sacerdote, ma anche perché era un uomo di scienza, un intellettuale. Fu trasferito in carcere prima a Lamsdorf, poi a Amititz, poi ancora ad Ostrzeszow e infine a Pawiak. Durante questo calvario offrì se stesso al Signore; nessun rancore e astio verso i criminali, questa la sua forza, che spezza la logica del male. Nel maggio del ’41 venne trasferito con 320 ebrei ad Auschwitz, il viaggio dell’orrore. “Appena, ci ebbero stipati nei vagoni, un silenzio di tomba ci avvolse. Ma appena il treno si mosse qualcuno intonò un canto religioso, che molti tra noi ripresero…ed appresi che era stato padre Kolbe” raccontò Swies, presente anche lui sul quel treno. Secondo le testimonianze dell’epoca, gli aguzzini non riuscivano a sostenere il suo sguardo. E questo perchè era capace di offrire speranza, e, infaticabile discepolo del Signore, ribadiva ai suoi amici di cella che “Dio è buono e misericordioso”. I suoi compagni di prigionia hanno affermato: “Non solo pregava per loro, ma esortava noi a pregare per la loro conversione”. Un paradosso, che però ci ha fatto comprendere che Dio era presente anche in quell’inferno. Dio era lì e soffriva con ogni suoi figlio.

Una calamita spirituale

Tutte coloro che lo hanno conosciuto affermarono che in lui era come “una calamita spirituale”: riusciva a guardare oltre quelle assurde barbarie. Lo avevano soprannominato anche “l’Angelo di Auschwitz, per la sua incredibile generosità”: voleva sempre essere l’ultimo a ricevere un po’ di cibo, che spesso preferiva offrire a un prigioniero più giovane di lui. In quel pane vedeva l’Eucarestia che non poteva celebrare. Per molti padre Kolbe è stato un dono di Dio, uno strumento di redenzione presso quella “fabbrica diabolica”, una fiamma consumata per amore che riscaldava i cuori afflitti. Nonostante quella realtà deturpata, assurda e inaccettabile, le sue parole erano come balsamo sulle paure e sulla rabbia, pregava a volte a voce alta e questo contagiava i presenti.

L’importanza della preghiera

La preghiera come dialogo con Dio nutriva la sua anima, la chiave per risolvere l’inquietudine era ed è affidarsi all’Onnipotente. Massimiliano incontrò Dio nell’altro, il corpo mistico del Signore era presente in ogni fratello sofferente della Shoah, vivendo pienamente il comandamento dell’amore. Quel luogo di disperazione era divenuto una specie di catacomba dove si celebrava il mistero di Dio. Se la maggior parte dei Paesi si era resa complice anche con il silenzio dinanzi al nazismo, il sacrificio di San Massimiliano, come di altri Giusti, ha ridato speranza, confermando che l’uomo può scegliere il bene. Il martire non è un masochista, è seme che rigenera e porta nuovi frutti fa rinascere nuove conversioni, crea unità, accresce e purifica la fede, il martire non è colui che uccide in nome di nessun Dio.

Sull’esempio della Madonna

Figura fondamentale per questo francescano è stata la Vergine: discepola perfetta, umile “serva” dal cuore immacolato, “tenda” dell’incontro con Dio. Questo aspetto di Maria è un concetto tipicamente ebraico. Nell’Esodo si legge: “Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda. Allora il Signore parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. Così il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,9- 11). Il 10 ottobre 1982 Giovanni Paolo II, lo dichiarò santo. Alla celebrazione era presente F. Gajowniczek, l’uomo salvato dal frate. Papa Wojtyla definì padre Kolbe “il Santo di questo secolo, patrono speciale per i nostri difficili tempi”, vero modello per ogni sacerdote e per ogni cristiano.