Ortodossi: cosa c'è dietro lo scisma ucraino

Il mondo cristiano ortodosso, nelle ultime settimane, è stato scosso dalle fondamenta da una polemica dal carattere tanto politico quanto dottrinale per effetto della concessione, da parte del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, dello status “indipendente” della Chiesa ucraino ortodossa nei confronti del Patriarcato di Mosca.

Il caso

Un tale provvedimento potrebbe apparire meramente giurisdizionale, del tutto ininfluente da un punto di vista sostanziale, tuttavia lo è molto meno se si considerano tutta una serie di circostanze che caratterizzano i riti del mondo ortodosso dell’Europa orientale, i quali vanno inevitabilmente ad intersecarsi con la tesa situazione politica che sta scandendo in maniera sempre più preoccupante i toni del dialogo tra la Russia e diverse repubbliche ex-sovietiche. In altre parole, la proclamata “autocefalia” della Chiesa di Kiev rappresenta un’arma destabilizzante che potrebbe ulteriormente aggravare una situazione politica già di per sé tesissima.

La realtà ortodossa

Per spiegarne esaustivamente i motivi, occorre, innanzitutto, considerare che, a differenza del cattolicesimo di natura “universale”, il credo ortodosso è fondato su un carattere esclusivamente “nazionale”, caratteristica che lo contraddistingue fin dai tempi dell’evangelizzazione dei popoli slavi portata avanti nel IX secolo d.C. dai santi bizantini Cirillo e Metodio, nonché dai loro discepoli, in Bulgaria, nei Balcani e, successivamente, nella Rus’ di Kiev. All’ epoca, l’epicentro culturale a cui il mondo slavo-orientale faceva capo era senza dubbio Bisanzio, pertanto fu la Chiesa bizantina a concedere l‘autocefalia in primis alle Chiese di Bulgaria e Serbia. Con il passare dei secoli e con l’assottigliarsi progressivo dell’influenza politica di Costantinopoli (conquistata dal sultano Maometto II nel 1453), Mosca (passando per Kiev) si è fatta carico del lascito della tradizione e della sfera culturale bizantina, in un crescendo spirituale che è andato di pari passo con quello politico-militare: gli echi ideologici della “Mosca – terza Roma” si sono palesati fino ai tempi più moderni financo ad essere riscontrabili persino nel comportamento politico e strategico assunto dall’Urss e, in un certo senso, dalla Russia odierna che, dopo il laicismo di Stato imposto dal socialismo reale di stampo sovietico, sta sperimentando un ritorno progressivo verso il sentimento religioso ortodosso che non può esimersi dal sovrapporsi spesso con quello nazionalistico (anche nel senso più deteriore del termine). La Slavia orientale è sempre stata inquadrata come un territorio culturalmente omogeneo (durante gli anni dell’Impero Russo le definizioni “russi, ucraini e bielorussi” rappresentavano delle mere sfumature prive di qualsiasi connotazione etnica) associato all’antica Rus’ di Kiev, ma dal 1991 l’indipendenza di Ucraina e Bielorussia ha contribuito ad una “frattura” storica tra il potere centrale di Mosca e le sue “province” più occidentali, nonché un elemento di destabilizzazione geopolitica di notevole portata.

L'elemento dottrinale…

In questo senso, l’elemento religioso non è esente dal discorso: da un punto di vista confessional-territoriale, infatti, in Ucraina sono riconoscibili almeno tre Chiese ortodosse, di cui due in aperta opposizione tra di loro per motivi squisitamente politici. La Chiesa ucraina ortodossa facente capo alla Metropolia di Kiev (dipendente da Mosca) guidata dal Metropolita Onufrij si frappone culturalmente al “Patriarcato di Kiev” di Filarete, autoproclamatosi indipendente nel 1997 ma non riconosciuto né da Mosca né dal resto del mondo ortodosso. L’Ucraina più filo-occidentale post-Majdan si riconosce nelle istanze e nei proclami di Filarete, Patriarca spesso coinvolto nel mondo politico del suo Paese, nonché famoso per aver spesso e volentieri incoraggiato ancora attraverso i media il popolo ucraino a combattere armi in pugno i nemici “moskaly”, come spregiativamente vengono apostrofati i russi a quelle latitudini. Il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo -primus inter pares tra i vari Patriarchi per motivi prettamente di natura storica- ha concesso l’autocefalia a Kiev riaprendo un antico “vaso di Pandora” del dibattito spirituale ortodosso: perché concedere l’autonomia ad una Chiesa che non ne ha fatto espressamente richiesta, come stabilito dal canone? Inoltre, fino a che punto il Patriarca di Costantinopoli è ancora autorizzato a pronunciarsi in merito a questioni amministrative che riguardano esclusivamente quello di Mosca? C’è da considerare il fatto che, nel corso della storia, anche Mosca ha concesso ben tre autocefalie, così come il Patriarcato di Antiochia la concesse alla Chiesa ortodossa georgiana nel 466 d.C., invalidando di fatto l’ “esclusiva” di Costantinopoli in materia. Da un punto di vista politico, dunque, Mosca, mettendo in discussione la proclamazione di Bartolomeo, sta portando a compimento un processo di allontanamento spirituale e culturale dalle sue radici bizantine, forte dei suoi quasi 150 milioni di fedeli dislocati in tutto lo spazio post-sovietico.

… e quello politico

Se dal punto di vista dottrinale le differenze possono risultare inesistenti, i risvolti politici della vicenda risultano essere particolarmente gravi per via dell’utilizzo strumentale che la politica fa della religione nei Paesi ex sovietici: nel caso dell’Ucraina, a maggior ragione, una larga fetta di popolazione è legata alla Metropolia di Onufrij, la quale ha sempre accolto con una certa ritrosia le recenti diatribe politiche insorte tra Mosca e Kiev tentando di riunire un Paese collassato sotto il peso della guerra, piuttosto che dividerlo ulteriormente. Ne è ben conscio il presidente ucraino Porošenko, il quale non ha esitato ad inserire l’indipendenza della Chiesa ucraina nel suo programma elettorale in vista delle presidenziali di marzo 2019. Anche la reazione della politica russa non si è fatta attendere: il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, non ha esitato nel definire la decisione del Patriarcato di Costantinopoli come una “provocazione orchestrata dagli Stati Uniti”. Il tradizionale “cesaropapismo” del Patriarcato di Mosca, rappresentato da Kirill, molto vicino a Vladimir Putin, è parte integrante della strategia culturale russa messa in atto per recuperare, da un punto di vista di influenza, il terreno perso con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. In molti casi, infatti, i servizi di intelligence russi, nonché gli apparati, si sono serviti di membri del clero dispiegati nel proprio “estero vicino” per conseguire scopi che poco avevano a che fare con la vita spirituale dei fedeli. Oltre a quello dell’Ucraina, dove Onufrij è accusato di parteggiare per i ribelli del Donbass, si può citare il caso della Georgia, dove il Patriarca Elia II si rese parte attiva nella mediazione durante il conflitto russo-georgiano del 2008.

Un Paese a pezzi

L’Ucraina sembra vivere sul filo dell’ennesima frattura ideologica. In un Paese destabilizzato socialmente e politicamente si teme che il conflitto possa spostarsi dal piano politico a quello religioso: considerando quanto sta avvenendo negli ultimi anni nei confronti della popolazione russofona, non sono da escludere violente ritorsioni per gli ucraini fedeli al Patriarcato di Mosca. I problemi di natura giurisdizionale ed amministrativa potrebbero contribuire a far deflagrare una situazione già allo stato attuale valutabile come estremamente critica, stando a diversi indicatori socio-economici che vedono l’Ucraina fanalino di coda in Europa per quanto concerne stabilità e benessere. Per tacere, poi, delle questioni di tipo patrimoniale che potrebbero sorgere in merito alla gestione e alla conservazione di veri e propri templi sacri del mondo ortodosso, come il celebre “Monastero delle Grotte” di Kiev, vero e proprio “quartier generale” della cultura russa ortodossa.