“No a una politica fatta di slogan che maschera l’interesse di pochi”

Una città che non sopporta “i vicoli ciechi della corruzione“, che “non conosce i muri della privatizzazione degli spazi pubblici”, dove il “noi” non si riduce “a slogan, ad artificio retorico che maschera l’interesse di pochi”. Papa Francesco riceve in udienza, in Vaticano, i sindaci membri dell’Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani. Ai primi cittadini del Bel Paese, il Pontefice racconta la sua idea di “città ideale”, uno spazio urbano che al contrario della Babele biblica, non cresce “in altezza”, ma in larghezza, allargando e spalancando le piazze e le strade. Quella che descrive Bergoglio è una città che accoglie i migranti senza dimenticare le periferie. Quindi esorta i sindaci a proseguire il loro lavoro esercitando le virtù della prudenza e del coraggio per governare, e quella della tenerezza per restare vicino al proprio popolo.

La città biblica

Il Papa ricorda come le prime pagine della Bibbia trattino della storia di una città, Babele: è uno spazio urbano incompiuto, destinato “a restare nella memoria dell’umanità come simbolo di confusione e smarrimento, di presunzione e divisione, di quella incapacità di capirsi che rende impossibile qualsiasi opera comune”. Ma la Bibbia, fa notare il Pontefice, si chiude anche con la storia di un’altra città, la “Gerusalemme celeste“, che “profuma di cielo e racconta un mondo rinnovato”. La paragona ad una “tenda” che “dilata l’incontro e la possibilità di trovarvi cittadinanza”. “Abitarvi rimane un dono – ammonisce -; vi si entra nella misura in cui si contribuisce a generare relazioni di fraternità e comunione”. Quest’immagine, con le suggestioni che suscita, “esprime come la società umana possa reggersi soltanto quando poggia su una solidarietà vera, mentre laddove crescono invidie, ambizioni sfrenate e spirito di avversità, essa si condanna alla violenza del caos“.

La città ideale

Bergoglio parla di una città che “riassume in una sola le tante” affidate ai sindaci italiani. Quella che descrive è una città “che non ammette i sensi unici di un individualismo esasperato e che dissocia l’interesse privato da quello pubblico”, “non sopporta la corruzione”, ma soprattutto “non conosce i muri della privatizzazione degli spazi pubblici, dove il ‘noi’ si riduce a slogan, ad artificio retorico che maschera l’interesse di pochi”. Per costruire questa città non serve uno slancio verso l’alto, come successe a Babele: “Non si tratta di alzare ulteriormente la torre, ma di allargare la piazza, di fare spazio – sottolinea -, di dare a ciascuno la possibilità di realizzare sé stesso e la propria famiglia e di aprirsi alla comunione con gli altri”. Per vivere in questi spazi è necessario “un cuore buono e grande, nel quale custodire la passione del bene comune”. È proprio questo sguardo, aggiunge il Pontefice, “che porta a far crescere nelle persone la dignità dell’essere cittadini” promuovendo la “giustizia sociale, il lavoro, i servizi, le opportunità“. Non solo: “Crea innumerevoli iniziative con cui abitare il territorio e prendersene cura”, educando “alla corresponsabilità”.

Incontro e accoglienza

Francesco vede in una città un grande “corpo animato” nel quale “se una parte respira a fatica, è anche perché non riceve dalle altre ossigeno a sufficienza”. Il pensiero del Santo Padre va a quelle realtà “nelle quali viene meno la disponibilità e la qualità dei servizi, e si formano nuove sacche di povertà ed emarginazione“. È in questi posti “che la città si muove a doppia corsia: da una parte l’autostrada di quanti corrono comunque iper-garantiti, dall’altra le strettoie dei poveri e dei disoccupati, delle famiglie numerose, degli immigrati, di chi non ha qualcuno su cui contare”. Questi schemi vanno rifiutati, afferma perché “separano” dando vita ad una lotta tra uomini dove la vita di uno è la morte dell’altro. Alla fine “ogni senso di solidarietà e umana fratellanza” viene ditrutto.

Attenzione alle periferie

Quindi un appello: “A voi sindaci mi permetto di dirvi: bisogna frequentare le periferie, quelle urbane, quelle sociali e quelle esistenziali. Il punto di vista degli ultimi è la migliore scuola, ci fa capire quali sono i bisogni più veri e mette a nudo le soluzioni solo apparenti”. La periferia, aggiunge il Papa, “mentre ci dà il polso dell’ingiustizia, ci indica anche la strada per eliminarla: costruire comunità dove ciascuno si senta riconosciuto come persona e cittadino, titolare di doveri e diritti, nella logica indissolubile che lega l’interesse del singolo e il bene comune. Perché ciò che contribuisce al bene di tutti concorre anche al bene del singolo”. Muoversi in questa prospettiva necessita di una “politica e un’economia nuovamente centrate sull’etica” “della responsabilità, delle relazioni, della comunità e dell’ambiente”.

Spazi d’incontro per i giovani

C’è, altresì, bisogno “di un ‘noi’ autentico, di forme di cittadinanza solide e durature”, “di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, che non lasci ai margini chi arriva sul nostro territorio, ma si sforzi di mettere a frutto le risorse di cui ciascuno è portatore”. Il Pontefice, riprendendo il saluto del presidente dell’Anci, il sindaco di Bari, Antonio Decaro, ricorda lo sbarco degli albanesi avvenuto a Bari con il mercantile Vlora e aggiunge: “Comprendo il disagio di molti vostri cittadini di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati. Esso trova spiegazione nell’innato timore verso lo ‘straniero’, un timore aggravato dalle ferite dovute alla crisi economica, dall’impreparazione delle comunità locali, dall’inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza”. Come superare questo disagio? Secondo Bergoglio la soluziona sta “l’offerta di spazi di incontro personale e di conoscenza mutua“, in tutte quelle “iniziative che promuovono la cultura dell’incontro, lo scambio vicendevole di ricchezze artistiche e culturali, la conoscenza dei luoghi e delle comunità di origine dei nuovi arrivati”. “Mi rallegra sapere che molte delle amministrazioni locali qui rappresentate possono annoverarsi tra i principali fautori di buone pratiche di accoglienza e di integrazione – aggiunge -, con esiti incoraggianti che meritano una vasta diffusione. Mi auguro che tanti seguano il vostro esempio”.

Le virtù del sindaco

In questo modo, “la politica può assolvere a quel suo compito fondamentale che sta nell’aiutare a guardare con speranza al futuro“. Incoraggia allora i sindaci a lavorare pensando ai giovani, che sono “la speranza del domani”: “che non rimangano soltanto destinatari di pur nobili progetti, ma possano diventarne protagonisti; e, allora, non mancherete di raccoglierne anche i benefici”. Il Papa raccomanda ai sindaci di avere familiarità con i proprio cittadini. Poi, a braccio, elenca le tre virtù che ogni sindaco dovrebbe esercitare: “Il sindaco deve avere le virtù della prudenza per governare, la virtù del coraggio per andare avanti e la virtù della tenerezza per essere vicino al suo popolo. Se il sindaco è vicino al suo popolo va avanti sempre”.

De Caro: “Non possiamo essere soli nell’accoglienza”

Non possiamo essere lasciati soli. Di fronte a un fenomeno di portata globale ed epocale è impensabile che tutto sia lasciato sulle spalle del nostro Paese e che, all’interno del nostro Paese, sia lasciato sulle spalle di alcuni sindaci di frontiera. È impensabile, ma soprattutto profondamente ingiusto”. Così Antonio De Caro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, si rivolge al Papa nel saluto iniziale a nome della delegazione di primi cittadini. Rivolgendosi al Pontefice ricorda “l’impegno quotidiano di tanti sindaci nelle politiche di accoglienza, nel difficoltoso compito di costruire ponti e non muri, nel tendere mani e superare diffidenze”. Quello dei sindaci, afferma, è “un lavoro, ma anche una condizione spirituale. Siamo chiamati ad essere i nuovi artigiani della civiltà e dell’umanità”.

La sfida dell’immigrazione

Chi approda sulle nostre coste, spesso non lo fa per scelta – prosegue il sindaco del capoluogo pugliese -. E non merita di crescere in un Paese ostile, in un clima di pregiudizio, violenza e discriminazione. Un Paese che accoglie, che non chiude le proprie porte alla speranza, è un Paese che genera vita e che guarda ed educa a guardare con speranza al futuro. Perché se l’egoismo, anche solo per calcolo elettoralistico, prevarrà sulla coesione, allora sì – sottolinea – che dovremo temere per la tenuta morale e sociale del Paese. Perché le fragilità sociali non hanno colore, i sindaci lo sanno bene, non fanno differenze di cittadinanza, sesso o etnia, ma possono coinvolgere tutti noi, in qualsiasi fase della nostra vita”. Di fronte alla sfida del cambiamento e delle migrazioni “spesso ci capita di avere paura. Spesso vorremmo tornare indietro. Soprattutto quando ci sentiamo soli», ma «con la Sua parola, non lo saremo mai”, conclude Decaro ringraziando il Pontefice per l’incontro con l’Anci: “Questa iniziativa, ci consente di guardare avanti con più fiducia e più coraggio“.

I sindaci donano a Papa Francesco una stola, piatti decorati a mano, un cesto con prodotti tipici piemontesi e un turbante. Si tratta dell’opera di richiedenti asilo e rifugiati impegnati in realtà lavorative che fanno parte delle reti territoriali.