La Santa Croce: lo 'scandalo' che ci rende Cristiani

Poche settimane dopo il naufragio del transatlantico Titanic, il 15 aprile 1912, la casa Bamforth & Co, nel West Yorkshire, pubblicò sei cartoline per commemorare le perdite di quel tragico evento. Su di esse, sul mare pumbleo fenduto dalla nave in rovina, campeggiava, luminosissima, la Santa Croce coronata dall'incipit dell'inno cristiano Nearer my God to Thee, ispirato al brano biblico del Sogno di Giacobbe, che si ritiene essere stato l'ultimo brano suonato dall'orchestra sulla nave in rovina nelle acque dell'Atlantico. Al di là della narrazione, la Croce ha sempre simboleggiato, nell'iconografia cristiana, il mistero della Salvezza Redenzione operate da Cristo e, pertanto, il suo significato intrinseco è stato da sempre centrale nella fede del popolo di Dio. 


Cartolina commemorativa del naufragio del Titanic stampata da Bamforth & Co – Foto © Lorne Campbell / Guzelian

Il segno della Vittoria

Sul modello di una visione non dissimile da quella impressa sulle cartoline, nel 312 d.C. l'imperatore Costantino vide il simbolo di una Croce con la scritta In hoc signo vinces: sotto “il segno della Croce”, infatti, vincerà su Massenzio a Ponte Milvio. La festa della Santa Croce si radica al periodo costantiniano, quando la madre dell'Imperatore, Elena, provvide personalmente alla sua scoperta nella città santa di Gerusalemme. La data scelta è il 14 settembre perché lo stesso giorno del 355, si narra che la donna portò la sacra reliquia al vescovo di Gerusalemme, Macario, che la innalzò sul Golgota. Ma la Croce, che di per sé è uno strumento d'esecuzione capitale in auge nell'Impero Romano, è inscindibile dal suo “Portatore”, cioè Cristo. Pertanto, sulla scia santa del Figlio di Dio, la reliquia venne presto suddivisa in tante piccole parti e si diffuse nel mondo. 


Piero della Francesca, Il sogno di Costantino, affresco realizzato tra 1458 e 1466, conservato presso la Basilica di San Francesco ad Arezzo

Da Oriente a Occidente

La festa dell'esaltazione della Croce passò in Occidente grazie a Papa Sergio, pontefice bizantino del VII secolo, il quale ne fece traslare una reliquia consistente nella città di Roma, punto centrale della Chiesa d'Occidente e sede della cattedra di Pietro. La Croce in Occidente è legata alla testimonianza dei martiri. Non è un caso, infatti, che l'apostolo di Cristo vi sia legato: si narra che la stessa esecuzione di Pietro avvenne con l'utilizzo di una croce che, già rivestita di una forte carica simbolica, venne ulteriormente dissacrata ponendola a testa in giù. Ave Crux, Spes Unica è il motto latino che sottolinea come la redenzione salvatrice di Cristo sia passata attraverso un simbolo sinora ritenuto mezzo per infliggere morte: “L'elevazione di Cristo sulla croce costituisce l'inizio dell’elevazione dell'umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo dell'elevazione è la vita eterna” disse Papa Giovanni Paolo II nell'omelia pronunciata il 14 settembre del 1984 ad Halifax, in Canada.

I richiami nell'Antico Testamento

Ma il suo significato risale prima del simbolo stesso. Come ricordano gli esegeti, la Croce si prefigura già nell'albero della vita, la pianta che nella Genesi si trova al centro dell'Eden e rappresenta la “conoscenza del bene e del male”. Sant'Agostino ricorda come il ruolo salvifico della Croce sia già presente in un passo della Genesi, riferendosi al serpente di bronzo issato sul legno da Mosé per salvare il popolo d'Israele. Nell'episodio s'innesta una netta metafora cristologica: nel libro della Genesi, infatti, il serpente rappresentava lo spirito del male ma, issato sul palo per ordine di Dio, muta il suo ruolo divenendo salvezza. Allo stesso modo Cristo, elevato sulla Croce come un bandito qualunque, tramuta quel simbolo di umiliazione criminale a porta di accesso verso il Cielo. Le parole di Papa Wojtyla nel suo viaggio apostolico in Nuova Scozia sono illuminanti: “La croce è il segno della più profonda umiliazione di Cristo. Agli occhi del popolo di quel tempo costituiva il segno di una morte infamante. Solo gli schiavi potevano essere puniti con una morte simile, non gli uomini liberi. Cristo, invece, accetta volentieri questa morte, la morte sulla croce. Eppure questa morte diviene il principio della risurrezione. Nella risurrezione il servo crocifisso di Jahvè viene innalzato: egli viene innalzato su tutto il creato”. Non a caso, il termine greco Ὕψους, in Italiano “Sublime“, viene utilizzato per la prima volta nei Vangeli per descrivere l'innalzamento della Croce.

Via di salvezza

Anche Dante Alighieri modella sulla Croce le tre cantiche della Divina Commedia. Il simbolo sacro appare soltanto nel Paradiso, quando Dante intravvede Beatrice nel Cielo di Marte. Eppure, tutta l'opera è intrisa del simbolo della Croce, dai simboli trinitari del Purgatorio, fino al Paradiso, appunto. Il critico e dantista statunitense Charles Singleton ne La poesia della Divina Commedia ricorda che la Croce, in consonanza con lo “scandalo” insito nel supremo sacrificio di Cristo, è presente già nell'Inferno, dove il suo significato si carica di enfasi ancora più grande. Non è un caso che, nell'ultimo anello del regno sotterraneo, dov'è la “ghiaccia” in cui è conficcato l'angelo ribelle, Dante rispolveri la simbologia della Croce proprio nel momento dell'incontro fra il poeta con il male assoluto: nel Medioevo era chiaro il legame fra la Croce e la scala, e non è un caso che Dante, per poter accedere al Purgatorio, debba proprio passare dalla voragine in cui è incastrato il diavolo. Metafora sottile, ma di forte valenza spirituale, che indica come in Cristo, la Croce sia il passaggio che trasmuta il male in strumento per giungere alla salvezza.


La rappresentazione della Croce nel Cielo di Marte, visione che Dante ebbe nel Paradiso – Litografia di Gustave Doré