La Conferenza di Puebla 40 anni dopo

Nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti al Congresso Internazionale in occasione del 40° anniversario della Conferenza dell’episcopato latinoamericano a Puebla.

Svolta storica

La terza conferenza dell’episcopato latinoamericano e del Caribe, che si svolse a Puebla (Messico) quarant’anni fa, è già stata celebrata a marzo, in occasione di questo anniversario, con un convegno che si è svolto nel Seminario Palafoxiano, nella stessa Puebla, nell’ambito delle attività della Settimana latinoamericana sull’iniziazione alla vita cristiana, promossa dal Celam (Consiglio episcopale latinoamericano) a Città del Messico. All’incontro, riferisce il Sir, hanno preso parte, tra gli altri, l’arcivescovo di Puebla, monsignor Víctor Sánchez, e il segretario del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, monsignor Octavio Ruíz Arenas, che ha evidenziato come la Conferenza latinoamericana del 1979 abbia avuto come riferimento la globalità della persona umana, alla luce della comunione e della partecipazione. Mons. Juan Espinoza, segretario generale del Celam e vescovo ausiliare di Morelia (Messico) ha evidenziato come celebrare il 40 ° anniversario della Conferenza di Puebla non sia solo celebrare il dono di Dio che si è incarnato nella Chiesa: “Si tratta di assumere l’impegno a continuare l’importante sfida che la Conferenza stessa ha proposto”. A questo proposito ha chiarito che l’impegno si riferisce non solo a rinnovare lo zelo missionario nei tempi che cambiano, ma ad “affrontare, con forza e intelligenza, le innegabili difficoltà che ogni giorno diventano sempre più evidenti”: incoerenze, scandali, diminuzione delle vocazioni, perdita della fede, secolarizzazione, corruzione, ingiustizie di ogni tipo, senza dimenticare le diverse espressioni di violenza. Perciò, secondo monsignor Espinoza, “se la Chiesa non sarà in grado di dare una risposta efficace, creativa e innovativa alla realtà, il cattolicesimo e l’evangelizzazione non avranno futuro”. Da qui, evidenzia il Sir, l’invito ad andare avanti con la missione, vivendo e trasmettendo agli altri l’audacia dei profeti, la prudenza evangelica dei pastori, la chiaroveggenza dei maestri e la mansuetudine dei genitori”.

Periferie geografiche ed esistenziali

In perfetta continuità con la lezione di Puebla, Jorge Mario Bergoglio, primo Papa della storia proveniente dal nuovo mondo, ha impostato il suo pontificato sui diritti degli ultimi. Contro la “globalizzazione dell’indifferenza”, Francesco mette al centro del Magistero l’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali. Una rivoluzione rispetto alla visione romanocentrica. Nel segno del Concilio ecumenico Vaticano II. Nell’affrontare i grandi temi sociali, Francesco attinge sì a tutta la tradizione spirituale dei “santi della carità”, ma anche ad alcuni testi del Concilio, denotanti speciale attenzione per la giustizia verso i poveri e l’impegno a favore degli ultimi. Il testo più rilevante è Lumen Gentium, diventato teologicamente importante per richiamare la povertà della Chiesa. Il decreto conciliare Presbyterorum Ordinis contempla l’attenzione della povertà rivolta ai presbiteri in particolare nel numero 17: la non appartenenza al mondo; abbracciare la povertà volontaria; la gratuità; l’uso retto dei beni temporali; sostegno alle opere di apostolato a favore dei poveri; le opere della carità; evangelizzazione anche verso i poveri; attrazione dei più deboli evitando di allontanarli. “La forza di Francesco è quella di saper parlare ai lontani, senza disorientare i vicini”, sintetizza il vescovo siciliano Domenico Mogavero. “Tranne piccole minoranze di conservatori, tutti trovano in lui il portavoce di chi non ha voce in qualunque ambito della società”. Come il buon Pastore del Vangelo, papa Bergoglio lascia al sicuro le pecore già nell’ovile per andare a recuperare quella che si è smarrita. Il modello cui conforma il proprio pontificato è l’approccio pastorale di Giovanni XXIII, il suo predecessore che non si rivolgeva solo ai cattolici e neppure soltanto alle diverse confessioni che compongono il mosaico della cristianità, bensì a tutti gli uomini di buona volontà.

L’America latina laboratorio sociale per la Chiesa universale

L’America Latina è stata nel cuore di Giovanni XXIII. Lo dimostra uno dei suoi primissimi discorsi da pontefice, il 15 novembre 1958 al Consiglio episcopale dell’America Latina. Papa Roncalli ricorda la bellezza e la fatica dei cattolici in quella terra nella quale, segno e fattore di più intima e profonda unità, l’appartenenza religiosa costituisce un blocco compatto sul quale brilla il vessillo della croce che sopra di esso ha da secoli inalberato la Chiesa Cattolica Apostolica Romana. E il cattolicesimo latino-americano, secondo lo sguardo profetico di Giovanni XXIII, è elemento di grandissimo peso per la vita della Chiesa intera e le sue sorti future. Secondo don Fortunato Di Noto, fondatore dell’associazione Meter Onlus, Roncalli, con paterna amorevolezza, indica i mezzi e i suggerimenti per far vivere e brillare la Chiesa nell’immediato e nel futuro per risvegliare le coscienze e per raggiungere con la catechesi e l’impegno degli apostoli le zone più remote, quelle più lontane. Significativamente, poi, Giovanni XXIII celebra la sua prima messa da pontefice fuori dal Vaticano, in occasione della visita al Collegio Urbano di Propaganda Fidei, il 30 novembre 1958. Come farà mezzo secolo dopo Jorge Mario Bergoglio, papa Roncalli richiama alla misericordia quando sostiene che l’umana libertà dell’uomo deve corrispondere alla chiamata di Dio e se ciò non avviene costituisce un pericolo per i singoli e per i popoli. “Questa mancata corrispondenza della umana libertà alla chiamata di Dio a servizio dei suoi disegni di misericordia costituisce il più terribile problema della storia umana e della vita dei singoli uomini e dei popoli”, disse Giovanni XXIII nel radiomessaggio al mondo per Natale, il 23 dicembre 1958. Il Papa buono ben 117 volte utilizza la parola “misericordia”, con vibranti e accorati richiami. Come quello alla glorificazione di Maria che è il richiamo della sua missione, di tutto il disegno che Dio ebbe su di lei: missione di misericordia e di salvezza, perché il disegno di Dio è missione di misericordia. Parole pronunciate all’udienza generale del 1° maggio 1963. Ma due anni prima, Giovanni XXIII indicava nel perdono il cammino luminoso verso la misericordia del Signore, descrivendo il perdono di Assisi come luminosa attrattiva del popolo cattolico all’udienza generale del 2 agosto 1961. Sulle orme dell’ideatore del Concilio, Francesco definisce la misericordia come “architrave della Chiesa” nella bolla Misericordiae Vultus. Echi roncalliani. Giovanni XXIII, infatti, in un discorso ai pellegrini, convenuti a Roma per la Cattedra di Pietro (28 ottobre 1959) scriveva: “Il mondo ancora e sempre si regge perché la voce e il sangue di Cristo gridano pietà e misericordia”. Un concetto poi ribadito anche nel radiomessaggio al clero e ai fedeli di Malta del 24 luglio 1960: “È la misericordia di Dio che ci ha affidato le gioie e le prove degli uomini. Per essere saldi nel Signore e nella morale è necessaria la pratica generosa dei dieci comandamenti, dei precetti della Chiesa e delle quattordici opere di misericordia”. Solo così è possibile resistere alle seduzioni che qua a là fanno sentire la loro voce di sirene ingannatrici. La misericordia, a giudizio di don Di Noto, non può essere solo una mera idea ma necessita delle opere. Nel radiomessaggio del Sabato Santo (13 aprile 1963), Roncalli sottolineò come le opere spirituali e corporali, nell’esercizio attivo delle opere di misericordia, danno testimonianza di una vita generosamente offerta a Dio e alle anime.

Sulle orme di Giovanni XXIII

Già il 16 dicembre 1959 il pensiero di Giovanni XXIII era stato, secondo don Fortunato Di Noto, chiaro, determinato e senza mezzi termini nell’esortare i nuovi cardinali a distaccarsi dalla ricchezza e dai legami terreni, ed essere miti e misericordiosi. Un messaggio puntellato di concetti che saranno ripresi cinquant’anni dopo da Francesco. Le priorità per chi serve la Chiesa invece di servirsene sono la bontà mite e misericordiosa, che nasce dal cuore largo come la rena, che sta sul lido del mare. E cioè il servizio pronto e diuturno della verità e della carità, nell’esercizio delle quattordici opere di misericordia; la fame e la sete della giustizia, per l’avvento del Regno di Dio; la prontezza al sacrificio, soprattutto al sacrificio, che è legge sovrana di spirituale fecondità. Chi governa la Chiesa ripone non nel potere la sua autorità, ma nel servizio. Un legame saldissimo conduce da Giovanni XXIII a Francesco, così come emerge dalla vita, dalle parole e dalla viva testimonianza di vita. Roncalli, realista e sognatore, con il Concilio ebbe a indicare l’orizzonte della storia nella quale i credenti dovevano guardare e muoversi con l’apostolato. La Chiesa non doveva parlare di sé, ma di Cristo per andare incontro all’uomo, ai suoi drammi, ai dolori e ai suoi bisogni di pace e di misericordia. Per Di Noto il linguaggio di Giovanni XXIII fu più pastorale che nel rigore della metafisica e della teologia. Nessuna dottrina fu messa in discussione dal Concilio e Roncalli non aveva intenzione di modificarla, ma aprì alla natura umana ferita al dolore degli uomini la speranza e invocava nella Parola di Dio l’azione del balsamo e della guarigione. In perfetta continuità con il Papa buono Roncalli, il Papa misericordioso Bergoglio non interrompe questo umanesimo che trova nella misericordia di Dio la mirabile continuazione dell’azione dello Spirito Santo per rendere manifesta la natura e la missione di Dio nella vita dell’umanità lacerata e bisognosa di resurrezione, di vita eterna nella carne, nel già e non ancora.

Partire dai poveri

Don Primo Mazzolari, in un suo libro dedicato alla parrocchia, racconta di un suo amico, parroco di una piccola parrocchia. Confida a don Primo un sogno: costruire una Casa della carità. Don Primo gli risponde di fare della sua canonica la Casa della carità così la parrocchia andrà bene. La parrocchia è in buona salute se i poveri vi si recano. Alla fine della vita, si è giudicati sulla carità. Come si utilizzano le ricchezze della comunità credente è la misura di una Chiesa non solo credibile, ma di Gesù Cristo. Si deve partire dai poveri per una Chiesa povera e per i poveri. Ma non si deve strumentalizzarli per apparire in un mondo globalizzato e mercantizzato. Secondo Di Noto le nuove povertà, in una Chiesa ricca, sono quelle difficilmente visibili, solo l’ascolto, l’accompagnamento, la presa in cura per la guarigione, ci faranno scorgere le povertà dei piccoli, degli uomini e delle donne “abusate” dal potere della ricchezza che genera coperture, silenzio e negazione. I poveri più difficili da scorgere e da aiutare.

Una spiritualità autenticamente cattolica

Per Francesco, occorre richiamarsi fortemente alla sua spiritualità e capire che questa non è furbizia, né confusione, incertezza o inadeguatezza, ma peculiarità del gesuita che vive sempre una sorta di tensione. Al centro c’è Cristo e la sua Chiesa, che sono i punti fermi che permettono al religioso di vivere decentrato, in periferia. Qui il pensiero incompleto diventa anche pensiero aperto, creativo e generoso. Insomma, essendo Cristo al centro di tutto, l’azione non può che essere per la maggior sua gloria. Questa spiritualità permette una vicinanza profonda a tutta la Chiesa intesa come popolo di Dio e, allo stesso tempo, richiede umiltà e coraggio perché non è così immediata da essere capita. È l’atteggiamento che ha permesso ai gesuiti di avvicinare i riti cinesi, quelli malabarici, e capire in Paraguay gli indios che cercavano la tierra sin mal, anche subendo calunnie e incomprensioni. È un riferimento con il quale papa Francesco intende camminare con la Chiesa in questo tempo, confidando che la fecondità delle esigenze dinamiche ereditate dal Concilio sia tutta nelle mani di Dio.