Iraq, allarme rosso per i cristiani

In vent’anni la presenza cristiana in Iraq si è ridotta a un sesto. Aiuto alla Chiesa che soffre, fondazione pontificia che si occupa di cristiani perseguitati, segue da vicino i drammatici sviluppi delle ultime ore.

Momenti angoscianti

“Siamo preoccupati”, dichiara a LaPresse il direttore Alessandro Monteduro. Che sul territorio la preoccupazione si avvertisse ancora prima del 3 gennaio lo dimostra che a Baghdad il patriarcato caldeo aveva annullato tutte cerimonie religiose della notte di Natale.  Dopo l'appello contro i venti di guerra in Medio Oriente, Papa Francesco si rivolge alla comunità dei cristiani in Iraq, in Siria e in tutta la regione: “Nei momenti più tristi della nostra vita, nei momenti più angoscianti e di prova non dobbiamo avere paura ed essere audaci come lo è stato Paolo, perché Dio veglia su di noi, è sempre vicino a noi”.  Gli ultimi dati disponibili, del marzo 2019, ci dicono che la popolazione cristiana è ridotta “al lumicino”, osserva Monteduro. Se nel 2000 i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo, oggi sono tra i 225 e i 230mila.

Esodo incessante

Dalla destituzione di Saddam Hussein, il declino  è strato costante e ha visto il suo momento più drammatico nell'estate del 2014, con l'affermazione degli uomini di al Baghdadi nella piana di Ninive, che ha costretto i 120 mila fedeli presenti a spostarsi a Erbil, riferisce LaPresse. Dopo la disarticolazione militare dell'Isis, circa 55mila di loro hanno avuto il coraggio e la forza di tornare nelle loro case, sostenuti quasi esclusivamente dalle chiese locali (Caldea, Siro cattolica e Siro ortodossa) e, solo recentemente, dalle istituzioni governative nazionali. Ma senza le organizzazioni di carità le chiese non avrebbero potuto far fronte all'emergenza. Per il solo Iraq, Aiuto alla Chiesa che soffre ha finanziato iniziative per 46 milioni di euro: “Ci siamo fatti carico del rientro, abbiamo iniziato ristrutturando le case, poi i luoghi religiosi, le chiese, i seminari e i monasteri. Nel 2018 sono arrivati anche i primi contributi dagli Stati Uniti, la Germania e l'Ungheria. Questo aveva creato un clima di speranza (non che disarticolato Isis tutto fosse rose e fiori)”, racconta a LaPresse il direttore di Acs.

Filo-occidentali 

La situazione dei cristiani è come minimo comparabile con quella di tutta la popolazione irachena. “I cristiani soffrono come tutti, ma non dimentichiamo che soffrono anche di discriminazione, di persecuzione, di oppressione perché considerati filo-occidentali- osserva Monteduro-.E oggi essere considerati filo-occidentali significa essere considerati filo-americani. Il timore è quello di ripercussioni, al quale si aggiunge quello che da questa vicenda possa riprendere fiato la componente più estremista dell'Isis”. Il 10 giugno, parlando ai partecipanti alla Riunione delle opere di aiuto alle Chiese Orientali (Roaco), Papa Francesco aveva annunciato che avrebbe voluto affrontare un viaggio in Iraq, se ci fossero state le condizioni. “Temo che quelle condizioni oggi non ci siano più- sottolinea il direttore di Acs-. Se questo non dovesse accadere, il mio dolore sarebbe pensare all'attesa con la quale i cristiani attendevano la visita. Anche perché l'idea e la voce di un suo viaggio aveva trovato sempre più consistenza, c'erano delle interviste chiare su come si fossero mossi i tasselli organizzativi. Mai come questa volta sarebbe stato il viaggio di un pastore. L'aspirazione del cardinale Sako era che si potesse firmare una sorta di memorandum bis sulla fratellanza umana a Najaf (città santa per gli sciiti), sulla scorta di quello firmato ad Abu Dhabi col grande imam di Al Azhar (il più grande centro studi dell'Islam sunnita)”.  

Riconversione

Se il viaggio ci fosse stato prima, è impossibile dire se sarebbe cambiato qualcosa. “Il Papa, il Vaticano e il nunzio Zenari hanno già sviluppato un ruolo importante nei processi di pacificazione in un'altra area del Medio Oriente, la Siria- sottolinea a LaPresse Monteduro-.Non credo che la visita avrebbe potuto impedire la spirale che si sta vivendo in queste ore. Personalmente ricordo due anni fa icordo Qaraqosh deserta, era stata liberata tre settimane prima. Non rilasciava suoni, a parte quello degli uccelli. La cosa drammatica è stata che tutto quello che si richiamava al cristianesimo era stato distrutto, abbattuto o riconvertito”. E aggiunge “la chiesa madre era stata trasformata in un poligono di tiro. Ricelebrammo la prima messa dopo la liberazione su un tappeto di proiettili, tra statue della Madonna con mani e piedi amputati, e proiettili conficcati nel cuore, lì si tocca con mano la presenza dello stato islamico: non è una guerra politica, è una guerra politico-religiosa figlia di un'ideologia deviata e fanatica”.