Il Papa benedice la Via Crucis di Gerusalemme

Il Pontefice le ha benedette questa mattina in Vaticano e così la Via Crucis di Gerusalemme avrà le sue stazioni in bronzo. “Il progetto, realizzato in collaborazione tra la diocesi di Verona e la Custodia di Terra Santa, consiste nella realizzazione delle 14 stazioni della Via Crucis su sculture in bronzo delle dimensioni di circa 50×60 centimetri-riferisce l’Ansa-. In particolare 9 stazioni, dalla I alla IX, saranno appese al muro della Via Dolorosa, le altre cinque saranno collocate nella Cappella della Custodia di Terra Santa dei Padri Francescani all'interno del Santo Sepolcro. Le sculture verranno donate alla Custodia di Terra Santa e la posa della Via Crucis avverrà il 6 ottobre”.

Segno ecumenico

Jorge Mario Bergoglio è stato un vescovo che ha vissuto nel profondo la rivoluzione del Concilio, che chiedeva una riforma della Chiesa. Lo spirito del Vaticano II vive nelle sue parole, nelle omelie, in un’idea di Chiesa madre di umanità, che guarda con simpatia a tutti. “Bergoglio ha colto quelli che il Concilio chiama i segni dei tempi- puntualizza monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, presidente della commissione Cei per l'ecumenismo e il dialogo, membro della Congregazione delle Cause dei Santi, ex rettore della Pontificia Università Urbaniana-. Lo ha fatto di fronte alla guerra in Siria, a Cuba, e lo fa continuamente davanti a un mondo europeo impaurito e un po’ miope, concentrato su di sé senza una visione del futuro e della storia nella sua complessità”.

Il dialogo come bussola

I suoi viaggi a Lampedusa, in Albania, in America Latina, in Africa, dove ha voluto aprire l’Anno Santo in un paese poverissimo e travagliato dalla guerra come il Centrafrica, sono da leggere nella prospettiva di una Chiesa che si fa vicina senza paura a chi soffre, come una madre ai suoi figli. In questo papa Francesco coglie una missione della Chiesa per il mondo e nel mondo e non solo una Chiesa che parla ai “suoi”. L’ecumenismo di Bergoglio, evidenzia Spreafico, si riallaccia all’incontro di Giovanni XXIII con Jules Isaac del 13 giugno 1960, che gli parlò della teologia del disprezzo e dell’antisemitismo. Giovanni XXIII conosceva la sofferenza degli ebrei da delegato apostolico a Istanbul, dove si era adoperato per la loro salvezza. Ma il «Papa buono» conobbe prima a Sofia, poi a Istanbul, poi a Parigi e infine a Venezia anche il mondo dell’ortodossia e della riforma, con cui si aprì a un rapporto cordiale. La Nostra Aetate affonda le sue radici lì, come del resto l’apertura al dialogo ecumenico, su cui Paolo VI pose una pietra miliare nel suo incontro a Gerusalemme con il patriarca ecumenico Athenagoras.

Nel segno di Assisi

“Tuttavia si deve riconoscere che la vera svolta conciliare si realizzò con Giovanni Paolo II», avverte Spreafico. Al di là dei numerosi incontri e documenti del suo pontificato, l’icona più significativa del sogno ecumenico e di incontro con le religioni mondiali fu Assisi 1986. Questa icona rimane un punto fermo, perché sottolinea come il dialogo si realizza innanzitutto con l’incontro fraterno nel rispetto delle differenze e nella tensione comune verso la pace attraverso la preghiera, come fu Assisi. Icona indelebile e un po’ dimenticata, nonostante la Comunità di Sant’Egidio con fedeltà la riproponga ininterrottamente dal 1987. In questo spirito, appunto lo spirito di Assisi, si pone la visita alla Sinagoga di Roma, poi ripetuta da Benedetto e nel gennaio 2016 da Francesco. Bergoglio riprende questa idea dell’incontro fraterno, che crea relazioni e aiuta a superare antichi steccati. Così, per Spreafico, è stata la visita a sorpresa alla Chiesa Evangelica della Riconciliazione a Caserta, o quella ai Valdesi, alla comunità Luterana a Roma, e gli incontri con patriarchi delle Chiese ortodosse o Antiche Chiese Orientali.  È l’ecumenismo dell’incontro più che dei documenti, che aiuta ad avvicinare spiritualmente guarendo antiche ferite e pregiudizi.

L’apostolato della testimonianza

Un legame saldissimo conduce da Giovanni XXIII a Francesco, così come emerge dalla vita, dalle parole e dalla viva testimonianza di vita. Roncalli, realista e sognatore, con il Concilio ebbe a indicare l’orizzonte della storia nella quale i credenti dovevano guardare e muoversi con l’apostolato. La Chiesa non doveva parlare di se, ma di Cristo per andare incontro all’uomo, ai suoi drammi, ai dolori e ai suoi bisogni di pace e di misericordia. Il linguaggio di Giovanni XXIII fu più pastorale che nel rigore della metafisica e della teologia. Nessuna dottrina fu messa in discussione dal Concilio e papa Roncalli non aveva intenzione di modificarla, ma aprì alla natura umana ferita al dolore degli uomini la speranza e invocava nella Parola di Dio l’azione del balsamo e della guarigione.