Il Papa: “L’invidia è aceto sul cuore”

Due pilastri della Chiesa. Così Papa Francesco ha definito i Santi Pietro e Paolo dopo la Messa celebrata a San Pietro questa mattina e prima della preghiera dell'Angelus, nel giorno in cui, in occasione della loro festa liturgica, Roma è in festa. Il Pontefice ha, così, colto l'occasione per fare memoria del Vangelo di Matteo (Mt 16,18), in particolare del passo topico in cui Gesù definisce, parlando all'apostolo Pietro, l'essenza stessa della Chiesa: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. È la prima volta che Gesù pronuncia la parola 'Chiesa', ma più che sul sostantivo vorrei invitarvi a pensare all’aggettivo, che è un possessivo, 'mia': la mia Chiesa. Gesù non parla della Chiesa come di una realtà esterna, ma esprime il grande amore che nutre per lei: la mia Chiesa. È affezionato alla Chiesa, a noi”. Un'eco della missione della Chiesa che trova risonanza anche nell'Apostolo:” San Paolo scrive: 'Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei' (Ef 5,25), cioè, spiega l’Apostolo, Gesù ama la Chiesa come sua sposa. Per il Signore noi non siamo un gruppo di credenti o un’organizzazione religiosa, siamo la sua sposa. Egli guarda con tenerezza la sua Chiesa, la ama con fedeltà assoluta, nonostante i nostri errori e tradimenti. Come quel giorno a Pietro, oggi dice a tutti noi: mia Chiesa, voi siete mia Chiesa”. L'appartenenza alla Chiesa, così evocata dal Santo Padre non ha, però, carattere puramente esclusivo. Piuttosto, si tratta di un processo di amore inclusivo: significa “Non differenziarci dagli altri – dice il Papa – ma imparare la bellezza di stare con gli altri, perché Gesù ci vuole uniti e aperti. La Chiesa, infatti, non è 'mia' perché risponde al mio io, alle mie voglie, ma perché io vi riversi il mio affetto. È mia perché me ne prenda cura, perché, come gli Apostoli nell’icona, anch’io la sorregga. Come? Con l’amore fraterno. Col nostro amore fraterno possiamo dire: la mia Chiesa”. 

Il pericolo dell'invidia

L'icona dei Santi Pietro e Paolo menzionata dal Papa rivela anche un altro elemento: l'abbraccio. L'essenzialità del gesto tra “un pescatore e un fariseo con esperienze di vita, caratteri, modi di fare e sensibilità alquanto differenti” può essere un modello di riferimento per i cristiani. Il Pontefice non ha perso occasione per cogliere nel simbolo una spinta essenziale al messaggio cristiano, cioè la concordia tra i figli di Dio: “In questa festa, che unisce due Apostoli tanto diversi, sarebbe bello che anche ognuno di noi dica: “Grazie, Signore, per quella persona diversa da me: è un dono per la mia Chiesa”. Tale atteggiamento mette in luce un peccato a cui, spesse volte, gli stessi cristiani sono soggetti, vale a dire l'invidia: Siamo diversi ma questo ci arricchisce, è la fratellanza. Fa bene apprezzare le qualità altrui, riconoscere i doni degli altri senza malignità e senza invidie. L’invidia! L'invidia provoca amarezza dentro, è aceto sul cuore. Gli invidiosi hanno uno sguardo amaro. Tante volte, quando uno trova un invidioso, viene voglia di domandare: ma con che ha fatto colazione oggi, col caffelatte o con l’aceto? Perché l’invidia è amara. Rende amara la vita. Quant’è bello invece sapere che ci apparteniamo a vicenda, perché condividiamo la stessa fede, lo stesso amore, la stessa speranza, lo stesso Signore. Ci apparteniamo gli uni gli altri e questo è splendido, dire: la nostra Chiesa! Fratellanza”.

Pasci le mie pecore

Nella parte finale del suo discorso, il Pontefice è ritornato sui passi del Vangelo, citando stavolta Giovanni (21,17): “Gesù dice a Pietro: 'Pasci le mie pecore'. Parla di noi e dice 'le mie pecore' con la stessa tenerezza con cui diceva mia Chiesa. Con quanto amore, con quanta tenerezza ci ama Gesù! Ci sente suoi. Ecco l’affetto che edifica la Chiesa. Per intercessione degli Apostoli, chiediamo oggi la grazia di amare la nostra Chiesa. Chiediamo occhi che sappiano vedere in essa fratelli e sorelle, un cuore che sappia accogliere gli altri con l’amore tenero che Gesù ha per noi. E chiediamo la forza di pregare per chi non la pensa come noi – questo la pensa altrimenti, prego per lui – pregare e amare, che è il contrario di sparlare, magari alle spalle. Mai sparlare, pregare e amare”. Benedire l'altro, nel senso etimologico del termine, diventa la migliore risposta all'invidia degli uomini. Da valente gesuita, il Pontefice ha chiare le ambivalenze dell'animo umano, spesso contraddittorio, di fronte alle nostre relazioni interpersonali. Per questo, ciascun cristiano ha bisogno di una guida che sostenga il fedele nel suo irto cammino. Nella Vergine Maria, Papa Francesco scruta il ruolo perfetto della custodia e perseveranza per il bene comune: “La Madonna, che portava concordia tra gli Apostoli e pregava con loro (cfr At 1,14), ci custodisca come fratelli e sorelle nella Chiesa”