Il Papa: “I poveri, il tesoro che non parla la lingua dell'io”

Preziosi agli occhi di Dio”, il “tesoro della Chiesa” e questo “perché non parlano la lingua dell’io“: li definisce così coloro che vivono in povertà Papa Francesco, nell'omelia della Santa Messa in San Pietro per la Giornata mondiale dei poveri, coloro che “non si sostengono da soli, con le proprie forze, hanno bisogno di chi li prenda per mano“. Un insegnamento contenuto nei Vangeli e che ci ricorda che il Vangelo stesso “si vive così, come mendicanti protesi verso Dio”. Per questo, ha spiegato il Santo Padre, “anziché provare fastidio quando li sentiamo bussare alle nostre porte, possiamo accogliere il loro grido di aiuto come una chiamata a uscire dal nostro io, ad accoglierli con lo stesso sguardo di amore che Dio ha per loro”. E' infatti “stando con i poveri, servendo i poveri” che “impariamo i gusti di Gesù, comprendiamo che cosa resta e che cosa passa”. Ed è proprio nella lettura evangelica odierna che Gesù lascia un insegnamento sorprendente, “per i suoi contemporanei e anche per noi”, mentre si lodava il tempio di Gerusalemme, affermando che non ne sarebbe rimasta “pietra su pietra”.

L'inganno della fretta

Parole che profetizzarono come “la salda certezza del popolo di Dio sarebbe crollata” ed è nelle stesse parole di Gesù che si trova la risposta al dubbio: “Egli spiega che a crollare, a passare sono le cose penultime, non quelle ultime: il tempio, non Dio; i regni e le vicende dell’umanità, non l’uomo. Passano le cose penultime, che spesso sembrano definitive, ma non lo sono. Sono realtà grandiose, come i nostri templi, e terrificanti, come terremoti, segni nel cielo e guerre sulla terra”. Ed è per aiutarci “a cogliere ciò che conta nella vita” che Gesù mette in guardia da due tentazioni, le più deleterie. La prima è quella della fretta, della seduzione “di voler sapere tutto e subito, dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa”. Ma “non va seguito chi diffonde allarmismi e alimenta la paura dell’altro e del futuro”, poiché “se ci affanniamo per il subito, dimentichiamo quel che rimane per sempre: inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo di vista il cielo. Attratti dall’ultimo clamore, non troviamo più tempo per Dio e per il fratello che ci vive accanto”. E questo ci conduce alla cultura dello scarto: “Si va di fretta, senza preoccuparsi che le distanze aumentano, che la bramosia di pochi accresce la povertà di molti”. Alla fretta, Gesù pone come antidoto la perseveranza: “Andare avanti ogni giorno con gli occhi fissi su quello che non passa: il Signore e il prossimo. Ecco perché la perseveranza è il dono di Dio con cui si conservano tutti gli altri suoi doni”.

La tentazione dell'io

C'è poi un secondo inganno dal quale Gesù vuole distogliere il nostro sguardo, la tentazione dell'io: “Il cristiano, come non ricerca il subito ma il sempre, così non è un discepolo dell’io, ma del tu. Non segue, cioè, le sirene dei suoi capricci, ma il richiamo dell’amore, la voce di Gesù”. Una voce che si distingue “parlando la stessa lingua di Gesù, quella dell’amore, la lingua del tu”, sfuggendo dunque alla tentazione del donare per ricevere a nostra volta: “La Parola di Dio, invece, spinge a una carità non ipocrita, a dare a chi non ha da restituirci, a servire senza cercare ricompense e contraccambi”. Ed è in tali “antidoti” che si riconosce la risposta ai quesiti posti sulle certezze messe in discussione: “Tra tante cose penultime, che passano, il Signore vuole ricordarci oggi quella ultima, che rimarrà per sempre. È l’amore, perché ìDio è amore' e il povero che chiede il mio amore mi porta dritto a lui. I poveri ci facilitano l’accesso al Cielo: per questo il senso della fede del Popolo di Dio li ha visti come i portinai del Cielo”.