Il Papa: “È immorale usare le armi nucleari”

Apoche ore dall’inizio del suo viaggio in Thailandia e Giappone, il Papa avverte: “Usare le armi nucleari è immorale“. Nel videomessaggio al popolo giapponese Francesco chiede di difendere la vita e di lavorare per una pace sicura (“quando è reale non indietreggia: la si difende con i denti”). E aggiunge: “Proteggere tutta la vita è un forte istinto che risuona nel nostro cuore, di difendere il valore e la dignità di ogni essere umano” e ciò “acquisisce un'importanza particolare dinanzi alle minacce nei confronti della coesistenza pacifica che oggi il mondo deve affrontare, specialmente nei conflitti armati”.

Fonte d'ispirazione

Il Giappone è consapevole della sofferenza causata dalla guerra, perciò il Pontefice prega affinché “il potere distruttivo delle armi nucleari non torni mai più a scatenarsi nella storia umana: l'uso di armi nucleari è immorale”. Inoltre Francesco ha ricevuto oggi i partecipanti all’incontro dell’Istituto argentino per il dialogo interreligioso e ha ribadito che “il dialogo è la fonte d'ispirazione necessaria per favorire una cultura dell'incontro”.  Inoltre “la cooperazione interreligiosa è essenziale”, afferma il Pontefice, che invoca “un confronto tra le fedi basato sulla promozione di un dialogo sincero e rispettoso”. E aggiunge: “Il mondo osserva costantemente noi, i credenti, per vedere quale sia il nostro atteggiamento nei confronti della casa comune e dei diritti umani”.

Al servizio dell'evangelizzazione

Questa mattina, nell’aula Paolo VI,  Francesco ha ricevuto in udienza gli aderenti al Servizio per le cellule parrocchiali di evangelizzazione in occasione del 30° anniversario della  fondazione. “Non stancatevi mai di seguire le strade che lo Spirito del Signore Risorto vi pone dinanzi- esorta il Pontefice-.Non vi freni alcuna paura del nuovo, e non rallentino il vostro passo le difficoltà che sono inevitabili nella via dell’evangelizzazione. Quando si è discepoli missionari, allora l’entusiasmo non può mai venire meno!”. E  “nella fatica, vi sostenga la preghiera rivolta allo Spirito Santo che è il Consolatore; nella debolezza, sentite la forza della comunità che non permette mai di essere abbandonati a sé stessi”. Le parrocchie, sottolinea il Pontefice, sono “invase da tante iniziative, dove spesso, però, non si incide in profondità nella vita delle persone”. Da qui il compito di “ravvivare, soprattutto in questo periodo, la vita delle nostre comunità parrocchiali. Questo sarà possibile nella misura in cui diventano, anzitutto, luogo per ascoltare la Parola di Dio e celebrare il mistero della sua morte e risurrezione”. Solo a partire da qui, secondo Francesco, “si può pensare che l’opera di evangelizzazione diventi efficace e feconda, capace di portare frutti”. Per tante ragioni, molti si sono allontanati dalle parrocchie. È urgente, quindi, che “recuperiamo l’esigenza dell’incontro per raggiungere le persone là dove vivono e operano”. E “se abbiamo incontrato Cristo nella nostra vita, allora non possiamo tenerlo solo per noi”. Dunque è “determinante che condividiamo questa esperienza anche con gli altri, questa è la strada principale dell’evangelizzazione”. Infatti: “Ogni volta che incontrate qualcuno, si gioca una storia vera che può cambiare la vita di una persona”. E questo “non è fare proselitismo, è dare testimonianza”.

La tradizione si rinnova

È sempre avvenuto così. “Quando Gesù, passando lungo la riva del lago vide Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni che stavano lavorando, fissò lo sguardo su di loro e trasformò la loro vita- spiega Jorge Mario Bergoglio-.La stessa cosa si ripete anche ai nostri giorni, quando l’incontro è frutto dell’amore cristiano, cambia la vita perché raggiunge il cuore delle persone e le tocca in profondità”. Un legame saldissimo conduce da Giovanni XXIII a Francesco, così come emerge dalla vita, dalle parole e dalla viva testimonianza di vita. Roncalli, realista e sognatore, con il Concilio ebbe a indicare l’orizzonte della storia nella quale i credenti dovevano guardare e muoversi con l’apostolato. La Chiesa non doveva parlare di sé, ma di Cristo per andare incontro all’uomo, ai suoi drammi, ai dolori e ai suoi bisogni di pace e di misericordia. Il linguaggio di Giovanni XXIII fu più pastorale che nel rigore della metafisica e della teologia. Nessuna dottrina fu messa in discussione dal Concilio e Roncalli non aveva intenzione di modificarla, ma aprì alla natura umana ferita al dolore degli uomini la speranza e invocava nella Parola di Dio l’azione del balsamo e della guarigione. In perfetta continuità con il Papa buono Roncalli, il Papa misericordioso Bergoglio non interrompe questo umanesimo che trova nella misericordia di Dio la mirabile continuazione dell’azione dello Spirito Santo per rendere manifesta la natura e la missione di Dio nella vita dell’umanità lacerata e bisognosa di resurrezione, di vita eterna nella carne, nel già e non ancora.