I polacchi, “lievito della libertà”

L’anno 1918 segna la fine della prima guerra mondiale, il più sanguinoso conflitto che ha sconvolto il nostro continente. Ma la fine della guerra significa anche l’inizio della nuova vita per tanti Paesi europei che riconquistarono l’indipendenza come risultato della sconfitta della Germania e dell’Impero Austro-ungarico. Per riflettere su questi fatti storici l’Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede, Janusz Kotański, in collaborazione con l’Università Gregoriana hanno organizzato un Conferenza intitolata “1918, Anno dell’Indipendenza” che si è svolta il 14 novembre a Roma nella sede dell’Università in piazza della Pilotta. La conferenza è stata aperta dagli organizzatori: l'ambasciatore polacco, Janusz Kotański e rettore dell'università, il prof. Nuno da Silva Gonçalves SJ. Il primo discorso intitolato “I movimenti indipendentisti nei Paesi europei in prospettiva vaticana. Politica e ruolo della Chiesa” è stato pronunciato dal segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher. Ha ricordato che la Santa Sede ha sostenuto questi processi, sebbene non fosse sempre chiaro in quale direzione si sarebbero sviluppati. Successivamente, p. prof. Jan Mikrut ha ricordato brevemente la situazione internazionale in Europa e nel mondo all’inizio del XX secolo. Invece l’organizzatore della conferenza, l’ambasciatore J. Kotański ha parlato della via polacca per l'indipendenza. Alla fine della prima sessione è intervenuto mons. Joseph Murphy, capo del Protocollo diplomatico della Santa Sede, affrontando l’argomento relativamente poco conosciuto della riconquista dell'indipendenza dell'Irlanda. Nella seconda parte della conferenza hanno parlato gli ambasciatori presso la Santa Sede che hanno presentato la storia dei rispettivi Paesi in quell’importante frangente della storia europea: Petras Zapolskas dalla Lituania che ha richiamato anche le vicende della Lettonia e dell'Estonia, Tomaž Kunstelj dalla Slovenia che ha parlato della fondazione della Jugoslavia, Václav Kolaja, ambasciatore ceco, e Marek Lisánsky, ambasciatore slovacco, hanno ricordato la fondazione della Cecoslovacchia, invece Tetiana Izhevska dall'Ucraina ha affrontato il tema dei tentativi dell’Ucraina e della Bielorussia di affermare l’indipendenza. Il discorso dell'ambasciatore della Georgia, Tamara Grdzelidze, assente a causa di una malattia, è stato letto dall’ambasciatore polacco. Alla fine, è stato presentato un breve filmato sulla riconquista dell’indipendenza della Polonia. In Terris ha intervistato l'ambasciatore polacco Kotański.

Eccellenza, qual è lo scopo della conferenza?
“Mostrare che l’anno 1918 non fu soltanto l’anno della fine della prima guerra mondiale ma anche l’inizio di un nuovo capitolo della riacquistata libertà per tante nazioni che prima facevano parte dei tre imperi: russo dei Romanov, austro-ungarico e tedesco. Si è capito che senza l’indipendenza della Polonia non sarebbe stata possibile l’indipendenza dei Paesi Baltici”.  

Perché la riacquisizione della libertà della Polonia fu così importante?
“Perché la Polonia sosteneva le aspirazioni all’indipendenza degli altri Paesi dell’Impero zarista. Lituania, Lettonia ed Estonia riuscirono a riacquistare l’indipendenza. Invece, l’Ucraina e la Bielorussia, no. Insomma, come diceva molto prima Napoleone, i polacchi erano il 'lievito della libertà'. La Polonia sostenne tutte le aspirazioni indipendentiste, compreso anche la Cecoslovacchia. Per di più, la Polonia rinata fu dall’inizio il vero stato democratico che, tra l’altro, concesse il diritto di voto alle donne e per tutti il giorno lavorativo di 8 ore. E nella sua Costituzione faceva riferimento ai valori cristiani, compresa la libertà religiosa e tolleranza”.      

Ma il giovane Stato polacco dovette subito affrontare l’aggressione della nuova Russia comunista che voleva portare la rivoluzione bolscevica nel cuore dell’Europa…
“Oggi, tanti si sono scordati che per la Polonia la guerra non era finita nel 1918 ma continuava, dovendo affrontare la Russia che voleva imporre all’Europa intera il suo terribile sistema comunista. Ma per farlo bisognava sconfiggere la Polonia, passare attraverso 'il cadavere della Polonia'. Il mio Paese da solo, aiutato di gruppi ucraini e bielorussi, dovette combattere l’armata comunista che arrivò già fino alle porte di Varsavia. La vittoriosa battaglia di Varsavia dei polacchi fu decisiva per tutta l’Europa: l’Occidente fu salvato dal comunismo”. 

L’Ambasciatore sloveno, parlando della storia della Jugoslavia, ha detto che non è possibile tenere insieme in uno Stato le nazioni che non lo vogliono. Allora qual è la lezione di questa storia per oggi?
“Che non è possibile formare gli Stati in modo artificiale: se le nazioni vogliono essere indipendenti, devono avere la libertà di esserlo. Gli imperi non sono eterni, le strutture multinazionali artificiali non durano nemmeno. La Jugoslavia è l’esempio di questo Stato artificiale che si è diviso dopo il conflitto sanguinoso. Invece la Cecoslovacchia è l’esempio della separazione non conflittuale in due Stati nazionali che adesso sono amici”.  

E qual è la lezione della storia per l’Unione Europea?
“Che l’Unione Europea non deve imporre a tutti gli Stati che sono sovrani il modo di agire e di pensare; che deve essere l’Unione degli Stati liberi che vivono seconde le loro tradizioni e rispettando la grande eredità della civiltà giudeo-cristiana, della filosofia greca e della legge romana (noi, polacchi abbiamo anche un altro compito: tenere in vita la grande eredità di san Giovanni Paolo II). La storia deve insegnarci che in Europa dobbiamo essere solidali e che gli interessi dei singoli Stati non devono dominare”.