I neocatecumenali e le sfide del futuro

Un incontro internazionale a Roma, nella grande spianata dell'area universitaria di Tor Vergata che nel 2000 ospitò l'indimenticabile Giornata Mondiale della Gioventù con San Giovanni Paolo II, presieduto da Papa Francesco. Sarà questo il modo in cui oggi migliaia di neocatecumenali celebreranno il 50° anniversario dell'arrivo del Cammino a Roma. Alle 10 ci sarà l'introduzione di Kiko Argüello, che iniziò questa esperienza insieme a Carmen Hernández, morta il 19 luglio 2016. Alle 11 è invece previsto l'arrivo del Papa, che invierà 34 nuove “missio ad gentes” che, su richiesta di altrettanti vescovi, porteranno il Vangelo nelle zone secolarizzate o con una piccola presenza di Chiesa nelle città di tutto il mondo. Il Papa invierà anche 25 comunità delle parrocchie di Roma – che hanno già concluso questa iniziazione cristiana – ad altre parrocchie periferiche, i cui parroci hanno richiesto il loro aiuto per richiamare i lontani alla fede. L'incontro, che si concluderà con il canto del Te Deum come ringraziamento, sarà guidato dall’equipe internazionale del Cammino Neocatecumenale, formata da Kiko Argüello, padre Mario Pezzi e Ascensión Romero, entrata di recente a farne parte.

Il Cammino nacque tra le baracche di Palomeras Altas, nella periferia più degradata di Madrid, dall'esperienza di Kiko e Carmen. Attualmente è presente in 134 nazioni, in tutti e cinque i continenti, con 21.300 comunità in 6.270 parrocchie, con 1.668 famiglie in missione, delle quali 216 sono “missio ad gentes” in città scristianizzate di tutti e cinque i continenti, e con 120 seminari Diocesani Missionari. A Roma il Cammino è presente in 104 parrocchie, con un totale di 477 comunità, quasi tutte piene di giovani. La prima si formò il 2 novembre 1968 nella parrocchia dei Martiri Canadesi, in via Giovan Battista De Rossi. Il responsabile iniziale di quella comunità fu Giampiero Donnini. In Terris lo ha intervistato

Lei è stato tra i primi a seguire il Cammino Neocatecumenale a Roma. Come nacque la sua vocazione?

“Da un semplice incontro di 15 secondi con un amico che mi invitò ad assistere a una catechesi che stava cominciando. Dovendo aspettare due ore una persona, sono andato ad ascoltare Kiko. Era il 3 ottobre 1968 alle 18.30. Stava facendo un esempio concreto e diceva che noi non siamo cristiani perché preghiamo molto, anche i musulmani pregano cinque volte al giorno; non siamo cristiani perché facciamo opere di carità, anche tanti atei le fanno (non dimentichiamo che eravamo nel Sessantotto); non siamo cristiani perché viviamo una vita casta e pura, i monaci buddisti sono spesso più casti di noi. Siamo cristiani perché amiamo i nostri nemici. Fu come un fulmine nella mia vita. Mi ero sempre reputato cristiano ma in quel momento compresi di non esserlo stato affatto. Al massimo evitavo il nemico ma amarlo no. Mi misi seduto, ascoltai e alla fine dell'incontro chiesi a Kiko cosa dovevo fare. Mi aspettavo che mi dicesse di pregare, di meditare, di dire il Rosario… e invece mi disse solo 'vieni e ascolta. Se quello che sentirai ti cambierà la vita bene, altrimenti te ne potrai andare'. Così è iniziato tutto”.

Com'era il Cammino 50 anni fa? Quali difficoltà incontrò?

“Era la predicazione della riscoperta del Vangelo. Il Cammino non è una spiritualità che mette l'accento su un particolare aspetto. Parte dal Concilio Vaticano II e si fonda su tre pilastri che dovrebbero far parte della vita di ogni cristiano: l'ascolto della Parola, la frequenza dei sacramenti, della liturgia, e la comunione fraterna. Non fa altro che dare una formazione di base necessaria a ogni cristiano ma aggiornata al Concilio, mettendo al centro la Parola di Dio. Se uno domanda in giro cos'è o cosa ti dice questa Parola, emerge che pochi hanno un rapporto quotidiano con essa. Se si domanda 'perché vai a Messa, cosa significa per te?', le risposte nella maggior parte dei casi sono deboli: è un precetto, è tradizione… Invece Dio parla all'uomo. Come pure il demonio. E allora qual è il criterio di distinzione? La Scrittura dice che 'lampada ai miei passi è la tua Parola'. Ma quando viene ascoltata? Nel cristianesimo tutto è dono mentre oggi prevale l'idea dello sforzo personale. Occorre passare da 'io farò' a 'Tu farai in me', accogliere la Parola come Maria. Ma tutto questo non si fa in tre giorni e neppure con una catechesi di un mese. Per questo quando un catechista fa incontri per promuovere una comunità dopo un mese e mezzo va via e torna dopo un anno. Ma la comunità è ancora lì perché seguire i consigli porta frutti. Penso ad esempio al Battesimo: è ricco di segni. Il rito dura una ventina di minuti ma per approfondire quei segni servono anni. E al centro di tutto questo c'è la notte di Pasqua”.

L'inizio del Cammino fu tra i poveri nelle baraccopoli di Madrid e, a Roma, tra quelli di Borghetto Latino. Cosa è cambiato in mezzo secolo?

“Nulla. Perché la prima povertà è il peccato. Che non è 'solo' l'offesa fatta a Dio in materia grave, definizione teologica, ma è anche la rottura della relazione con Dio, che non è più mio padre ma uno che sta lì ad aspettare la mia morte per punirmi. E allora se non è Lui a darmi la vita chi me la dà? Altri dei: il successo, i soldi… l'importante è essere onesti. Ma questo porta al 'borghesismo'. Anche i farisei erano brave persone che rispettavano i precetti. Ma il Vangelo dice che 'ladri e prostitute vi  passeranno avanti'. Serve la libertà di rispondere a Dio e questo rapporto va sostenuto dalla comunità. E' il cammino della vita. Ma, come il popolo ebraico nell'Esodo, il cammino spesso si fa nel deserto: freddo, caldo, crisi… avere una comunità con cui ascolto e prego crea una comunione di spiriti molto importante”.

Eppure il Cammino ha avuto ostacoli e incomprensioni, per esempio sul modo di celebrare l'Eucarestia.

“Guardi, la Cei ha concesso di ricevere la Comunione in mano nel 1989 mentre per noi era importante farlo anche prima, e farlo con pane azzimo e bere al calice. Ci sono stati vescovi per così dire 'conservatori' come l'arcivescovo di Madrid Casimiro Morcillo, di fede profonda, che hanno compreso che così si portava avanti il rinnovamento. Non si tratta di affermare una presunta parità tra laici e presbitero ma di un segno che ha un contenuto teologico che arricchisce se viene adeguatamente percepito”.

Qualcuno è arrivato ad accusarvi di essere una sorta di Chiesa parallela.

“Accuse ce ne sono sempre, su internet si trovano cose tremende… ma la nostra linea è quella di non difenderci da tali accuse. Del resto, da Paolo VI a Francesco nessun Papa ha mai avuto una parola di critica nei nostri confronti. Non a caso Roma è la diocesi in cui il Cammino è più sviluppato, proprio perché il vescovo di Roma ci ha sempre incoraggiato. Le chiacchiere non ci interessano, si fanno anche sulla persona più santa, pensate a come hanno trattato Padre Pio…”

Cosa vi aspettate dall'incontro con il S. Padre?

“Prima di tutto vogliamo ringraziare il Signore per la fedeltà e continuare così. I 50 anni del Cammino non sono un amarcord ma fare presente il passato per affrontare il futuro e le sue sfide, la prima delle quali è la famiglia che è in grave pericolo. E come si salva? Con la predicazione. Bisogna riportare la fede in zone in cui si è persa. La nostra società sta distruggendo l'uomo con atti e decisioni che vengono spacciati come progresso di civiltà. Si è perso il benché minimo orientamento. Civiltà è il bene delle persone. Nessuno vuole imporre nulla ma Dio creò l'uomo maschio e femmina e questo è un dato che non si può cambiare. Massima comprensione per chi ha orientamenti diversi, nessun giudizio ma la verità va affermata. Non c'è più uno sguardo di amore negli occhi di tante persone: bisogna riscoprire il rapporto con Dio Amore e ridare animo alla società, che soffre una povertà terribile. Rilanciare l'opera di evangelizzazione, questo ci aspettiamo dall'incontro con Papa Francesco. Non significa proselitismo, andare alla conquista delle coscienze ma semplicemente riavvicinare Gesù all'uomo”.