“Essere cristiani non è difendersi con un'ideologia”

Essere cristiano non è difendersi con un'ideologia per poter andare avanti. Essere cristiani è essere liberi, perché abbiamo fiducia, perché siamo docili alla Parola del Signore. #OmeliaSantaMarta”, scrive Papa Francesco in un tweet sull'account Pontifex riprendendo la sua omelia di stamani a Santa Marta. 

Gli interventi precedenti

Già il 3 marzo 2015 in una lettera al suo successore a Buenos Aires a cui scrive una lettera nel ruolo di gran cancelliere della Pontificia università cattolica argentina. Ad offrire l’occasione a Jorge Mario Bergoglio è il centesimo anniversario della facoltà di teologia. Jorge Mario Bergoglio siì rivolge al cardinale Mario Aurelio Poli. Lo chiama “fratello” e gli ricorda già nelle prime righe del messaggio che questo anniversario coincide con quello dei cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, che è stato un aggiornamento, una rilettura del Vangelo nella prospettiva della cultura contemporanea. E che, rimarca Francesco, ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo. Perciò, adesso, bisogna andare avanti. Ma come si fa ad andare avanti? Insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui va annunciato in maniera comprensibile e significativa, risponde il pontefice.

Binomio inscindibile

Alla larga, dunque, da una teologia che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro. Si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inscindibile. La teologia elaborata nelle accademie deve essere radicata e fondata sulla Rivelazione, sulla Tradizione, ma è tenuta anche ad accompagnare i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili. Oggi, infatti, la teologia deve farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo dentro la Chiesa, ma anche quelli che riguardano il mondo intero e che si vivono lungo le strade dell’America Latina. Francesco esorta a non accontentarsi di una teologia da tavolino. Il luogo di riflessione dei teologi siano le frontiere. Un monito paterno e sollecito a non cadere nella tentazione di verniciarle, di profumarle, di aggiustarle un po’ e di addomesticarle. Infatti anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini.

La misericordia nel Vangelo 

Un ammonimento in puro stile conciliare: la teologia sia espressione di una Chiesa che è ospedale da campo, che vive la sua missione di salvezza e guarigione nel mondo. Quindi la misericordia non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù. Francesco parla alle accademie del mondo intero e sollecita a studiare come nelle varie discipline (dogmatica, morale, spiritualità, diritto) possa riflettersi la centralità della misericordia. La spiegazione che Bergoglio offre è un compendio della sua missione di vescovo di Roma. Senza la misericordia la teologia, il diritto, la pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che di natura sua vuole addomesticare il mistero. Per questo comprendere la teologia è comprendere Dio, che è Amore.

Verità cristiana

Chi è dunque lo studente che le facoltà di teologia sono chiamate a formare a mezzo secolo dalla conclusione del Concilio? Certamente non un teologo da museo che accumula dati e informazioni sulla Rivelazione senza però sapere davvero che cosa farsene. Né tantomeno uno che resta al balcone della storia. Francesco raccomanda che il teologo formato nelle facoltà sia una persona capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana, e non un intellettuale senza talento, un eticista senza bontà o un burocrate del sacro. Non è un caso che il motto dello stemma episcopale di Bergoglio sia proprio “Miserando atque eligendo” del Vangelo di Matteo. È l’incontro di Gesù con l’esattore delle tasse che, subito dopo, lascia tutto e lo segue. È la misericordia che può muovere la Chiesa, quella, forse, solo studiata nella Lumen Gentium e nella Gaudium et Spes. Tuttavia, nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Francesco non fa mistero del nesso con il Concilio, sia nella forma, (l’anniversario della chiusura del Concilio), sia nella sostanza (mantenere viva la memoria conciliare). In tutti questi anni  non sono mancate iniziative suscitate dalla missione della Chiesa nel mondo, sottolineata proprio dal Concilio.