Dopo la dittatura marxista e la guerra civile, la pace di Cristo

Ci sono udienze papali che hanno la forza simbolica di pacificare la memoria collettiva di un paese. A varcare la soglia del Vaticano per incontrare il Pontefice è oggi João Manuel Gonçalves Lourenço, presidente della Repubblica dell’Angola.  Leader del movimento popolare per la liberazione dell’Angola e generale, João Manuel Gonçalves Lourenço, nel settembre 2017, a 63 anni, è stato eletto terzo presidente della Repubblica dell’Angola. Dopo António Agostinho Neto, che ha proclamato l’indipendenza nazionale l’11 novembre 1975 e José Eduardo dos Santos che ha guidato per la nazione africana dal 1979 al 2017, la presidenza di João Lourenço ha segnato l’inizio di una nuova epoca. Fino alla data della sua elezione è stato ministro della difesa dell’Angola. Oltre al portoghese, parla inglese, russo e spagnolo. Cinque mesi fa Jorge Mario Bergoglio ha incontrato i vescovi della conferenza episcopale di Angola e São Tomé e Príncipe, arrivati a Roma in visita ad limina.

Il ruolo della Chiesa

Tante le sfide che deve affrontare la Repubblica dell'Angola, ex colonia portoghese che conquistò l'indipendenza nel 1975 e che fino al 2002 attraversò anni di guerra civile e di ateismo militante. “Ma le pesanti restrizioni imposte dal passato regime marxista-leninista non sono riuscite a cancellare la presenza e l'opera della Chiesa cattolica a sostegno della popolazione – riferisce Vatican News -. Anche oggi, a conflitto finito e con la tragica eredità di cinquecentomila morti e quattro milioni di sfollati, la Chiesa si è prefissa due obiettivi primari e fondamentali: la riconciliazione e la ricostruzione del tessuto sociale”. Di conseguenza, tra le tante sfide, anche quella del settore educativo e sanitario, la nuova evangelizzazione e il piano di azione pastorale rivolto ai giovani come agli anziani, ma anche la formazione dei sacerdoti. Tutti argomenti affrontati nell'incontro dei vescovi angolani, arrivati a Roma a giugno in visita ad limina, con Papa Francesco che li ha ricevuti.

Nuovo corso politico

Monsignor Dionísio Hisiilenapo, vescovo della diocesi di Namibe, ha raccontato a Vatican News le impressioni più belle dell'incontro con il Pontefice la cui semplicità, ha sottolineato il presule, “si può toccare con mano: conosce la situazione del nostro Paese e ci ha dato consigli per la Chiesa in Angola”. Inoltre “ha letto i documenti e le relazioni che abbiamo consegnato tempo fa per informarlo sulla realtà dell’Angola, lui li ha letti e quindi abbiamo capito la sua vicinanza ai problemi del nostro Paese: la povertà, le necessità e anche il cambiamento politico che il nostro Paese sta attraversando”. Infatti, “si sta aprendo una nuova strada con i politici che ci sono adesso, sono dello stesso partito precedente, ma ci sono stati cambiamenti: ci ha consigliato di lavorare con questi nuovi politici, con il popolo, ci ha raccontato la sua esperienza come vescovo di Buenos Aires”.

La situazione della libertà religiosa

La Costituzione del 2010, assieme ad altre leggi e politiche, protegge la libertà religiosa nel Paese e definisce l’Angola uno Stato laico. “La Costituzione rispetta il principio di separazione tra Stato e religione e riconosce che tutte le denominazioni religiose devono essere rispettate”. L’articolo 10 della Carta afferma infatti che “lo Stato deve riconoscere e rispettare le diverse fedi religiose, le quali devono essere libere di organizzarsi ed esercitare le proprie attività, a patto che queste rispettino la Costituzione e le leggi della Repubblica Popolare di Angola”. Lo Stato garantisce inoltre protezione alle diverse “Chiese e religioni, così come ai loro luoghi e oggetti di culto, a patto che essi non costituiscano una minaccia per la Costituzione o per l’ordine pubblico”. L’articolo 41 assicura, inoltre, le libertà di coscienza, religione e culto, e riconosce il diritto all’obiezione di coscienza. Questo articolo afferma, inoltre, che “nessuna autorità può porre domande ad alcuna persona in merito alle sue convinzioni o pratiche religiose, se non al fine di raccogliere dati statistici, che in nessun caso devono poter essere ricondotti all’intervistato”. La legge numero 2 del 2004 impone a tutti gruppi religiosi di fare domanda al ministero della Giustizia e della Cultura per ottenere status giuridico.

Il dialogo tra l’episcopato e il partito di governo

“Uno dei requisiti richiesti è di avere un minimo di 100.000 membri e una presenza in almeno 12 delle 18 province statali – riferisce la fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre -. Tale politica si traduce in una negazione de facto del riconoscimento ufficiale di alcune minoranze religiose, inclusa la comunità islamica e le Chiese evangeliche dal ridotto numero di fedeli, le quali possono tuttavia compiere liberamente atti di culto in pubblico. Soltanto i gruppi ufficialmente registrati possono istituire proprie scuole e luoghi di culto. Il governo riconosce come festività nazionali il Venerdì Santo e il Natale. “Le Chiese hanno piena libertà di evangelizzare, impartire la catechesi e gestire stazioni radio e pubblicazioni”, precisa Acs. Negli ultimi anni, alcune minoranze religiose hanno lamentato il fatto che la Chiesa cattolica sia favorita dagli ufficiali del governo, guidato dal partito Movimento per la liberazione dell’Angola (Mpla), di cui è leader l’attuale presidente, oggi ricevuto in udienza da papa Francesco. Nel gennaio 2018, il nuovo presidente João Lourenço ha autorizzato l’emittente cattolica Radio Ecclesia a trasmettere sull’intero territorio nazionale. Fino a quella data, alla stazione radio era permesso trasmettere soltanto nella capitale, Luanda. Il portavoce della conferenza episcopale dell’Angola, monsignor José Manuel Imbaba, ha accolto con favore la decisione affermando che si trattava della “fine di una grande ingiustizia” e si è congratulato con il presidente per il “suo coraggio politico”. La comunità islamica continua a lamentare quello che i musulmani descrivono come un ingiusto trattamento ed una discriminazione, e che include la deportazione di migranti di fede islamica provenienti da Stati dell’Africa occidentale. “Le autorità negano tali accuse, sostenendo di aver semplicemente impiegato misure che rientrano nell’applicazione delle leggi di sicurezza nazionali contro la minaccia del terrorismo islamico, e di aver implementato la, pur severa, politica migratoria governativa”, puntualizza Acs. Il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti, nel suo Rapporto 2017 sull’Angola ha notato che “significative differenze culturali tra gli angolani e le loro controparti dell’Africa occidentale si sono tradotte in un’immagine negativa delle persone di fede musulmane. Il governo non ha ancora offerto delle risposte pubbliche che possano contribuire a placare i timori dei propri cittadini nei confronti dei fedeli musulmani, limitandosi a sostenere la necessità di accogliere la diversità all’interno della società. In alcuni casi sono i pubblici ufficiali stessi ad utilizzare un linguaggio dispregiativo quando si riferiscono ai migranti, suscitando quindi nella popolazione la paura nei confronti delle persone di fede islamica”.

Rispetto del principio di legalità

Le ultime elezioni generali in Angola si sono tenute nell’agosto del 2017. Poco prima del voto, il presidente José Eduardo Dos Santos si era dimesso dopo quarant’anni al potere. Al precedente Capo di Stato è subentrato nuovo candidato dell’Mpla, João Lourenço. “Durante i primi cinque mesi del suo mandato, Lourenço ha annunciato che le sue politiche avrebbero incluso il rispetto per il principio di legalità e per i diritti umani. Il diritto alla libertà religiosa è sotto molti aspetti garantito in Angola, tuttavia lo status poco chiaro dei musulmani e delle altre denominazioni religiose di modesta entità rimane una questione aperta- sottolinea Acs-.Nonostante essi non soffrano persecuzione, la loro condizione continua a rappresentare un motivo di preoccupazione relativo al rispetto della libertà religiosa”.

Contro l’indifferenza

Nemica della pace non è solo la guerra, ma anche l’indifferenza”. Così Francesco, prima di recitare il primo Angelus del 2016, si è rivolto ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro. Vincere l’indifferenza e conquistare la pace comporta una vera e propria lotta, un combattimento spirituale che ha luogo nel cuore umano; la pace, che Dio Padre desidera seminare nel mondo, deve essere coltivata dagli uomini. Non solo, la pace deve essere anche conquistata. E invece, secondo Francesco, l’indifferenza fa pensare solo a sé stessi e crea barriere, sospetti, paure e chiusure; abbiamo, grazie a Dio, tante informazioni, ma a volte siamo così sommersi di notizie che veniamo distratti dalla realtà, dal fratello e dalla sorella che hanno bisogno. Da qui l’appello del Papa ad aprire il cuore, risvegliando l’attenzione al prossimo. Unica via per la conquista della pace. Proprio il messaggio scritto in occasione della celebrazione della 49° Giornata Mondiale della Pace riproduce fedelmente lo schema conciliare del pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

Una cultura di solidarietà e misericordia

“L’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli altri, di chi chiude gli occhi per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui, caratterizza una tipologia umana piuttosto diffusa e presente in ogni epoca della storia. La sfida conciliare all’indifferenza Tuttavia nella società odierna esso ha superato decisamente l’ambito individuale per assumere una dimensione globale e produrre il fenomeno della globalizzazione dell’indifferenza”, sottolinea Francesco. Nel promuovere una cultura di solidarietà e misericordia, contro l’indifferenza, il pensiero di Francesco va principalmente alle famiglie, chiamate ad una missione educativa primaria ed imprescindibile. Le famiglie costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro.

Saper vivere l’essenziale

Riflessioni anticipate nei riti natalizi del 2015. In un mondo ebbro di lussi, consumi, narcisismi, l’arrivo di Gesù nel Natale richiama a comportamenti sobri, a saper vivere l’essenziale. E anche a lasciarsi alle spalle la cultura dell’indifferenza, per improntare la vita alla pietà e alla solidarietà. Riconciliazione contro la terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Nel Natale del Giubileo straordinario, dedicato alla misericordia, celebrando la messa della notte in San Pietro Francesco ha voluto sintetizzare con parole semplici, profonde, e anche in controtendenza rispetto al pensiero corrente, il significato che deve assumere per la società d’oggi il messaggio della venuta di Gesù tra gli uomini. Non c’è posto per il dubbio. Il Pontefice lo lascia agli scettici che per interrogare solo la ragione non trovano mai la verità. Al centro invece ci sono la gioia e letizia di cui è intriso il mistero della notte di Natale. Non c’è spazio per l’indifferenza, che domina nel cuore di chi non riesce a voler bene, perché ha paura di perdere qualcosa. Viene scacciata ogni tristezza, perché il bambino Gesù è il vero consolatore del cuore. Con la nascita del Figlio di Dio. Per Francesco Gesù bambino ci insegna che cosa è veramente essenziale nella vita. Nasce nella povertà del mondo, perché per Lui e la sua famiglia non c’è posto in albergo. Trova riparo e sostegno in una stalla ed è deposto in una mangiatoia per animali. Eppure, da questo nulla, emerge la luce della gloria di Dio, a partire da qui, per gli uomini dal cuore semplice inizia la via della vera liberazione e del riscatto perenne. Da questo Bambino, che porta impressi nel suo volto i tratti della bontà, della misericordia e dell’amore di Dio Padre, scaturisce per tutti i suoi discepoli, come insegna l’apostolo Paolo, l’impegno a rinnegare l’empietà e la ricchezza del mondo, per vivere con sobrietà, giustizia e pietà. Un accorato richiamo a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale.