Card. Koch: “Ecumenismo è il contrario di sincretismo”

Il Cardinale Kurt Koch ha respirato un clima ecumenico sin dall'infanzia nella sua terra d'origine, quella Svizzera caratterizzata dall'incontro-confronto quotidiano tra cattolici e protestanti. Apprezzandolo per l'attività in tal senso svolta negli anni in cui fu Vescovo della diocesi di Basilea, nel 2010 Benedetto XVI lo ha nominato alla guida del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani. Francesco gli ha confermato la sua fiducia mantenendolo al vertice di un dicastero così rilevante per il presente ed il futuro della Chiesa. La sua riconosciuta caratura teologica rappresenta una garanzia nella conduzione del dialogo ecumenico da parte cattolica. Il 18 gennaio si è aperta la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani che si concluderà venerdì 25. In Terris ha chiesto al Cardinale Koch di presentare ai nostri lettori questo tradizionale appuntamento durante cui si invoca “quel dono straordinario per cui lo stesso Signore Gesù ha pregato durante l’Ultima Cena”, come ci ricordava Benedetto XVI.  

Come si può conciliare la difesa della rispettiva identità confessionale con la necessità di “uscire” nel dialogo ecumenico?  
“Se non abbiamo identità – e come noi i nostri interlocutori – il dialogo non funziona. In questo senso, con il dialogo possiamo avere anche una migliore conoscenza della rispettiva Chiesa d'appartenenza. Mi viene in mente un proverbio tedesco che dice: 'colui che conosce solo l'Inghilterra, non conosce ancora l'Inghilterra. Allo stesso modo, possiamo dire che se si conosce solo la propria Chiesa, non la si conosce pienamente. Con gli occhi di altri, infatti, possiamo scoprire molti aspetti della nostra realtà ecclesiale. Per questo l'ecumenismo è un arricchimento”.

Qual è il giusto atteggiamento che ci consente di rimanere nel solco del sano ecumenismo e non sconfinare, invece, nel sincretismo? 
“L'ecumenismo è il contrario di sincretismo. Il fondamento del dialogo ecumenico è lo scambio di doni, ha detto San Giovanni Paolo II,  non solo quelle di idee e di teorie. Ogni Chiesa ha un dono specifico: nessuna è così ricca da non aver necessità di arricchimento da altri; allo stesso tempo, nessuna è così povera da non poter dare un contributo specifico nell'ambito dell'essenza della cristianità di oggi. In tal senso è importante che la Chiesa cattolica dia specifici doni nell'ambito dell'ecumenismo  e questo non vuol dire sincretismo. Il sincretismo, invece, è un miscuglio fra due cose”.

Si può dire che la sofferenza comune per le persecuzioni in giro per il mondo e per la marginalizzazione della fede nelle società in via di secolarizzazione abbia riavvicinato significativamente le differenti comunità cristiane?  
“San Giovanni Paolo II nella sua lungimirante enciclica 'Ut Unum Sint' ha parlato dell'ecumenismo dei martiri. Questo concetto è molto importante perchè l'80% di tutti gli uomini che sono perseguitati oggi nel nome della fede sono cristiani. Ma i cristiani non sono perseguitati in quanto cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani o battisti, ma perchè sono cristiani. Quindi, il sangue di così tanti martiri versato per la fede in Cristo non divide, ma unisce. Papa Francesco parla dell'ecumenismo del sangue. Tertulliano ha scritto che il sangue dei martiri sarà seme di nuovi cristiani. Oggi possiamo dire che il sangue di così tanti martiri di  potrà essere seme del ristabilimento dell'unico Corpo di cristo. In questo senso , l'ecumenismo dei martiri è per me una cosa molto importante”.

I cosiddetti “principi non negoziabili”, le radici cristiane dell'Europa e sostegno ai cristiani perseguitati: si può dire siano stati i temi che più hanno contribuito a riavvicinare le comunità cristiane?
“Ci sono molte forme di ecumenismo. Possiamo fare una differenza tra ecumenismo dell'amore, della carità – che vuol dire approfondire l'amicizia e la fratellanza tra le differenti Chiese –  della verità – ovvero il dialogo teologico per superare le divisioni – e anche l'ecumenismo culturale: le differenti Chiese vivono in contesti culturali diversi e questo richiede che ci sia uno scambio sotto quest'aspetto. Un esempio significativo in tal senso sono i concerti organizzati con il coro del Patriarcato di Mosca accanto e quello del Vaticano. La musica è il linguaggio più universale del mondo, quindi cantando insieme, due Chiese aiutano a ritrovare l'unità. C'è, poi, anche l'ecumenismo pratico ovvero la collaborazione tra differenti realtà ecclesiali a livello sociale e nella protezione dei valori cristiani nelle società molto secolarizzate”.

Nella ricerca dell'unità è sufficiente la collaborazione tra Chiese o serve anche altro?
“E' molto importante il dialogo teologico per superare le divisioni perchè l'unità deve essere un'unità nella fede. Non è sufficiente soltanto la collaborazione, dunque. Essa è sicuramente una via per arrivare all'unità, ma non è l'unità. Noi vogliamo trovare l'unità nella fede, nei sacramenti. Oggi abbiamo il problema che non tutte le Chiese condividono quest'obiettivo dell'ecumenismo. Le difficoltà esistenti sono legate al fatto che non abbiamo una visione comune dell'ecumenismo, dobbiamo invece ritrovarla per potere fare un ulteriore passo nel futuro”. 

Possiamo dire che l'esperienza della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani – raccomandata ai fedeli per la prima volta da S. Pio X ed introdotta da Benedetto XV – conferma che la chiave teologica con cui va letto il Concilio è quella dell'“ermeneutica della riforma”? 
“Papa Benedetto ha parlato dell'ermeneutica della riforma e con questo concetto intendeva dire che 'riforma' vuol dire rinnovamento ma anche continuazione. Questo è il caso anche dell'ecumenismo. Non è una nuova Chiesa quella che percorre la via dell'ecumenismo. La Settimana della preghiera per l'unità dei cristiani è stata introdotta nella Chiesa cattolica da Papa Benedetto XV e questo dimostra che il fondamento di tutto l'ecumenismo è la preghiera sacerdotale di Gesù che si trova nel capitolo 17 di Giovanni. E' importante notare che Gesù non ordina l'unità ai suoi discepoli, ma prega per l'unità dei suoi discepoli. Quello ecumenico all'inizio era un movimento di preghiera e tale deve rimanere perchè noi uomini non possiamo fare l' unità, ma possiamo fare divisione come dimostra la storia. L'unità è sempre un dono dello Spirito Santo”.

Non a caso, l'ideale iniziale della Settimana per la preghiera dell'unità dei cristiani venne a due anglicani.
“Si, erano due anglicani ed uno si è poi convertito al cattolicesimo. Questo fa capire che l'introduzione della Settimana fu sin dall'inizio un'iniziativa ecumenica e tale deve rimanere”.

Un'ultima domanda su un tema d'attualità: la Chiesa Cattolica può ritagliarsi un ruolo di mediazione nella ferita che si è aperta nel mondo ortodosso?   
“Questo conflitto nel mondo ortodosso è una questione intraortodossa, noi cattolici non possiamo interferire. Questo non vuol dire che siamo indifferenti. A tal proposito, riprendo un'immagine utilizzata da San Paolo: se un membro del Corpo di Cristo soffre, anche gli altri membri soffrono. In questo senso, noi anche soffriamo per questa situazione e vogliamo accompagnare l'ortodossia con la preghiera affinchè possano ritrovare l'unità”.