Benedetto XVI, un film senza verità storica

Francesco e Benedetto XVI uniti nella lotta contro gli abusi sui minori e nell’impegno per la prevenzione. Il libro “Non fate male a uno solo di questi piccoli: la voce di Pietro contro la pedofilia” raccoglie il pensiero e gli interventi di Jorge Mario Bergoglio e Joseph Ratzinger sul fenomeno degli abusi sessuali perpetrati a danno dei minori. Una tragedia che li vede accomunati nella denuncia e nella volontà di coniugare giustizia e trasparenza.

Circostanze taciute

Critiche della Conferenza episcopale tedesca al nuovo film “Difensore della fede” di Christoph Roehl: il documentario non rappresenta in alcun modo un contributo costruttivo al tema dell'accertamento di casi di violenza sessuale nella Chiesa cattolica, secondo il portavoce Matthias Kopp: “In generale il film mostra un quadro altamente distorto del cardinale Joseph Ratzinger“. L'interpretazione secondo cui il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e successivamente Papa Ratzinger fosse “interessato solo alla purezza della Chiesa e del sacerdozio, mai alle vittime” deve essere considerata secondo la stessa fonte “arbitraria ed erronea”. Secondo il portavoce della Conferenza episcopale, citato dalle pubblicazioni cattoliche online tedesche, Ratzinger è stato “una forza trainante contro gli abusi per decenni“. Kopp ha ricordato il suo impegno per la definizione dal punto di vista della legge ecclesiale del reato di abuso, la creazione di una camera penale speciale e la punizione di più di 380 colpevoli attraverso l'allontanamento dal clero. “Questi aspetti non sono appropriatamente considerati nel film”. Benedetto XVI è stato anche il primo papa ad incontrare le vittime di abusi sessuali in diversi viaggi, come ad Erfurt nel settembre 2011. “Questa circostanza è taciuta, il che rende il film poco serio” sottolinea Kopp, lamentando che si sia persa l'occasione per un ritratto storico-critico di Papa Benedetto XVI.

Passaggio chiave

A distanza di cinque anni, in occasione dei 91 anni del Papa emerito, fu presentato in Vaticano il documentario “Benedetto XVI, l’ora della verità”, proprio per fare luce sui motivi di tale scelta. La ricostruzione di quei momenti fu affidata al racconto di chi visse da vicino quel periodo storico, come il fratello del pontefice, Georg Ratzinger, l’ex portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi e il prefetto della Casa Pontificia, l’arcivescovo Georg Gänswein, per anni suo segretario personale. Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, fu uno dei discepoli teologici del professor Joseph Ratzinger e, nella ricostruzione di quei momenti, lasciò spazio a confidenze emozionanti. In particolare, ricordando la morte della sorella di Ratzinger, Maria, alla quale il Pontefice emerito è stato particolarmente unito, disse: “Il giorno dopo il Conclave, quando è entrato a Santa Marta per la colazione della mattina, era in bianco. Il nostro caro professore! Il nostro amico, sì, in bianco. Ci ha salutato uno ad uno e io gli ho detto: 'Santo Padre, ieri durante la sua elezione ho pensato a sua sorella Maria e mi sono chiesto se forse lei ha detto al Signore Prendi la mia vita ma lascia mio fratello. E lui ha risposto: 'Penso di sì'”.  Un altro passaggio chiave, riportato dal sito cattolico Aleteia, per provare a definire meglio la scelta di ritirarsi di Ratzinger, avvenne attraverso le parole di Padre Stephan Horn, suo assistente all’Università di Ratisbona, nonché amico e allievo: “Il suo medico gli aveva detto che non avrebbe potuto viaggiare in Brasile, per partecipare alla Giornata della Gioventù. Quindi decise di dimettersi prima”.  Padre Federico Lombardi ricordò la grande responsabilità che implicava l’esercizio del ministero del vescovo di Roma e la maratona quotidiana di impegni, pubblici e privati (celebrazioni liturgiche, viaggi, udienze, lunghe riunioni di governo) che Joseph Ratzinger non avrebbe potuto garantire a causa della perdita naturale delle forze dovuta all’età. Secondo padre Lombardi, dunque, era evidente che questo era stato il vero motivo della rinuncia. L’arcivescovo Georg Gänswein negò sempre categoricamente che il motivo della rinuncia di Benedetto XVI fosse dovuto alla fuga di documenti riservati da parte del maggiordomo (lo scandalo Vatileaks) o al peso di dover affrontare la crisi causata dagli abusi sessuali da parte di persone di Chiesa. Significativamente Joseph Ratzinger annunciò in latino al mondo la sua rinuncia al Pontificato perché il testo lo aveva concepito in quella lingua e i due errori ravvisati erano dovuti all’errata trascrizione della frase scritta nella sua grafia minuta che riusciva a decifrare solo Ingrid Stampa, appartenente al movimento spirituale di Schoenstatt, assistente di Joseph Ratzinger dall’inizio degli anni Novanta.  La mancanza di forze sufficienti per governare la Chiesa, a cui Benedetto XVI attribuì la rinuncia al pontificato, lasciò aperto il campo alle interpretazioni, quasi come fosse una dichiarazione per far sapere al mondo di non avere più le energie necessarie per reagire a una situazione di crisi nella Chiesa, in conseguenza anche dello scandalo Vatileaks che comunque non negò mai che gli procurò una profonda e insuperabile sofferenza. Nel penultimo giorno di pontificato, Benedetto XVI ci tenne a dire di non aver abbandonato la Croce ma di essere rimasto ai piedi della stessa. Una risposta ferma a chi, come l’arcivescovo di Cracovia, Stanisław Dziwisz, ex segretario di Giovanni Paolo II, lo accusò in modo insolente di aver abbandonato il suo ministero, a differenza di Cristo che non scese dalla croce. Ratzinger si sottrasse alla responsabilità di far capire in quale contesto era maturata la sua drammatica decisione. E fece anche di più, a tutto vantaggio di colui che avrebbe preso il suo posto sul Soglio di Pietro.

Indagine Herranz-Tomko-De Giorgi

Per far luce su quanto accaduto nel crepuscolo del proprio pontificato Benedetto XVI affidò la relazione sullo scandalo Vatileaks a tre cardinali ultra-ottantenni, quindi non più elettori in conclave e fuori dalle logiche di un’elezione pontificia. Ciò significava consentire di indagare al massimo livello sulle responsabilità interne al Vaticano senza che le verità scoperte potessero entrare nella Cappella Sistina camminando sulle gambe di porporati inquisitori. A Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi, Benedetto XVI assegnò l’incarico di venire a capo della fuga di documenti riservati e il compito venne svolto in profondità. Subito dopo la rinuncia al pontificato, Joseph Ratzinger crollò fisicamente e si temette addirittura per la vita: era molto fragile, pur conservando una strepitosa lucidità mentale. Ma poi, dopo un paio di settimane, si riprese e tornò a essere il formidabile maestro di dottrina, lo stesso che aiutò Karol Wojtyla in un quarto di secolo di pontificato. E che abdicando desacralizzò e demitizzò la figura del Papa, distinguendo in modo radicale e rivoluzionario la funzione dalla persona.  Un gesto che probabilmente avrebbe potuto compiere solo un rigoroso teologo proveniente dalla terra di Lutero, grande accusatore dei mali del papato e della corte vaticana. “Un gesto modernissimo che lasciò in quel momento la Chiesa, e il mondo, spiazzati e senza parole – ha osservato il vescovo Giancarlo Vecerrica -. La motivazione fu certamente l'impossibilità di procedere nella guida della Chiesa per il venir meno delle forze con l'età che avanzava. Decise così che, in futuro, avrebbe vissuto una vita da monaco, in contemplazione, e che avrebbe servito la Chiesa in altro modo, cioè pregando”.

Armonia tra successori di Pietro

Francesco ha sempre detto di sentire molto “il sostegno di questa presenza e di questa preghiera” e, racconta padre Lombardi, “di aver coltivato questo rapporto, a volte con delle visite, a volte con delle chiamate telefoniche, certamente con molti segni di familiarità, di rispetto e di attesa del sostegno spirituale”. Quindi la coabitazione di due papi, aggiunge Lombardi, “era una realtà inedita ma bella e consolante: tutte le volte che vedevamo delle immagini di Francesco e il suo predecessore insieme era una grande gioia per tutti e un bell'esempio di unione nella Chiesa, nella varietà delle condizioni”.  Un’armonia e un’ammirazione testimoniate dal pensiero rivolto da Francesco al suo predecessore in occasione del suo 65° anniversario di sacerdozio. “Santità, oggi festeggiamo la storia di una chiamata iniziata 65 anni fa con la sua Ordinazione sacerdotale, avvenuta nella Cattedrale di Freising il 29 giugno 1951- disse Jorge Mario Bergoglio -. Ma quale è la nota di fondo che percorre questa lunga storia e che da quel primo inizio sino a oggi la domina sempre più? In una delle tante belle pagine che Lei dedica al sacerdozio sottolinea come, nell’ora della chiamata definitiva di Simone, Gesù, guardandolo, in fondo gli chiede una cosa sola: 'Mi ami?'. Quanto è bello e vero questo! Perché è qui, Lei ci dice, in quel 'mi ami?' che il Signore fonda il pascere, perché solo se c’è l’amore per il Signore Lui può pascere attraverso di noi: 'Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo'. E l’augurio con il quale desidero concludere è perciò un augurio che rivolgo a Lei e insieme a tutti noi e alla Chiesa intera: che Lei, Santità, possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede!”.

“L’amore ha vinto la morte”

Altrettanto suggestiva fu la risposta di Benedetto XVI: “Santo Padre, cari fratelli, 65 anni fa, un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: 'Eucharistomen', convinto che, con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. 'Eucharistomen': un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre! La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio. 'Eucharistomen' ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così, fondamentalmente, ha traslato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il Pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore. Alla fine, vogliamo inserirci in questo 'grazie' del Signore, e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare per la transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte. Grazie a tutti voi. Il Signore ci benedica tutti. Grazie, Santo Padre”.

Responsabilità “genitoriale”

Il professor Francesco Belletti, presidente del Cisf, Centro internazionale degli studi sulla famiglia, inquadra la rinuncia nel senso di responsabilità “genitoriale” che il Pontefice teologo ebbe sempre della sua funzione.  “Joseph Ratzinger agì con lo spirito del “pater familias”, anche quando si trattò di compiere un gesto clamoroso di scendere dal trono”- spiega Belletti-. “Il primo pensiero che mi venne in mente alla notizia della rinuncia fu: da un Papa accusato di essere tradizionalista, conservatore, retrogrado, arriva il gesto più rivoluzionario che si possa compiere. Non ha avuto paura di rompere una tradizione né di essere giudicato un pavido, non ha avuto paura del proprio futuro personale: ha deciso di offrire sé stesso per amore della Chiesa. Tra i motivi di una decisione così radicale e rivoluzionaria, la consapevolezza che, al crescere dell’età, diventava sempre più difficile poter affrontare adeguatamente le grandi sfide interne ed esterne della Chiesa. Le molte amarezze causate da persone a lui molto vicine non hanno avuto certo un ruolo marginale”.  “A ciò si unisce una riflessione più ampia sulla vecchiaia in quanto tale, che, del resto, è uno dei problemi che la società contemporanea pone all’umanità, la possibilità cioè, di vivere molti anni, da grandi anziani, con crescenti margini di fragilità e vulnerabilità, anni già difficili per chi vive una vita 'normale', ma drammaticamente molto più complicati per chi ha sulle spalle una responsabilità così ampia, come è la Chiesa universale.  La rinuncia al pontificato fu un gesto di profondo amore, una grande testimonianza di libertà e di attaccamento alla verità”.

“Vos estis lux mundi”

In un volume la summa del pensiero e degli interventi di Papa Francesco e di Benedetto XVI sul fenomeno degli abusi sessuali perpetrati a danno dei minori. Il volume, che riporta in appendice il motu proprio “Vos estis lux mundi”, si apre con l’introduzione di padre Federico Lombardi, storico direttore della Sala Stampa vaticana, di cui Avvenire ha riportato un estratto: una riflessione che parte dall’Incontro sulla protezione dei minori nella Chiesa, il summit convocato e presieduto da Francesco dal 21 al 24 febbraio in Vaticano. “Al termine dell’Incontro di febbraio, il Papa Francesco ha pronunciato un discorso che non è sempre stato accolto e interpretato favorevolmente dalla stampa, ma è di estrema importanza – spiega padre Lombardi -. Il Papa anzitutto allarga l’orizzonte al mondo contemporaneo, vedendo la piaga degli abusi e della violenza sui minori e sulle persone vulnerabili in tutto il suo orrore, nelle sue diverse forme e nella sua sconcertante vastità. Ciò non diminuisce né relativizza la gravità del problema ecclesiale, ma aiuta a contestualizzarlo e a capire come l’impegno di rinnovamento della Chiesa è premessa necessaria perché essa possa, con credibilità ed efficacia, partecipare alla lotta della comunità umana intera per la dignità dei minori”. E qui il Papa Francesco si colloca coraggiosamente nella prospettiva di una lettura spirituale, nella fede, della realtà orribile delle violenze e dell’abuso nei confronti dei piccoli. È una lettura che nel mondo secolarizzato appare davvero contro corrente. Francesco parla senza mezzi termini della manifestazione dello spirito del male “il quale nel suo orgoglio e nella sua superbia si sente padrone del mondo”. Perciò per combattere questa battaglia “dobbiamo prendere tutte le misure pratiche che il buon senso, le scienze e la società ci offrono”, ma dobbiamo anche “prendere le misure spirituali che lo stesso Signore ci insegna: umiliazione, accusa di noi stessi, preghiera, penitenza. È l’unico modo di vincere lo spirito del male. Così lo ha vinto Gesù”.

Nessun abuso deve essere mai coperto

Come Benedetto XVI ha concluso il suo recente scritto invitando a cercare le prospettive di risposta più profonde alla sfida, rialzando lo sguardo verso Dio creatore e il senso della creazione, verso Gesù presente nella vita della Chiesa nei suoi sacramenti, verso l’opera dello Spirito nel mistero della Chiesa, opponendoci alla tentazione di scoraggiamento indotta dal “nemico”; così Francesco ci ha invitato a guardare, con profonda fede, a ciò che è in gioco nel mondo nella grande lotta per la salvezza delle creature di Dio contro l’accanirsi distruttore dello spirito del male, a non dimenticare, in questa lotta, le armi spirituali caratteristiche proposte da Gesù e, alla fine del discorso, a ricordare la vitalità della Chiesa, del “santo e paziente popolo fedele di Dio, sostenuto e vivificato dallo Spirito Santo”, grazie a cui dobbiamo sperare di ritrovare slancio e fiducia per il servizio dell’umanità. È difficile non vedere la piena consonanza delle prospettive più profonde di Benedetto e Francesco nel piano decisivo della fede. Il discorso finale di Francesco enuncia sinteticamente anche una serie precisa di linee operative, che riassumono aspetti fondamentali della lotta contro gli abusi e che sono state studiate con impegno nel corso dell’Incontro di febbraio. È importante, secondo padre Lombardi, mettere in luce come, proprio coerentemente con queste linee, siano già seguiti ulteriori passi molto importanti e concreti. Ne è testimonianza l’ultimo documento riportato nel volume, cioè il Motu proprio Vos estis lux mundi, del 19 maggio 2019, che è probabilmente l’atto legislativo di maggiore portata finora emesso dal Papa Francesco in questo campo. Cerchiamo di spiegarne molto sinteticamente il grande valore. Nel Pontificato di Benedetto XVI, dopo l’aggiornamento delle norme e procedure canoniche contro i crimini degli abusi, nel 2011 la Congregazione per la dottrina della fede aveva inviato una circolare a tutte le Conferenze episcopali del mondo, fornendo precise indicazioni e chiedendo che le Conferenze redigessero entro un anno “Linee guida” dettagliate, per orientare la risposta concreta ai problemi degli abusi da parte dei singoli vescovi. Molte conferenze episcopali nazionali hanno risposto, ma alcune con ritardo, e in ogni caso le Linee guida non hanno valore di legge per i singoli vescovi. Con il nuovo Motu proprio, che è legge per la Chiesa universale, Papa Francesco prende invece delle decisioni normative di grandissima importanza. Anzitutto, stabilisce che tutti i chierici e religiosi (uomini e donne) sono obbligati a denunciare i casi di abuso sessuale o di occultamento di esso di cui vengano a conoscenza. Inoltre, dispone che entro un anno in ogni diocesi del mondo deve essere predisposto un sistema pubblicamente noto, affidabile e accessibile, per la segnalazione degli abusi. Infine, chiarisce come procedere per l’investigazione di abusi o del loro occultamento da parte di alte autorità ecclesiastiche (vescovi, cardinali o superiori generali maschili o femminili). Il Papa Francesco mette dunque in pratica tempestivamente quanto aveva già indicato nel suo discorso finale dell’Incontro di febbraio, quando parlava (al punto 5 delle indicazioni operative) di “rafforzare e verificare le linee guida delle Conferenze episcopali”, della necessità di “norme e non solo di orientamenti” e dell’agire con determinazione perché “nessun abuso deve essere mai coperto”.

La grande prova

La lettura di una spiegazione più dettagliata del Documento sarà certo molto opportuna per le persone non competenti in materia. In questa sede, tuttavia, è importante rilevare che esso dà un segnale fortissimo e compie un passo in avanti determinante, affermando il dovere generale per gli ecclesiastici di denuncia degli abusi e l’obbligo di ogni diocesi del mondo di provvedere affinché il dovere di denuncia si possa speditamente osservare; inoltre, chiarisce come si deve procedere per rispondere alla forte e crescente attesa di giustizia per cui tutti, anche le persone con le più alte autorità, rispondano delle loro azioni o negligenze in un campo così grave come quello degli abusi. Attraverso la lettura dei documenti si comprende come Papa Benedetto e Papa Francesco hanno visto e vivono la grande prova che la Chiesa affronta, ormai da decenni, a seguito dei crimini di abuso sessuale compiuti da suoi membri qualificati. Due grandi pontefici fanno propria la sofferenza dei piccoli e dell’intero popolo di Dio, la portano su di sé, intervengono nella loro responsabilità pastorale, leggono in profondità, nella fede, questi avvenimenti. Spiega padre Lombardi: “Avendo lavorato al servizio di entrambi, posso attestare che attraverso queste vicende essi vivono davanti a Dio il loro servizio alla Chiesa e all’umanità, dandoci una testimonianza esemplare di amore per i piccoli, di umiltà, di pazienza, di coraggio, di verità, di amore della giustizia. Con la Sua grazia e con la loro guida possa il Signore aiutare la sua Chiesa a purificarsi in profondità per ritrovare pienamente la credibilità nella missione e la gioia del servizio ai più piccoli”.