“Basta divisioni nella Chiesa, lavoriamo per l'unità”

Nel mondo frammentato in cui ci è dato di vivere, che ci spinge ad isolarci, la sfida per noi è essere artefici e profeti di comunità. Perché nessuno si salva da solo”. E' il monito lanciato da Papa Francesco nel corso dell'incontro col clero peruviano a Trujillo, nel nord del Paese. “In questo vorrei essere chiaro. La frammentazione e l'isolamento non è qualcosa che si verifica 'fuori', come se fosse solo un problema del 'mondo'. Fratelli, le divisioni, le guerre, gli isolamenti li viviamo anche dentro le nostre comunità, dentro i nostri presbiteri, dentro le nostre Conferenze episcopali, e quanto male ci fanno!”. Poi ha aggiunto: “Ci è chiesto di essere artefici di comunione e di unità; che non equivale a pensare tutti allo stesso modo, fare tutti le stesse cose. Significa apprezzare gli apporti, le differenze, il dono dei carismi all'interno della Chiesa sapendo che ciascuno, a partire dalla propria specificità, offre il proprio contributo, ma ha bisogno degli altri”. Per Bergoglio, i sacerdoti devono guardarsi “dalla tentazione del 'figlio unico' che vuole tutto per sé, perché non ha con chi condividere“. E, rivolgendosi a quelli “devono esercitare incarichi nel servizio dell'autorità”, ha chiesto loro “per favore, di non diventare autoreferenziali; cercate di prendervi cura dei vostri fratelli, fate in modo che stiano bene, perché il bene è contagioso. Non cadiamo nella trappola di un'autorità che si trasforma in autoritarismo dimenticando che, prima di tutto, è una missione di servizio“. “Negli eserciti ci sono abbastanza sergenti – ha aggiunto -. Non c'è bisogno che siano messi nella nostra comunità”.

Dalla memoria alla gioia

Il Pontefice ha suddiviso il suo discorso in tre parti, tre “virtù” che nascono dalla “memoria” poiché è grazie ad essa che “ci si sostiene nel corso del tempo e della storia per crescere verso l’alto e portare frutto”. Poi ha sottolineato l'importanza di avere consapevolezza di qeusta “memoria”, perché “si rivolge al passato per trovare la linfa che ha irrigato nei secoli il cuore dei discepoli, e in tal modo riconosce il passaggio di Dio nella vita del suo popolo. Memoria della promessa che Egli ha fatto ai nostri padri e che, quando rimane viva in mezzo a noi, è causa della nostra gioia e ci fa cantare: ‘Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia’”. Ed è proprio da questo “essere ricchi di memoria”, che scaturiscono tre virtù, collegate tra loro dalla gioia: “La gioiosa coscienza di sé”, “L’ora della chiamata” e “La gioia contagiosa”.

“Noi non siamo il Messia”

Ha poi ammonito: “Noi consacrati non siamo chiamati a soppiantare il Signore, né con le nostre opere, né con le nostre missioni, né con le innumerevoli attività che abbiamo da fare. Semplicemente ci viene chiesto di lavorare con il Signore, fianco a fianco, ma senza mai dimenticare che non occupiamo il suo posto”. Questo “non ci fa 'afflosciare' nell'impegno di evangelizzare, ma al contrario, ci spinge e ci chiede di lavorare ricordando che siamo discepoli dell'unico Maestro“. “Ci fa bene sapere che non siamo il Messia! Ci libera dal crederci troppo importanti, troppo occupati (è tipico in alcune zone sentire: 'No, non andare in quella parrocchia perché il sacerdote è sempre molto occupato')”, ha proseguito, invitando a liberarsi “dalla tentazione dei messianismi”. “Questa tentazione – ha spiegato Francesco – si combatte in molti modi, ma anche col saper ridere. Sì, imparare a ridere di sé stessi ci dà la capacità spirituale di stare davanti al Signore coi propri limiti, errori e peccati, ma anche coi propri successi, e con la gioia di sapere che Egli è al nostro fianco“. “Un bel test spirituale – ha aggiunto il Pontefice – è quello di interrogarci sulla capacità che abbiamo di ridere di noi stessi. Ridere ci salva dal neopelagianesimo 'autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri'”. “Fratelli, ridete in comunità, e non della comunità o degli altri! Guardiamoci da quelle persone così importanti che nella vita hanno dimenticato come si fa a sorridere”, ha concluso. 

Il saluto all'anziana cieca

Piccolo fuori programma: arrivando al Colegio Seminario dei Santi Carlo e Marcello, Papa Francesco ha visto oltre le transenne un'anziana dietro la quale un uomo innalzava un cartello. “Mi chiamo Trinidad. Compio 99 anni. Non vedo. Voglio toccare la tua piccola mano”. Bergoglio ha visto il cartello, è sceso quindi dalla papamobile e ha salutato l'anziana stringendole le mani, realizzando così il suo desiderio.