TUTTI FRATELLI d’ITALICUM

Lorenzo Guerini, numero due del Partito democratico e commissario politico dello stesso per conto di Matteo Renzi, al termine di una giornata particolarmente intensa al termine della quale il governo ha portato a casa la prima fiducia sull’Italicum, assicura che non ci saranno né espulsioni dal Pd né rotture e il premier su Twitter ringrazia “di cuore i deputati che hanno votato la prima fiducia. La strada è ancora lunga, ma questa è la volta buona”. Come sempre. Oggi l’Aula voterà le altre due fiducie, sull’articolo 2 e sul 4 (l’articolo 3 non si esamina perché già approvato in testo identico da Camera e Senato). E il presidente del Pd, Matteo Orfini, spera che i 38 ribelli “nelle prossime ore possano rivedere la loro scelta”. Per Rosy Bindi non ci sono spiragli: “Voterò no anche al voto finale” che si terrà la prossima settimana e che sarà molto probabilmente a voto segreto.

Tiriamo le somme: il Partito democratico, così come lo conoscevamo, non esiste più. E non esiste più nemmeno la minoranza dem. Così come rischia la rottura anche l’Ncd di Angelino Alfano. Ecco, in estrema sintesi è questo il quadro entro il quale si muove l’inquilino di Palazzo Chigi. Ed è un quadro che ha disegnato lui stesso, scegliendo cornice, tavolozza dei colori, soggetto e oggetto. Niente è stato affidato al caso. Perché al termine di questo lungo quanto estenuante braccio di ferro consumato fra Renzi e il resto del mondo, che finirà solo dopo il voto segreto sul testo complessivo della legge elettorale, qualunque sia il risultato del passaggio parlamentare a vincere sarà lui, l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, “il piccolo Duce” come lo disegnano le opposizioni.

Se la legge elettorale sarà approvata Renzi avrà finalmente quella pistola carica con la quale mettere tutti nell’angolo, dalla minoranza dem alle opposizioni, passando per i grillini. Non solo. Con l’Italicum votato Renzi potrà dire all’Europa che l’Italia non è ferma. Se il provvedimento invece dovesse cadere, per un bis dei 101 di Romano Prodi, Matteo potrà far ricadere tutte le colpe sugli affossatori della legge elettorale. Sono loro che non vogliono far progredire il Paese, sono loro che vogliono il mantenimento dello status quo. Ovviamente tanto l’una quanto l’altra versione necessitano di una debita tara.

Al netto dei numeri, se l’Italicum passa lascerà dietro di sé una lunga scia di polemiche, di rancori e malumori che rischiano di far implodere definitivamente il Pd. E un partito lacerato, diviso e incattivito rischia di far sbandare anche l’elettorato. Un pensiero che deve aver sfiorato anche il premier, soprattutto quando si è ritrovato a fare i conti con il deciso cambio di rotta del quotidiano La Repubblica, sempre meno incline ad assecondare la linea del premier. Il cosiddetto partito di Repubblica, elettoralmente parlando, pesa ancora e nella pancia dell’elettorato di sinistra è un elemento importante. Averlo contro potrebbe essere un grosso problema, come lo fu per Bettino Craxi ai tempi del Caf quando il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari definiva lo statista socialista il Cinghialone e lo disegnava, secondo la penna di Forattini, in stivaloni e camicia nera. Insomma, come Mussolini. Con Renzi non siamo ancora a questo, ma i segnali ci sono già tutti.

Per l’elettorale medio però, che dell’Italicum e della rissa sui tecnicismi ha capito poco o nulla, un ennesimo stallo sarebbe la riprova della inadeguatezza dei parlamentari. E andare al voto per Renzi sarebbe un gioco da ragazzi. Ma c’è un altro aspetto, che non è la terza via, sia chiaro, connesso all’Italicum. Il premier sta usando questa partita non tanto perché ha particolarmente a cuore la legge elettorale, quanto per fare campagna elettorale per le regionali. Avendo candidati deboli e indagati, il premier ha scelto di cavalcare l’onda del referendum su se stesso. Come ennesima prova di come la politica italiana sia cambiata. In meglio o in peggio lo diranno la storia e le prossime elezioni. Resta solo l’amarezza che gli italiani, ancora nelle secche della crisi, non vivono d’Italicum. Ma questa, per Renzi, è tutta un’altra storia…