TOGHE-POLITICI, POTERI CONTRO

E’ un po’ come con la caccia. Arrivati ad un dato punto dell’anno si apre la stagione venatoria e le doppiette tornano a sparare. I bersagli, grosso modo, sono sempre quelli. Così come le ragioni che animano i patiti del settore. A loro modo, quindi, le toghe che fanno parte dell’Associazione nazionale magistrati, applicano lo stesso teorema. Solo che stavolta, rispetto al passato, fugge un particolare: qual è la ragione di questo assalto frontale? Opera di prevenzione o netta contrapposizione politica al governo? Difficile propendere per l’una o l’altra ipotesi, dato che la l’attuale fase storica si presta a molteplici letture. Ma è indubbio che la convergenza fra il grosso della maggioranza e pezzi dell’opposizione diventati una sorta di terra di nessuno, ma pronti ad accasarsi con il gruppo dominante, deve aver disturbato le toghe. Fuor di metafora è quanto mai verosimile che il dialogo fa Matteo Renzi e Denis Verdini venga vissuto dai magistrati come un pericolo per la loro autonomia. E così, davanti al capo dello Stato, Sergio Mattarella, la magistratura ha fatto sentire le proprie “doppiette” sostenendo che contro i giudici, da più parti, si registra “una consapevole strategia di delegittimazione”. Ad affermarlo è stato il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, che ha aperto il 32esimo congresso del sindacato di categoria nel teatro Petruzzelli di Bari.

“La tensione fra politica e magistratura, legata per anni a vicende giudiziarie individuali, ha finito con l’offrire di sé un’immagine drammatica ma, in realtà, semplificata. Oggi quei rapporti sono restituiti a una dinamica meno accesa nella forma ma più complessa”, ha affermato il presidente dell’Anm. Il riferimento è alle polemiche con il premier sulle riforme del governo che hanno riguardato lo status dei magistrati (dal taglio delle ferie alla nuova disciplina sulla responsabilità civile). Insomma, dopo la pausa, è il momento di riprendere gli scontri, in modo da prevenire ulteriori assalti. “La magistratura italiana non è un ceto elitario e oligarchico e la percezione delle istituzioni dello Stato come gruppi di potere gelosi dei propri vantaggi costituisce in se stessa una tragedia del sistema democratico”, ha avvertito Sabelli, che ha rivendicato all’intero vertice dell’Anm il merito di aver difeso “l’immagine e l’autorevolezza della magistratura associata, contro ogni tentativo di ridimensionamento del suo ruolo di rappresentanza e della sua stessa dignità”. Può anche essere che Sabelli abbia ragione, ma resta da capire se questa è una posizione politica oppure una difesa preventiva legata a una possibile ulteriore riforma della Giustizia. Non a caso Sabelli ha mosso rimproveri per la “troppa enfasi” con cui ci si è concentrati sul nodo delle intercettazioni e ha fatto notare come tutto questo avvenga nonostante una criminalità organizzata “diffusa ormai in ogni ambito e le forme di pesante devianza infiltrate nel settore pubblico e dell’economia”.

Evidente il “giù le mani” da uno strumento che i magistrati considerano irrinunciabile. Per il responsabile giustizia del Pd, David Ermini, però “fino ad oggi né il governo né il Parlamento hanno messo mano al sistema delle intercettazioni. Per questo alcune frasi sulla politica non attenta ci appaiono ingenerose” hanno affermato. “Non è stata toccata nessuna delle attuali competenze degli organi inquirenti o di quelli giudicanti. Ci siamo preoccupati solo dell’aspetto legato alla pubblicità delle intercettazioni” ha proseguito. “Noi siamo interessati a riformare il sistema della giustizia per agevolare il lavoro dei magistrati che oggi è gravato da burocrazia e scarsità di mezzi, cioè abbiamo ben presente i problemi che incontrano nello svolgimento della loro funzione e vogliamo contribuire a risolverli”, ha detto ancora il responsabile giustizia Dem. Ecco, forse è questo il vero tema. Far funzionare la giustizia. Perché i magistrati allora si preoccupano del mezzo e non del fine? L’impressione è che dietro al paravento delle molteplici parole spese da ambo le parti sia un atto una guerra sotterranea in cui ognuno dei due contendenti punta a rafforzare le proprie prerogative.